Intelligence economica: un’esigenza per l’Italia

Geopolitica, sicurezza, tutela degli asset strategici nazionali, finanza: quanto l’intelligence economica è importante, anche per l’Italia. L’analisi di Enrico Borghi.

La recente relazione varata (con voto unanime) dal Copasir in materia di tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo ha posto, tra le altre questioni, l’esigenza che il Paese si concentri in maniera adeguata e veloce sul tema dell’intelligence economica.

Gli attuali scenari geopolitici, infatti, con il processo di globalizzazione economica, di integrazione dei mercati e di estrema mobilità dei fattori produttivi da un lato, e con il fenomeno del “capitalismo politico” con gli Stati impegnati nell’impiego delle risorse produttive per finalità di natura strategica dall’altro, stanno determinando un profondo mutamento dei sistemi economici nazionali.

Come conseguenza di ciò, lo stesso concetto di “sicurezza economica” va aggiornato sulla base della complessità e della mutevolezza dei fenomeni in atto che caratterizzano lo scenario competitivo internazionale.

Se guardiamo ad esperienze internazionali a noi affini per modello di produzione o impianto costituzionale e valoriale, ci rendiamo conto che da tempo la questione della  “sicurezza economica” ha portato ad una evoluzione del sistema di intelligence. In Francia, in Giappone, negli Stati Uniti l’intelligence economica è andata assumendo un ruolo determinante nella competizione globale tra entità pubbliche e private, nella quale le variabili e le dinamiche economico-finanziarie influenzano in maniera sempre più marcata le scelte strategiche dello sviluppo.

Ci sono almeno due fattori di fondo che impongono oggi un salto di qualità nel campo dell’intelligence economica in Italia. Da un lato, vi è la crescente difficoltà delle sfide economiche e finanziarie che il Paese deve affrontare, acuite dall’impatto della pandemia che ha enfatizzato le difficoltà strutturali ormai storiche del nostro tessuto istituzionale ed economico-produttivo; dall’altro, le esperienze di analisi e di contrasto alla penetrazione economica “ostile” da parte di attori stranieri stanno aiutando a far crescere la necessità di mettere a sistema gli elementi di conoscenza strategici che i singoli soggetti pongono alla base dei rispettivi processi decisionali.

Se guardiamo attorno a noi nello scenario internazionale , ci accorgiamo che su questo versante nell’era del capitalismo politico risulta spesso evidente l’esistenza di “Sistemi Paese”,  che si muovono coordinando fra loro iniziative, strategie ed azioni tra soggetti pubblici e soggetti privati, e che si traducono in veri e propri vantaggi competitivi rispetto ai sistemi economici concorrenti.

L’Italia non ha, tra le sue molteplici caratteristiche, l’attitudine alla programmazione e alla capacità di gioco di squadra.

Sono due elementi che oggi rappresentano un fattore di arretratezza decisivo rispetto a nazioni dalle caratteristiche sociali, economiche e produttive a noi simili.

Tutti i Paesi dotati di economie sviluppate hanno avvertito l’esigenza di dotarsi di strutture deputate a definizione il contesto economico-finanziario nel quale agire per difendere l’economia, la ricerca e le imprese nazionali nella competizione globale, adottando modelli organizzativi che coinvolgono tutti i settori della pubblica amministrazione (compreso pertanto anche il settore dell’intelligence), a cui si aggiungono il mondo imprenditoria e quello della ricerca e della conoscenza.

Dobbiamo colmare questo ritardo italiano: di fatto oggi non esiste nel nostro paese una cultura dell’intelligence economica, nonostante vi siano manager ed imprenditori che compiono quotidianamente e costantemente operazioni che in altre nazioni sarebbero a pieno titolo considerate di “intelligence economica”. Pensiamo a ciò che si muove quotidianamente in materia di concorrenza, di raccolta e trasmissione dati, di elaborazione informazioni, di monitoraggio dei sistemi tecnologici, di brevetti, di lobbyng, giusto per fare alcuni esempi.

Detto in maniera ancora più esplicita: su questo settore, i Paesi concorrenti al nostro godono di un vantaggio competitivo, che si basa innanzi tutto sulla condivisione degli obiettivi strategici del Paese.

In Francia la “Guerre Economique” è materia di discussione accademica fin dagli anni Settanta, e dal 1994 opera la prima struttura pubblica deputata alla analisi, elaborazione e centralizzazione dei dati mediante la raccolta dei flussi da parte dell’Intelligence con il coinvolgimento delle Camere di Commercio, fino a giungere alla creazione del “Service de l’Information Strategique et de la Securité Economique” (SISSE) il cui commissario governativo, grazie ad una riforma voluta dalla Presidenza Hollande nel periodo in cui Macron era ministro dell’economia, è tenuto al coordinamento con tutto il governo e con i servizi di intelligence.

In Giappone vi è una lunga tradizione in tema di condivisione delle informazioni strategiche, che risale addirittura al XIX secolo, e vede una forte interrelazione tra le varie componenti del mondo politico ed economico dentro la dinamica tipicamente asiatica della compartecipazione dell’intera società alla raccolta e distribuzione delle informazioni e alla piena identificazione tra i bisogni individuali e bisogni collettivi nell’ottica dello sviluppo. Al Ministero dell’Economia giapponese, in tal senso, sono attribuite tipiche funzioni di informazione, in raccordo con esistenti strutture create per il trattamento di informazioni economiche di rilevanza strategica, anche segrete.

Persino negli Stati Uniti, terra per antonomasia del liberismo economico e del limite all’interferenza pubblica nell’economia, a fronte della crescente frequenza di atti economici ostili nel 1993 l’amministrazione Clinton avviò una serie di riforme che sfociarono in quello che oggi è il “National Economic Council” (NEC) che assicura al Presidente e al governo federale le informazioni strategiche riguardanti la sicurezza economica e costituisce l’anello di congiunzione tra l’ambito operativo dell’intelligence e il decisione politico.

In Italia non siamo all’anno zero. La legge 124/2007 rappresenta un ancoraggio significativo, e le strutture preposte al coordinamento (DIS) e all’operatività (AISI ed AISE) esprimono professionalità e capacità di prim’ordine. Soprattutto su spinta dell’Unione Europea (si pensi alla direttiva NIS o alla direttiva infrastrutture critiche) abbiamo iniziato un percorso che si è già sostanziato in una serie di atti e di strumenti, dalla golden power al perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Ma il ritardo in materia di intelligence economica va colmato, presto e bene.

Quando conduceva le operazioni belliche nei seminterrati londinesi, Winston Churchill aveva creato la “Economic War Room” per coordinare gli sforzi bellici inglesi. Non siamo certo in quelle condizioni, ma il bisogno in Italia di una “virtual economic room” per contribuire alla costruzione di un “Sistema Paese” pare avvertito.

E’ tempo di mettersi al lavoro, dunque!

Enrico Borghi, deputato, membro della Commissione Difesa e del Copasir

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