Pandemia e crisi economica. Ricadute e prospettive per l’Europa

A oltre un anno dall’inizio della crisi sanitaria, la pandemia ha avuto effetti molto pesanti sull’economia europea e mondiale. Quali sono stati i settori più colpiti e quali prospettive per il dopo crisi? L’analisi di Domenico Bevere

A oltre un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, la crisi ha mostrato tre caratteristiche essenziali. È diventata, innanzitutto, un fenomeno globale poiché il virus ha mostrato un’entità, una portata e una velocità senza precedenti, facendo il giro del mondo in pochi mesi e differenziandosi da altre crisi più o meno recenti i cui effetti sulla salute sono stati localizzati e limitati. Inoltre, gli effetti sono  stati multidimensionali poiché ha avuto impatti negativi sia sulla salute pubblica che sull’attività economica nella maggior parte delle economie nazionali. Nel contempo, le risposte politiche concepite per affrontare un eventuale impatto negativo attraverso misure di contenimento, hanno di fatto causato un rovesciamento della medaglia con conseguente peggioramento dell’attività economica. Infine, data la natura fortemente interconnessa con cui le catene del valore coinvolgono persone, capitali, beni e servizi, l’impatto sul sistema economico internazionale è stato draconiano.

L’economia dell’Unione Europea, in particolare, ha chiuso il 2020 nella morsa della recessione più profonda dalla seconda guerra mondiale, con una contrazione del PIL del 6,3%. La crisi pandemica e le misure adottate per contenerla hanno quindi determinato una recessione di portata eccezionale.

Mentre il PIL è diminuito in tutte le economie dell’area, l’impatto è variato a seconda della prevalenza  del virus in ciascun Paese, dalle misure messe in campo per arginarlo, dalla struttura e delle politiche economiche sviluppate dai governi per attenuare il colpo. Di rilevante impatto è stato il calo di fatturato registrato in numerosi settori, tra cui alberghi e ristorazione i quali sono stati i più colpiti, avendo risentito più direttamente sia delle restrizioni derivanti dai lockdown sia dal calo della domanda. Anche il settore tessile ha subito ingenti perdite, probabilmente a causa del calo della domanda interna ed estera. Il settore alimentare, di contro, ha segnato una riduzione meno marcata del fatturato. Inoltre, le imprese internazionalizzate hanno meglio affrontato la crisi rispetto a quelle che operano esclusivamente sul mercato interno, ciò perché le perdite di fatturato tendono a ridursi al crescere del grado di internazionalizzazione. Di conseguenza, il calo del PIL è stato più pronunciato laddove i Paesi  dipendono in misura maggiore da questi settori, come Spagna, Francia e Italia.

La Banca Centrale Europea, in risposta alla crisi economica, ha adottato misure espansive straordinarie volte a garantire la liquidità sui mercati e sostenere il credito a famiglie e imprese. In particolare, le misure intraprese sulle attività conferibili a garanzia delle operazioni di politica monetaria si sono articolate lungo tre direttrici: 1) allentamento delle misure di controllo dei rischi, che in uno scenario di stress economico e finanziario permetterebbero di accrescere in modo tempestivo il valore delle garanzie; 2) estensione della gamma di attività stanziali, focalizzate sui prestiti bancari, così da incentivare l’offerta di credito all’economia reale; 3) abbassamento della soglia minima di merito di credito pre i titoli già idonei, per mitigare gli effetti derivanti da eventuali declassamenti del rating a parte delle agenzie.

La perdita dei posti di lavori accorsa nella prima metà del 2020, seppur in misura inferiore rispetto al calo dell’attività economica è in gran parte dovuta al successo degli strumenti di sostegno messi in campo dagli stati membri dell’UE. Dal canto suo, l’Italia ha introdotto straordinarie misure a sostegno dell’occupazione come l’estensione della cassa integrazione a tutte le imprese senza costi per le stesse, l’introduzione del divieto di licenziamento per i lavoratori a tempo indeterminato, il potenziamento dei sussidi di disoccupazione e la concessione di bonus straordinari per le categorie poco coperte dagli ammortizzatori. In definitiva, il tasso di disoccupazione dell’UE stimato dovrebbe salire all’8,6% nel 2021, dal 7,7% del 2020, per poi scendere all’8% nel 2022.

Dopo la prima ondata del virus e l’allentamento dei vari lockdown, la ripresa dell’attività economica nel terzo trimestre ha dimostrato la resilienza delle economie europee, nonché il successo delle misure fiscali e monetarie messe in atto. Tuttavia, la seconda ondata giunta al quarto trimestre e contrastata, diversamente dalla prima, con misure localizzate e mirate, ha provocato una nuova contrazione economica. Nel complesso, l’arresto della produzione subita a seguito dello shock pandemico ha evidenziato l’intrinseca vulnerabilità, nonché l’eccessiva dipendenza, delle catene di approvvigionamento estese su più Paesi. Dunque, una potenziale ricaduta della crisi da Covid-19 potrebbe riguardare l’effettivo ripiegarsi delle catene del valore a seguito della scelta delle imprese internazionalizzate di modificare la propria rete di fornitori e acquirenti, riportando nel paese di origine fasi produttive in precedenza demoralizzate (reshoring). Studi condotti dalla Banca d’Italia a fine 2020 hanno sottolineato come il 60% delle imprese italiane con impianti all’estero non aveva ridotto la propria presenza internazionale e il 78% delle imprese con fornitori esteri non intende diminuirne il numero. Ciò è dovuto al cosiddetto “capitale relazionale”, intrinseco alla partecipazione alle catene del valore, in cui le imprese internazionalizzate investono sostenendo un costo fisso elevato, non recuperabile quando tali relazioni cessano.

Recentemente la Commissione Europea ha diffuso le proprie stime invernali sulla crescita economica nei vari Paesi dell’Unione Europea nel 2021, mantenendo una visione cautamente ottimistica sul futuro della congiuntura. In particolare, si prevede un ritorno ai livelli economici pre-pandemia entro la fine del 2021 o, al massimo, l’inizio del 2022. Ciò supponendo che il lancio dei vaccini continui ad accelerare in tutta l’area durante il secondo trimestre del 2021. La crescita prevista per il PIL è del 3,7% nel 2021 e del 3,9% nel 2022: un dato inferiore alla stima di autunno per l’anno in corso (4,2%), mentre in aumento nel 2022 rispetto alle previsioni precedenti (3%). Secondo i recenti dati Eurostat, la stima preliminare del PIL destagionalizzato dell’area euro è diminuita dello 0,7% nel quarto trimestre 2020, in parte a causa del significativo calo dei prezzi dei servizi e dell’energia, rispetto al trimestre precedente, mentre il calo nell’UE è stato dello 0,5% nello stesso periodo. Questi cali, dunque legate alle misure di contenimento del Covid-19, seguono un forte rimbalzo nel terzo trimestre 2020 (+12,4% nell’area euro e +11,5% nell’UE). Nonostante ciò, sulla base della prima stima della crescita annuale per il 2020, il PIL è diminuito del 6,8% nell’area euro e del 6,4% nell’UE. La pandemia, in particolare, ha provocato un marcato aumento dei livelli di debito sovrano e societario, con crescenti interconnessioni tra banche ed imprese. Tale aumento del debito sovrano e societario, unitamente al calo del PIL, ha comportato un aumento dei rapporti di indebitamento delle imprese e dei governi. Tuttavia, secondo le stesse previsioni, un rafforzamento dell’attività economica nella seconda metà del 2021 dovrebbe vedere tassi di inflazione su base annua dell’1,5%.

L’Italia, invece, rispetto alla media europea (Francia 5,5% e 4,4%) potrebbe fare peggio, con una crescita del 3,4% nel 2021 e del 3,5% nel 2022, in netto calo rispetto alle previsioni di autunno del 4,1% e del 2,8%. A tal fine, la Commissione Europea spera nell’impatto positivo del nuovo Fondo per la Ripresa da 750 miliardi di euro, di cui circa 200 miliardi potrebbero andare all’Italia sotto forma di sussidi e prestiti. Una manovra che potrà vedere la luce in primavera e che potrà indurre una crescita più forte del previsto dal momento che i finanziamenti previsti non sono stati ancora incorporati in queste stime. In particolare, il Fondo per la Ripresa potrebbe avere un impatto medio sul PIL del 2% nel periodo di piena operatività. Infine, i Paesi a basso PIL pro capite rispetto alla media europea, tra cui l’Italia, riceveranno una spinta maggiore con livelli del PIL nel periodo 2021-2026 del 3-3,5% rispetto ad uno scenario senza Fondo per la Ripresa.

Domenico Bevere


Immagini tratte da Pixabay.com

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