Gli Stati Uniti, Hong Kong e l’impegno per la democrazia

Cosa prevede lo Human Rights and Democracy Act approvato dal Congresso USA per Hong Kong. Possibili ripercussioni e reazioni cinesi. Una breve analisi.

La scorsa settimana il Congresso americano ha approvato un disegno di legge che va sotto il nome di ‘Human Rights and Democracy Act’ stabilendo una linea di azione chiara del governo nei confronti della Cina e della crisi di Hong Kong. “Se l’America non si fa valere per i diritti umani in Cina a causa di interessi commerciali, allora perdiamo tutta l’autorità morale di parlare in nome dei diritti umani in qualsiasi parte del mondo”, aveva dichiarato Nancy Pelosi alla Camera ad ottobre.

Lo ‘Human Rights and Democracy Act’ è una legge pensata per sostenere il processo democratico ad Hong Kong e i manifestanti che da mesi riempiono le piazze della città per protestare contro una legge sull’estradizione di criminali e prigionieri politici nella Cina continentale, e sulla prospettiva che Pechino possa così minare l’indipendenza giudiziaria dell’isola. Fino al 1997, Hong Kong era legata alla Gran Bretagna, ma poi tornò alla Cina con un accordo noto come “un paese, due sistemi” che le ha consentito di mantenere una certa autonomia e diritti. Il disegno di legge è stato sospeso a settembre, ma le manifestazioni continuano e chiedono ora piena democrazia e un’inchiesta sulle azioni condotte dalla polizia.

La legge di estradizione che ha scatenato la prima protesta è stata introdotta in aprile. Gli oppositori hanno affermato che questa legge avrebbe esposto Hong Kong a processi iniqui e trattamenti violenti rivolti a colpire attivisti e giornalisti, consentendo così alla Cina un maggiore controllo sull’isola. Centinaia di migliaia di persone sono scese in strada. A quel punto gli scontri tra polizia e manifestanti sono diventati più frequenti e violenti: ai primi di ottobre, mentre la Cina celebrava i 70 anni della leadership del Partito Comunista, la crisi di Hong Kong viveva i suoi giorni più violenti.

Le dichiarazioni del presidente cinese Xi Jinping contro il separatismo sono state dure contro chiunque avesse intenzione di non rispettare la sovranità cinese sull’isola dettata dal principio di ‘una Cina unita’, tuttavia il sostegno al movimento di Hong Kong si è diffuso in tutto il mondo, con manifestazioni in corso nel Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Australia e Canada. Le proteste stanno rappresentando nel mondo il diritto, sancito in ogni paese democratico, alla libertà di manifestare ed esprimere il proprio dissenso, e sono diventate ben presto il simbolo della lotta fra due sistemi opposti che difficilmente possono coesistere.

A questo proposito le elezioni del consiglio locale dello scorso novembre sono state un chiaro segno della volontà dell’opinione pubblica di Hong Kong. Il voto ha visto una vittoria schiacciante per il movimento democratico, con 17 dei 18 consigli ora controllati dai consiglieri democratici. I partiti a favore della democrazia sono stati quelli più rappresentativi delle preoccupazioni della popolazione che chiede il diritto al suffragio per l’elezione del governatore e dunque ad una piena democrazia. Una proposta bloccata dal rifiuto di Pechino di consentire elezioni libere che aveva innescato nel 2014 le proteste dell’ ‘Umbrella Movement’.

Cosa prevede lo ‘Human Rights and Democracy Act’ approvato dagli U.S.A.?

L’atto è innanzitutto un documento redatto per riaffermare i principi e gli obiettivi enunciati dagli Stati Uniti nell’Hong Kong Policy Act del 1992, come sostegno alla democratizzazione dell’isola, principio fondamentale della politica estera USA. Nel documento si esorta il governo della Repubblica popolare cinese a mantenere intatte nell’isola autonomia, libertà di parola e di stampa, e le altre libertà fondamentali (Sez. 3 Punto 3 dell’Atto). Un mancato rispetto di questi requisiti potrebbe comportare da parte degli Stati Uniti una revisione dello ‘status speciale’ sul commercio concesso ad Hong Kong. La nuova legge è dotata infatti di un meccanismo di monitoraggio e sanzioni per garantire che lo status di autonomia della città sia in linea con la Dichiarazione congiunta sino-britannica e le Convenzioni sui diritti umani delle Nazioni Unite. Secondo l’Hong Kong Free Press Journal, la versione finale della legge del Senato degli Stati Uniti ha dato maggior peso allo status internazionale di Hong Kong, sottolineando che il governo degli Stati Uniti “coordinerà con gli alleati, tra cui Regno Unito, Australia, Canada, Giappone e Repubblica di Corea, per promuovere la democrazia e diritti umani a Hong Kong”.

Nell’atto si prevede inoltre che gli Stati Uniti possano verificare annualmente se Pechino stia effettivamente mantenendo le speciali libertà di cui Hong Kong gode, al fine di valutare se gli Stati Uniti debbano o meno proseguire con l’isola le speciali relazioni bilaterali. È inoltre previsto dalla legge che il Presidente possa imporre sanzioni e restrizioni di viaggio a coloro che sono ritenuti consapevolmente responsabili della detenzione arbitraria, della tortura e della confessione forzata di qualsiasi individuo a Hong Kong o di altre violazioni dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale, fino al congelamento di beni. Fino ad oggi il governo degli Stati Uniti non disponeva di strumenti legali con cui affrontare la situazione, in quanto l’Hong Kong Policy Act del 1992 non include un meccanismo in grado di rivedere lo status autonomo di Hong Kong.

La reazione della Cina

Le reazioni del governo cinese si sono espresse in una nota del portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying nel divieto rivolto a navi e aerei militari americani di fare visita sull’isola, inviando un segnale del peggioramento delle relazioni tra i due Paesi. La Cina ha inoltre minacciato sanzioni contro alcune note organizzazioni non governative americane, attive in favore della democrazia, tra cui il National Endowment for Democracy, Human Rights Watch e Freedom House. Le ONG straniere in questione, sono accusate di aver agito “male” durante i recenti disordini a Hong Kong.

Qualche giorno prima della firma di Trump sul ‘Democracy Act’, alcuni funzionari cinesi attraverso organi di stampa di Stato avevano reagito molto criticamente affermando che la decisione di Washington di rilasciare il documento avrebbe di sicuro minato i colloqui commerciali in corso e provocato immediate contromisure da parte di Pechino.

La legge firmata da Trump arriva a decretare in un momento delicato per le relazioni USA-Cina, quando i negoziati sulla guerra commerciale sembravano essere vicini all’accordo. La Cina dipende da Hong Kong per attrarre fondi e investimenti esteri, utilizza i mercati valutari, azionari e del debito di Hong Kong per attirare fondi esteri. La maggior parte degli investimenti esteri diretti (IDE) in Cina continua ad essere canalizzata attraverso la città. Queste libertà conferiscono a Hong Kong uno status speciale a livello internazionale, consentendole di negoziare accordi commerciali e di investimento indipendentemente da Pechino. L’atto potrebbe per questo motivo compromettere seriamente i progressi ottenuti fino ad oggi, tuttavia ad ottobre il presidente della Camera, Nancy Pelosi aveva sottolineato che gli americani devono fare la cosa giusta e riaffermare l’impegno dell’America nei confronti della democrazia. “A coloro che vogliono schierarsi dalla parte del governo repressivo in questa discussione, vi dico: che cosa giova a una persona se guadagna il mondo intero e subisce la perdita della sua anima?” Bene sembra che su questa decisione il governo americano abbia riconquistato compattezza e non abbia espresso dubbi, sancendo all’unanimità il messaggio che gli Stati Uniti sostengono uniti la democrazia ad Hong Kong.

Federica Santoro

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni di Europa Atlantica

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