Come cambia il Golden Power in Italia

Come cambia e perché la disciplina del Golden Power in Italia dopo gli aggiornamenti normativi introdotti recentemente

Il decreto-legge sul credito alle imprese di cui si è a lungo dibattuto in CdM lo scorso lunedì 6 aprile e che è stato bollinato dalla Ragioneria dello Stato nella tarda serata di ieri contiene agli artt. 15 e 16 nuove disposizioni relative al tema del Golden Power.

Il governo ha infatti deciso di intervenire in maniera significativa a modifica di una disposizione che vide la luce sotto il governo Monti con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, che, rispondendo alla necessità di rendere compatibile con il diritto europeo il sistema italiano della allora Golden Share, rimodulò tale principio, consentendo al governo nazionale di attivare a sua discrezione, per motivi di interesse generale, poteri speciali relativamente a società pubbliche e private. Tali poteri, in breve, consistevano e consistono nella facoltà di dettare condizioni all’acquisizione di partecipazioni o di porre il veto su determinate delibere societarie: lo scopo era impedire che asset strategici per lo Stato relativi alla difesa, alla sicurezza nazionale, all’energia, ai trasporti, alle comunicazioni potessero subire scalate ostili.

La logica alla base del provvedimento del governo Monti, nonché la partita giocata con l’Europa per non incorrere in sanzioni, fu che da un lato l’esecutivo doveva rispettare disposizioni più stringenti per intervenire nelle aziende, dall’altro però che non aveva più potere di veto solo nei confronti di quelle partecipate dallo Stato (motivo per cui si parlava in precedenza di Golden Share), ma, potenzialmente, in tutte le imprese, pubbliche e private, che rientrassero nei cinque perimetri strategici individuati dal decreto.

È necessario poi ricordare quanto accaduto lo scorso autunno, quando, all’interno del decreto-legge 21 settembre 2019, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, in fase di conversione vennero sanati gli effetti del decreto-legge 11 luglio 2019, n. 64, (decaduto a causa della crisi di governo) sull’attivazione del Golden Power relativamente alle forniture di apparati per il 5G da parte di soggetti extraeuropei (il problema era allora costituito dalle cinesi Huawei e Zte).

Il decreto approvato lunedì scorso amplierà il perimetro all’interno del quale il governo potrà attivare poteri speciali individuando ulteriori settori strategici.

L’ art. 15 novella l’art. 4-bis, comma 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater del dl 105/2019.

E’ previsto che sarà demandata a successivi decreti da parte dei vari ministeri di competenza l’individuazione di nuovi ambiti nei quali far valere i poteri speciali in ordine alla sussistenza di un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico, compreso il possibile pregiudizio alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, all’interno dei settori individuati dall’art. 4 del Regolamento UE 2019/452 del parlamento europeo e del consiglio (infrastrutture critiche, tecnologie critiche, sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttive critici, accesso a informazioni sensibili, libertà e pluralismo dei media). A regime sarà quindi possibile l’attivazione del Golden Power per l’acquisto “a qualsiasi titolo, da parte di un soggetto esterno all’Unione Europea, di partecipazioni in società che detengono beni e rapporti nei settori di cui all’art. 4 del Regolamento UE […] di rilevanza tale da determinare l’insediamento stabile dell’acquirente in ragione dell’assunzione del controllo della società la cui partecipazione è oggetto dell’acquisto”. Tra i settori oggetto di intervento figurano anche quello finanziario, creditizio e assicurativo.

A causa dell’emergenza Covid-19 è poi individuata una fattispecie transitoria, vigente fino al 31 dicembre 2020. Ovvero l’obbligo di notifica al governo per le delibere, gli atti e le operazioni che rientrano negli ambiti sopra descritti anche per “gli acquisti da parte di soggetti esteri appartenenti alla UE di rilevanza tale da determinare l’insediamento stabile dell’acquirente in ragione dell’assunzione del controllo della società la cui partecipazione è oggetto dell’acquisto”, nonché “gli acquisti di partecipazione” da parte di soggetti esteri non UE “che attribuiscano una quota dei diritti di voto o del capitale pari almeno al 10 per cento […] e il valore complessivo dell’investimento sia pari o superiore a un milione di euro e sono altresì notificate le acquisizioni che determinano il superamento delle soglie del 15 per cento, 20 per cento, 25 per cento e 50 per cento”.

L’art. 16 del nuovo decreto prevede la possibilità per il governo di intervenire d’ufficio su operazioni non notificate e di esercitare i poteri speciali.

La norma si è resa necessaria per contrastare ipotesi di acquisizioni, in particolare sul mercato azionario, di importanti aziende italiane da parte di player esteri: per dare contezza della situazione, nel mese di marzo Atlantia ha perso il 41,3% del suo valore, BPM il 39,7%, Mediobanca il 39,65%, Unicredit il 39,1%.

Alessandro Fonti

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