Asia Centrale: le possibili ricadute geopolitiche ed economiche del COVID-19

Le conseguenze economiche e geopolitiche nella regione dell’Asia Centrale della crisi derivante dall’epidemia di Covid-19 nell’analisi di Fabio Indeo.

La combinazione tra gli effetti delle misure di emergenza adottate  in Asia Centrale e nel resto del mondo (sospensione delle attività economiche, del traffico merci transfrontaliero) con l’imminente fase di recessione economica globale potrebbe avere un impatto fortemente negativo sul piano sociale ed economico nello spazio post sovietico, esacerbando le distorsioni esistenti in un quadro di crescente impoverimento e di latente conflittualità ed instabilità. Infatti, la sicurezza alimentare, l’industria turistica (in notevole ascesa visto il potenziale attrattivo dell’Asia Centrale), le relazioni commerciali ed energetiche (in primis con Russia e Cina ma anche tra le stesse repubbliche centroasiatiche) verranno duramente colpite dalla crisi economica in atto.

Il Kazakhstan ha immediatamente adottato delle misure economiche a supporto della popolazione e dei vari settori produttivi nazionali, grazie ai 60 miliardi di dollari allocati nel Fondo Nazionale e quindi potenzialmente disponibili per le iniziative intraprese: nel mese di Aprile, il Kazakhstan ha iniziato a risarcire i cittadini per i mancati introiti, cercando di preservare il tessuto produttivo ed economico nazionale dagli effetti nefasti del blocco globale.

Per le altre nazioni lo scenario appare molto differente, e solo con il sostegno economico ed i prestiti erogati dalle organizzazioni finanziarie internazionali (Fondo Monetario, Banca Mondiale, Banca Asiatica per lo Sviluppo, Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) sarà possibile puntellare le deboli economie centroasiatiche. Lo stesso presidente uzbeko Mirziyoyev ha emanato un decreto che consente alla nazione di richiedere prestiti agli istituti finanziari internazionali (oltre 3 miliardi di dollari) per mitigare gli effetti della pandemia, congelando temporaneamente le ambizioni di crescita economica e di sviluppo nutrite da Tashkent.

In aggiunta agli effetti negativi provocati dalla pandemia globale sulle economie centroasiatiche, vanno considerate anche le ripercussioni provocate dal crollo del prezzo del petrolio, destinate a colpire pesantemente Kazakhstan e Turkmenistan, i due principali esportatori di idrocarburi nella regione.

La riduzione del prezzo del barile del petrolio a 20 dollari rappresenta una concreta e immediata minaccia per il Kazakhstan, in quanto nei mesi scorsi le autorità politiche avevano elaborato un bilancio nazionale nel quale gli introiti derivanti dall’esportazione del petrolio erano basati su stime di prezzo al barile pari a 55 dollari. Questa situazione implicherà minori introiti per alimentare il Fondo Nazionale, dal quale parallelamente vengono drenate risorse per finanziare le misure di supporto alla popolazione e all’economia nazionale, indebolendo lo strumento finanziario che sta permettendo al Kazakhstan di affrontare la crisi. Per quanto concerne il Turkmenistan, il problema risiede nel fatto che i prezzi di vendita del gas naturale seguono quelli del petrolio: si prevede quindi un ulteriore riduzione dei prezzi di vendita del gas naturale turkmeno (di fatto già bassi: Mosca paga 110 dollari per mille metri cubi mentre Pechino 185 dollari), scenario destinato a ripercuotersi negativamente sul bilancio nazionale, dove gli introiti derivanti dalla vendita del gas rappresentano il 70-80% del totale.

Al termine dell’emergenza sanitaria in atto, l’Asia Centrale – fortemente indebolita da un punto di vista economico – rischia di essere particolarmente vulnerabile in relazione alle manovre geopolitiche ed alle ambizioni strategiche delle due superpotenze regionali Russia e Cina.

In questi mesi di emergenza sanitaria, la Russia – attraverso  l’ Unione Economica Euroasiatica – ha esercitato abilmente il proprio soft power nello spazio post sovietico con l’obiettivo di estendere la propria influenza nella regione. Ad esempio Mosca ha deciso di inviare kit epidemiologici a tutte le nazioni dello spazio post-sovietico, privilegiando i tradizionali partner centroasiatici ovvero Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan.

Significativo è stato anche l’intervento di Mosca per alleviare le gravi ripercussioni economiche e sociali legate al blocco dell’attività lavorativa dei lavoratori stranieri presenti in Russia provenienti dallo spazio post sovietico, in modo particolare dall’Asia Centrale (si ritiene che circa 2 milioni di uzbeki, 700mila tagiki e 600mila kirghisi siano impiegati in attività lavorative in territorio russo), ora impossibilitati ad inviare le rimesse economiche ai loro familiari nei territori d’origine. Le rimesse dei migranti costituiscono una voce considerevole nei bilanci nazionali delle deboli economie centroasiatiche, rappresentano ad esempio il 30% del PIL del Tagikistan e vengono utilizzate per supportare l’economia locale e i consumi. Il 17 Aprile il Presidente Putin ha deciso di fornire supporto economico ai lavoratori stranieri presenti in Russia, che verranno ad esempio esentati dal pagamento mensile dei cosiddetti permessi di lavoro sino al 30 giugno: è opportuno sottolineare che i migranti kirghisi non necessitano di permessi in quanto appartenenti ad uno stato membro dell’EAEU, mentre sono obbligatori per tagiki ed uzbeki in quanto nazioni extra-EAEU.

La necessità delle repubbliche centroasiatiche di contrarre prestiti per risollevare le economie nazionali lascia presagire il rafforzamento del ruolo della Cina, che dal lancio della Belt and Road Initiative ha elargito ingenti prestiti e investito miliardi di yuan in Asia Centrale.

L’atteggiamento di diffidenza nei confronti delle presunte ambizioni espansioniste di Pechino e la volontà di sfuggire alla cosiddetta “trappola del debito” (ovvero l’incapacità di economie deboli – Tagikistan e Kirghizistan in primis – di ripagare i prestiti ottenuti potrebbe ampliare il potere contrattuale cinese al fine di ottenere concessioni in ambito industriale, logistico-strategico, ecc) – che caratterizzavano il periodo precedente l’insorgere della pandemia globale – sono destinate ad attenuarsi a causa dello scenario economico emergenziale che si profila: il rafforzamento del ruolo di Pechino come partner commerciale strategico costituirà una scelta inevitabile per i governanti centroasiatici, con l’obiettivo di rivitalizzare le asfittiche economie nazionali.

Inoltre, la Cina ha un forte interesse a continuare ad investire nella regione per realizzare quei progetti infrastrutturali che rientrano nella strategia BRI: nonostante alcuni progetti-chiave siano già stati realizzati (il “porto di terra” di Khorgos, la connessione ferroviaria Khorgos-Aktau) o siano addirittura precedenti il lancio della BRI (l’oleodotto sino-kazako e il gasdotto sino-turkmeno) resta necessario costruire i segmenti ferroviari e stradali attraverso le repubbliche centroasiatiche per promouvere l’interconnettività e i collegamenti commerciali tra Cina ed Europa.

Un nodo cruciale da dirimere sarà invece in ambito energetico: infatti, la riduzione della domanda di gas e petrolio cinese (benché temporanea e motivata dalla condizione di stallo economico) e la scelta delle autorità di Pechino di prediligere l’opzione del gas naturale liquido (importato via mare) a scapito delle importazioni via terra (garantite ora in abbondanza dal gasdotto sino-russo Power of Siberia) potrebbero implicare la riduzione delle importazioni di gas dal Turkmenistan. Questo scenario plausibile mette chiaramente in evidenza la vulnerabilità di questa nazione che – pur detenendo le quarte riserve al mondo di gas naturale – non riesce a raggiungere concretamente i mercati (ad eccezione di Russia e Cina), a causa di ostacoli di natura geopolitica (la rotta transcaspica e quella attraverso l’Iran) e di sicurezza regionale (la rotta che attraversa l’instabile Afghanistan per poi raggiungere i mercati indiani e pakistani).

Fabio Indeo


Le opinioni espresse sono strettamente personali e potrebbero non necessariamente rappresentare le posizioni di Europa Atlantica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *