La via cinese al Mediterraneo

Come sono cambiati e quanto sono aumentati, negli ultimi anni, la presenza e gli interessi cinesi nel Mediterraneo? L’importanza della nuova Via della Seta per la strategia di Pechino. L’analisi di Melania Malomo del Ce.S.I

Negli ultimi anni la Repubblica Popolare cinese ha aumentato esponenzialmente il suo bacino di influenza economica tramite accordi bilaterali e investimenti rientranti nell’ambito della “Belt and Road Initiative”, arrivando a raggiungere le coste del Mediterraneo. Sulla spinta della crescita industriale e produttiva registrate dal Paese negli ultimi dieci anni,  la “Belt and Road Initiative” (BRI) si propone di creare, ammodernare e migliorare le infrastrutture per il trasporto merci, terrene e marittime, attraverso investimenti mirati ad incentivare gli scambi commerciali e ad aumentare il bacino di utilizzo del renminbi, la moneta cinese usata per gli scambi internazionali.

Il progetto è stato lanciato dal Presidente cinese Xi Jinping nel 2013 e coinvolge 68 Paesi (40% del PIL mondiale), nell’area del continente Euro-Asiatico e del Nord Africa, lungo il percorso dei due rami principali delle così dette “Vie della Seta del Ventunesimo secolo”: la “Land Belt”, dalla Cina all’Europa, passando per l’Asia Centrale e il Sud-Asia, e la “Maritime Road”, che connette le città costiere cinesi con l’Africa e il Mediterraneo. In questo contesto, la via marittima riveste un’importanza maggiore rispetto alla cintura terrestre, in quanto circa l’80% dei traffici commerciali cinesi avvengono via mare.

Proprio alla luce della superiorità della dimensione marittima rispetto a quella terrestre, il Mediterraneo acquisisce un’importanza strategica nel progetto cinese. Infatti assorbe già circa il 20% dei commerci marittimi internazionali, pur rappresentando una porzione minima (1%) della superficie acquea mondiale. La rinnovata importanza del Mediterraneo è dovuta anche al recente allargamento del Canale di Suez nel 2015, che ha di fatto duplicato i passaggi navali tra il Mar Rosso e il Mediterraneo. Oltretutto, la centralità del Mediterraneo rispetto ai tre continenti e come via d’accesso verso l’Oceano Atlantico, il Mare del Nord e il Mar Nero, ne fa l’estremità ideale per lo sbocco degli export cinesi, destinati ad aumentare di volume proprio grazie alla creazione di nuove infrastrutture di trasporto, energetiche e digitali nella zona. In particolare, l’area di maggiore interesse è costituita dall’Unione Europea che, ad oggi, si configura come il principale partner commerciale per Pechino in questo bacino. La Cina, infatti, ha avviato un grande piano di investimenti destinati alle infrastrutture sia portuali che terrestri dei Paesi europei che affacciano sul Mediterraneo. Per esempio, già nel 2008, il gigante statale cinese dei trasporti marittimi COSCO (China Overseas Shopping Group Corporation) ha acquistato partecipazioni azionarie dell’Autorità Portuale del Pireo, in Grecia, che oggi ammontano al 67%. Il porto, per la sua posizione strategica, è diventato il primo avamposto commerciale cinese nel Mediterraneo e, ad oggi, grazie agli investimenti cinesi, è diventato il secondo porto più affollato della zona mediterranea (nel 2017, sono giunti a questa destinazione 4 milioni di container). Il porto si è andato a configurare come la principale via d’accesso per i prodotti cinesi nel mercato europeo, anche grazie agli investimenti cinesi volti a migliorare le condizioni dei collegamenti su rotaia, che permetterebbero ai beni asiatici di raggiungere l’Europa centrale più velocemente. Questa attenzione per il continente europeao si evince anche dalla mappatura delle operazioni di investimento di Pechino sulla costa mediterranea del Vecchio Continente, che annovera, tra le operazioni principali gli investimenti della COSCO, della CMPort (China Merchants Port Holdings) e della Qingdao Port International Development (QPI) nella Noatum Port Holdings, che controlla i porti di Valencia e Bilbao, o la Vado Holdings, che gestisce il porto di Vado Ligure – anch’esso, impiegato anche come via d’accesso all’Europa centrale-Marsiglia e Marsaxlokk, a Malta. Inoltre, l’attenzione sempre maggiore dei capitali cinesi per il porto di Trieste ben esemplifica l’attenzione posta dalla Cina nel trovare una finestra ideale che, dal Mediterraneo, consenta alle merci cinesi di raggiungere il mercato unico europeo. Non solo la posizione strategica, ma anche la sua connessione con i corridoi di trasporto europei e la sua sviluppata capacità retrologistica, rendono il porto tristino un interlocutore ideale per il gigante cinese. 

Benchè ad oggi l’azione di Pechino appaia focalizzata soprattutto sulla sponda nord del Mediterraneo, la Cina sta diventando un interlocutore sempre più importante per il resto del bacino, dai Paesi del Nord Africa agli attori costieri della regione mediorientale.

I contatti con la regione nordafricana sono iniziati molto prima dell’annuncio della nuova grande strategia cinese BRI, in risposta alla  necessità cinese di aumentare il bacino dei propri export e, allo stesso tempo, aumentare il proprio accesso alle risorse naturali del continente. Infatti, negli ultimi anni, Pechino rappresenta uno dei maggiori importatori di prodotti africani, in particolare beni primari, come il petrolio, e uno dei maggiori esportatori in Africa di beni manifatturieri, anche high-tech. In questo contesto, il Nord Africa rappresenta una testa di ponte ideale per la BRI verso il cuore del resto del continente. Fin dal 2000, la Cina ha stretto legami economici sempre più stretti con la regione nordafricana, favorita non solo dal peso degli investimenti messi sul tavolo negoziale ma anche dalla predilezione per un’agenda prettamente economica, scevra da ogni attenzione agli aspetti politici e sociali, nei rapporti con gli interlocutori locali,. Tale policy ha attirato importanti partner nel Nord Africa, come l’Egitto di al-Sisi, in cui la Cina ha investito una somma considerevole per finanziare la costruzione di una nuova capitale amministrativa e per acquisire partecipazioni nel porto di Alessandria e Port Said, e il Sudan di Bashar che, solo nel 2016, ha esportato il 94% della sua produzione petrolifera verso il gigante asiatico. Il progetto cinese nel continente africano prevede investimenti per la costruzione di infrastrutture che faciliterebbero il commercio intra-africano – che oggi ammonta a solo 16% del commercio totale dei paesi africani-, partendo dalla regione mediterranea, per poi eventualmente espandere la rete di infrastrutture anche nella regione centrale del continente africano. La pianificazione di nuove strategie industriali a corredo degli investimenti in infrastrutture, da un lato, e l’impostazione di rapporti bilaterali basati sulla narrativa del reciproco sostegno tra Paesi in via di Sviluppo, dall’altro, permettono alla Cina di essere considerata un punto di riferimento per gli attori regionali. Per queste ragioni, tutti gli stati del Nord-Africa – tranne la Mauritania – hanno siglato con il Presidente Xi Jinping diversi “Memorandum of Understanding” e stanno attualmente approfittando degli investimenti cinesi nell’ambito del progetto BRI. Anche se quest’area geografica non riveste la stessa importanza dell’Europa nel progetto, la Cina potrebbe man mano incrementare il suo coinvolgimento nella regione.

Se la strategia di penetrazione del continente africano sembra essere ormai ben rodata, più delicata appare invece essere la posizione della Cina nei confronti della sponda orientale del Mediterraneo. Il governo di Pechino, infatti, sta cercando di utilizzare l’iniziativa della Belt and Road per ritagliarsi dei nuovi spazi di manovra all’interno di un’area, il Medio Oriente, ancora non del tutto esplorata dal proprio sistema paese. L’approccio della Cina alla regione continua ad essere estremamente cauto e condizionato dalle numerose variabili di instabilità ancora presente in tutta l’area. Soprattutto in riferimento alla ricostruzione della Siria e, dunque, alla futura intensificazione della propria presenza sulla sponda est del Mediterraneo, il governo cinese è molto restio a sciogliere definitivamente il riserbo.

Nonostante si possa parlare oggi di una presenza più strutturata della Cina nel Mediterraneo il gigante asiatico continua ad avere un approccio settoriale ed “economic-oriented” alla regione. Tuttavia, le diverse sfide di natura securitaria che caratterizzano la stabilità del bacino potrebbero spingere le autorità di Pechino a conferire una sfumatura diversa alla propria politica nel Mediterraneo. L’incremento degli interessi economici legati all’area e del numero di lavoratori cinesi presenti in loco per il completamento dei progetti connessi a BRI, infatti, potrebbero portare il governo a cercare un maggior coinvolgimento anche politico con i paesi dell’area e a diversificare la natura della propria agenda, inserendo così il Mediterraneo nel novero degli scacchieri in cui rilanciare il ruolo della Repubblica Popolare.

Melania Malomo è stagista dell’aerea geopolitica al Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali.  Laureata in Global Studies presso la LUISS Guido Carli ha precedentemente svolto il ruolo di analista tirocinante per EPOS International Operating and Mediating Agency. E’ appassionata di politica internazionale e Medio Oriente.

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