Cosa sta facendo la NATO?

La risposta dell’Alleanza Atlantica all’emergenza Covid-19. L’analisi di Karolina Muti (IAI) pubblicata su Affari Internazionali

Allo scoppio dell’emergenza Covid-19, i Paesi più colpiti a livello europeo hanno adottato misure eccezionali in maniera caotica e scoordinata. Questa reazione ha mostrato il paradosso tra sfida transnazionale e risposte di chiusura nazionali e, talvolta, nazionaliste. Allo stesso tempo, alcuni capi di stato hanno utilizzato un lessico militarista per descrivere la pandemia mondiale in corso. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito il virus un nemico da battere, sottolineando che la Francia è in guerra. Il linguaggio espresso ha contribuito a far apparire il virus una minaccia alla nazione, come se il Paese stesso fosse sotto attacco, e non si trattasse invece di una minaccia collettiva al mondo globalizzato.

Semplificazioni inadeguate
L’inadeguatezza dei termini utilizzati, ma anche l’iniziale risposta prettamente nazionale dei governi, rispecchia le grandi difficoltà dei leader e delle comunità a definire, comunicare e reagire al fenomeno complesso di una pandemia globale.

Di fronte a un evento simile, i leader hanno bisogno di spiegare, rapidamente e con chiarezza, ai propri cittadini, la gravità della situazione e giustificare misure emergenziali senza precedenti nell’Europa liberal-democratica. Si può però combattere una guerra contro un evento accidentale? Ha senso definirlo “nemico”? Queste semplificazioni nascondono l’incapacità di capirne in pieno la natura e portata. Forse sarebbe più corretto parlare, ad esempio, di crisi di sicurezza globale.

Data la natura di una minaccia di tipo biologico e di fronte all’inadeguatezza delle risposte nazionali, la soluzione non può che essere cooperativa, transnazionale e multidisciplinare. In questo quadro, il 2 aprile 2020 i ministri degli esteri dei Paesi Nato si sono incontrati, per la prima volta in videoconferenza, per decidere sulle prossime misure da adottare. La gestione dell’emergenza Covid-19 sarà un buon banco di prova per testare quel comprehensive approach tanto caro all’Alleanza, confrontandosi con un fenomeno che esula dai compiti tradizionali e più conosciuti della Nato. Inoltre, è un’opportunità per verificarne la capacità di coordinamento con altri attori internazionali quali l’Ue, l’Onu e l’Oms.

Resilienza degli alleati
L’ultimo concetto strategico del 2010 indica che i rischi alla salute fanno parte del contesto di sicurezza che la Nato si impegna a proteggere. Ma è anche una interpretazione dell’articolo 3 in chiave di resilienza, prontezza e preparazione, a fungere da base per le azioni intraprese. La resilienza è considerata, infatti, come base per garantire sicurezza e difesa collettive, e combina il concetto di prontezza e preparazione civile, con quello delle adeguate capacità militari. Riducendo le proprie vulnerabilità e rafforzando dunque la resilienza individuale, ogni alleato contribuisce indirettamente a ridurre le vulnerabilità della Nato stessa.

Alla base di questo ragionamento vi è la consapevolezza che la componente militare dell’Alleanza  dipende da una solida componente civile, necessaria a supportarne le azioni. Le componenti militare e civile sono infatti complementari e la prima non potrebbe esistere senza mezzi di trasporto e comunicazioni civili, o approvvigionamenti di beni di prima necessità come acqua e cibo. Da qui la necessità di tutelare e mantenere in buona salute quegli asset e infrastrutture critiche dai quali dipende la componente militare, ma, ancor più, il funzionamento di una società.

Durante il summit Nato di Varsavia nel 2016, l’alleanza ha indicato dei requisiti minimi per rafforzare la resilienza degli alleati. Tra questi, la capacità di affrontare situazioni con un alto numero di vittime e quella di garantire la tenuta del sistema sanitario, compreso un livello sufficiente di rifornimenti medici, adeguatamente stoccati e custoditi.

Cosa sta facendo la Nato?
La Nato sta contribuendo ad affrontare il Covid-19 attraverso uno dei suoi strumenti meno noti: il Centro di coordinamento euro-atlantico di risposta alle catastrofi (Eadrcc). Il centro, attivo dal 1998, è il principale meccanismo di risposta alle emergenze civili nell’area euro-atlantica a disposizione dell’Alleanza. L’Eadrcc accentra e coordina le richieste di assistenza che possono essere inviate dagli alleati e dai Paesi partner, fungendo da punto di contatto per un network di attori tra alleati, partner e organizzazioni internazionali.

Attualmente, le richieste di aiuto sono arrivare da cinque alleati: SpagnaMontenegroItaliaAlbania e Macedonia del Nord, oltre che da Ucraina, Moldavia, Bosnia-Erzegovina e Georgia. La richiesta italiana è partita il 26 marzo dal dipartimento dei Vigili del fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa civile del ministero dell’Interno. Mascherine, gel disinfettante, tute protettive sono arrivate in Italia tramite l’Eadrcc da Repubblica Ceca e Turchia.

In prima linea c’è anche l’agenzia di supporto e approvvigionamento della Nato (Nspa), che fornisce supporto logistico e che organizza il trasporto di forniture e equipaggiamenti chiave ad alleati, partner e organizzazioni internazionali. Dal 2 aprile 2020 ha autorizzato anche l’utilizzo delle rotte dell’Alleanza nello spazio aereo europeo per voli militari di forniture mediche. A Taranto inoltre, un team della Nspa sta collaborando con una start up locale per produrre valvole stampate in 3D e adattare maschere da sub in maschere per ventilatori.

Facendo affidamento su meccanismi cooperativi ben rodati in 70 anni di alleanza, la Nato fa parte di quei fora internazionali dove scambiarsi informazioni e lezioni apprese sulla gestione di sfide globali, o cercare inedite convergenze. Non solo tra alleati, ma anche con i 39 Paesi partner. Infatti, è nei consessi internazionali che si giocano, e si vincono, partite grandi come questa.

Karolina Muti è Ricercatrice Junior dell’Istituto Affari Internazionali

Articolo originale pubblicato su Affari Internazionali

Fonte immagine sito NATO.int


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