Green Acceleration: le implicazioni pandemiche sul mercato energetico e le strategie geoeconomiche

Possibili implicazioni della crisi pandemica sul mercato energetico, e in particolare anche sulle energie rinnovabili, e eventuali conseguenze strategiche e geoeconomiche. L’analisi di Gabriele G. Marchionna

Secondo gli autori del podcast di McKinsey&Company, il gap tra le aziende di alto profilo e quelle di basso profilo durante la pandemia si è esteso per due motivi: 1) di medio periodo, i blocchi e le interruzioni hanno messo a dura prova quelle imprese più piccole, costringendole ad unioni o a subire acquisizioni per sopravvivere; 2) di lungo periodo, gli investimenti rivolti al futuro, in innovazione e digitalizzazione, programmati già previa pandemia hanno permesso il rilancio – e la continuità operativa – delle imprese più grandi. È dunque vero che la pandemia ha fatto emergere peculiarità tali per cui le vulnerabilità sistemiche venissero a galla. Tuttavia, il 2020 per McKinsey & Co. è l’anno de “La Grande accelerazione”, The Great Acceleration, ossia un periodo nel quale la parola d’ordine è sopravvivenza e le esternalità, soprattutto con lo sguardo al settore energetico analizzato di seguito, sono molteplici tanto quanto i rischi e le implicazioni che si registrano. Questi ultimi, in particolare, sono stati centrali nelle dinamiche geopolitiche, oltre che industriali.

Lo shock pandemico

Con uno sguardo al passato, il 5 marzo 2020 segna un evento particolare nella cronologia del mercato energetico. Il vertice di Vienna convocato dal leader di OPEC, l’Arabia Saudita, poneva “buone” basi per accentuare gli attriti con OPEC+ a guida russa: si mirava a tagli concordati alla produzione per spingere in alto i prezzi. In parallelo, il declino dell’export iraniano e il blocco della produzione libica chiudono un quinquennio caratterizzato da un aumento costante dell’offerta extra-OPEC. In quel frangente, il greggio era rapidamente precipitato tra i 50 e i 53 dollari al barile. Il forte rallentamento della produzione industriale e la contenuta crescita economica della Cina, principale driver della domanda energetica globale, si calcolava potessero avere ripercussioni sulle prospettive dell’intera economia mondiale. La pandemia veniva accompagnata da uno shock della domanda, mentre il lato dell’offerta – sostenuta da prezzi negativi e carenze nella capacità di stoccaggio – permetteva alla crisi di prevaricare i confini regionali e assumere un carattere multisettoriale[1] a causa anche dei blocchi che il Covid-19 aveva posto alle economie nazionali.

Tuttavia, al contrario di quanto suggerito dalle analogie storiche e riprendendo il podcast di McKinsey, quanto avvenuto ha aperto una finestra verso le strategie di transizione energetica, a patto ovviamente che ci siano cambiamenti in termini politico-burocratici, infrastrutturali e di mercato. Subito dopo lo shock infatti, lo scenario evidenziava due linee parallele: da un lato, il settore petrolifero e del gas in difficoltà per il crollo dei prezzi; dall’altro, invece, le energie rinnovabili in grande vitalità grazie ad accordi off-take[2], garanzia sui rendimenti, accesso prioritario alla rete e condizioni insolitamente buone per il fotovoltaico. Su quest’ultima linea, ad esempio, era già prevedibile come gli sforzi dell’italiana ENI[3] avrebbero portato ad una rilevanza nello scenario post pandemico, confermato già da quanto esposto dall’AD Claudio De Scalzi nella presentazione dei primi risultati della Eni strategic plan 2021-2024: towards zero emissions.

A tal proposito, infatti, la rapida crescita dei consumi registrati particolarmente dal 2010 ad oggi, il ribasso dei prezzi delle fonti fossili ma soprattutto l’aumento di emissioni globali di CO2 (secondo IEA, massimi storici sono registrati per il 2018 e il 2019) sono stati congiuntamente determinanti per il dibattito attuale, ma soprattutto per una Great (and Green) Acceleration. Gli sforzi politici provenienti a livello internazionale dall’Accordo di Parigi sul Clima e dal perseguimento dei Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e a livello europeo con la Renewable Energy Directive 2018/2001 e con il Green Deal per la Carbon Neutrality al 2050, hanno spinto ogni attore pubblico e privato a guardare oltre il comparto energetico tradizionale. In ottica cooperativa, l’assimilazione da parte degli attori statali ha visto un forte attivismo. L’Italia in primis, ad esempio, ha risposto con l’aggiornamento della Strategia Energetica Nazionale (SEN) ed un nuovo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) 2030 supportato dal Recovery Fund.

Le implicazioni sono maggiormente evidenti sul mercato elettrico globale

Il 2020, anno della pandemia, è anche l’anno in cui l’importanza dell’energia – in particolare quella elettrica – assume un ruolo centrale. I blocchi e le restrizioni necessarie al contenimento del Covid-19 correntemente in diffusione hanno impattato trasversalmente tutti i settori di ogni Sistema Paese e dunque globali.

La IEA (International Energy Agency) nell’ultimo rapporto del 2020 espone:

  • Una diminuzione della domanda globale di elettricità del 2% rispetto al 2020: un calo molto più importante di quello avuto con la crisi finanziaria del 2009, in cui si registrò intorno allo 0,6%, ma minore rispetto al 5% previsto dalla stessa IEA nel Global Energy Review;
  • La forte e inattesa ripresa in Cina e in minore scala anche in India nel secondo semestre, hanno unitamente compensato la contrazione della domanda registratasi nel primo. La Cina sembra essere l’unica grande economia ad avere un aumento della domanda elettrica nel 2021, pur con una crescita pari ad 1/3 della sua recente media del 6,5%. USA, India, Europa, Giappone, Corea del Sud e Sud-Est Asiatico segnano tutti un calo dei consumi elettrici per il 2020;
  • un impatto negativo nel 2020 per carbone (-5%), gas (-2%) e nucleare (-4%). Il suddetto calo della domanda e le ormai aperte finestre produttive per le rinnovabili – stimate al +7% nel 2021 – sono dunque le caratteristiche principali del Covid-19 sul mercato energetico globale e sui prezzi all’ingrosso, che registrano un calo medio del 28% nel 2020.
  • Anche le emissioni di CO2 sembrano essere diminuite del 5% nel 2020.

Cosa aspettarsi dal Covid-19 nel 2021?

L’economista Philip Verleger, nel post The End of Oil fa suonare l’allarme: il petrolio non è morto, bensì sta acquisendo una sua robustezza. Le ragioni, come fa notare Alberto Clò, appaiono le seguenti:

  • Ripresa della domanda da 91mil.bbl7g del 2020 ai 96,4 del 2021 (IEA)
  • L’elezione del Presidente Joe Biden ha implicato uno stimolo di 1.900miliardi di dollari all’economia americana
  • Economie rassicurate dalla diffusione dei vaccini anti Covid-19
  • I tagli alla produzione dei paesi OPEC+ (108% per OPEC, 93% per i non-OPEC)

Al contempo, le energie rinnovabili – in particolare eolico, solare e fotovoltaico – rimarranno secondo le previsioni al centro del 2021, configurandosi al 29% del mix energetico (+1% dal 2020). Il nucleare è pronto a crescere (previsto il +2,5%) spinto dai rimbalzi in Francia, Giappone, Cina ed Emirati Arabi.

L’ottica “GEO” sia politica che economica e uno sguardo al futuro

Se per le economie più avanzate, il comparto green si accaparra sempre più spazio nelle strategie pubbliche e private coerentemente con gli obiettivi di carbon neutrality e di sviluppo sostenibile a scapito del comparto tradizionale, in quelle emergenti e in via di sviluppo la crescita sostenuta della domanda di energia elettrica richiederà più di quanto prodotto da rinnovabili e nucleare, lasciando spazio a carbone e gas. Su questa linea, la IEA calcola un aumento atteso del 3% nel 2021 per il carbone e dell’1% per il gas, inducendo un inevitabile aumento delle emissioni globali di CO2 globali del 2%.

Le implicazioni sono riconducibili a quanto proposto inizialmente: la Great Acceleration dei grandi attori privati che hanno saputo guardare lungo già prima della pandemia fa sorgere una similitudine con gli attori statali più avanzati in ottica di Green Acceleration. In altre parole, quelle economie avanzate che già erano all’avanguardia per diversificazione del mix energetico, protezione delle infrastrutture, quadro normativo e coordinamento pubblico-privato, così come in politiche d’innovazione a supporto del settore energetico, hanno avuto la possibilità durante la pandemia di sfruttare quelle finestre per le rinnovabili grazie al proprio potenziale tecnologico. A supporto di questa tesi, The Oxford Institute of Energy Studiesha analizzato il posizionamento di alcuni attori. Prima fra tutti, troviamo la Cina su solare, eolico onshore e batterie agli ioni di litio; a seguire, UE e USA sono in corsa per lo sviluppo di tecnologie di prossima generazione; la competizione per gli elettrolizzatori, guidata sempre dalla Cina, vede USA e UE faticare sui costi di produzione; infine, i fornitori di tecnologia con coordinamento pubblico-privato, come Francia e Corea del Sud, insieme a Cina e Russia, registrano prestazioni migliori rispetto alle società private di USA e Giappone.

Sulla linea dell’innovazione tecnologica come fattore abilitante per la transizione energetica, le dinamiche globali vedono:

  • la leadership cinese con politiche di clean energy in completa contrapposizione alla sua postura di importatore e consumatore di carbone;
  • il supporto collaborativo dell’UE ai conglomerati automobilistici e sui veicoli elettrici;
  • la spinta tedesca all’idrogeno verde e il tentativo di superare la Cina nel tentativo di non perdere nuovamente la leadership nell’industria fotovoltaica;
  • la geografia del commercio e gli estesi incentivi di carattere finanziario fondamentali per l’idrogeno e il nucleare, così come gli accordi interistituzionali su cui punta la Russia;
  • l’Italia, forte sia del consenso che lentamente raccoglie sul fronte europeo che della rinnovata partnership tra il nuovo Governo guidato da Mario Draghi e il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, spinge sulle rinnovabili con incessabile e intenso impegno del settore privato e dei relativi piani strategici, in piena sinergia con il framework normativo nazionale ed europeo, nonché internazionale;
  • gli USA, culla dell’hydrogen economy, registrano più veicoli a fuel cells, seguiti da Giappone (25%), Unione Europea (11%, principalmente in Germania e Francia) e Corea;
  • Paesi Bassi e Regno Unito si concentrano invece sugli investimenti dall’estero, mentre l’Australia punta alla leadership della transizione energetica seguita dagli attori europei Germania, Francia, Spagna e Portogallo.

Quali sono i fattori determinanti nella Green Acceleration?

Dare per valido l’approccio mainstream della resilienza sarebbe riduttivo ma non scontato. In effetti, un’impostazione strutturale integrata fra risorse e capacità strategico-tattica fa la differenza. Innovazione digitale e collaborazioni (M&A in ambito aziendale), meglio se intersettoriali, sono i fattori che maggiormente aumentano l’aderenza alle richieste di mercato. La lezione dunque, sia per il pubblico che per il privato, come sempre, non è reagire ma assumere una mentalità costante, in esercizio continuo, atta al guardare oltre con audacia. L’approccio olistico, in altri termini, consiste nel creare delle “optionality”, ossia le condizioni per agire sulle opportunità, che per il settore energetico tendono sul fronte rinnovabile.

In un periodo di interruzione e di alta vulnerabilità dovuta ad esternalità come la pandemia e lo shock del mercato petrolifero, rafforzamenti di alleanze e bilanci tendenzialmente più deboli, la parola d’ordine anche per la transizione energetica è sopravvivenza: cioè farsi spazio con strategia di lungo periodo, incentivi all’innovazione e collaborazione pubblico-privata.

Gabriele G. Marchionna


[1] A causa della pandemia e della crescita della domanda, si registrano prezzi in negativo per il petrolio USA e grosse carenze nella capacità di stoccaggio: il Wti (greggio prodotto in Texas) è calato, arrivando a – 37.63$/bar. Tramite questi prezzi, la crisi colpisce il settore petrolifero dopo i blocchi imposti in molte delle principali economie mondiali. Dopo il taglio a firma OPEC di circa il 10% dell’offerta mondiale di greggio, si prevedono riduzioni di varia entità fino all’aprile 2022 come parte degli sforzi per stabilizzare i prezzi.

[2] Uno dei principali ostacoli agli investimenti nelle energie rinnovabili è che tradizionalmente ci sono stati rendimenti a due cifre sui progetti di petrolio e gas, e a cifre singole per le energie rinnovabili. Prima della pandemia, il prezzo del petrolio si aggirava intorno ai $ 70 al barile e stava inseguendo progetti a monte che offrivano rendimenti stimati del 15% -20%. Da allora, il petrolio è sceso al di sotto di $20 e ha persino toccato un terreno negativo per lo stoccaggio ridotto sul mercato a termine. Data tale pressione sul settore, i rendimenti di circa il 9% potrebbero apparire molto più appetibili rispetto a quelli ottenuti alla fine del 2019.

[3] L’Eni in Italia ha ridotto il capex (spesa in conto capitale) di circa il 25% quest’anno con obiettivo del 35% nel 2021. Inizialmente, il capitale investito a basse emissioni di carbonio era di 2,6 miliardi di euro combinati per entrambi gli anni, con fondi suddivisi all’80% all’estero e al 20% in Italia. All’inizio di questo mese, Eni, attraverso la sua filiale locale rinnovabile ArmWind, ha avviato la produzione commerciale presso il parco eolico di Badamsha a terra da 48 MW nel Kazakistan nord- occidentale. Eni ha un obiettivo 2050 di 55 GW di capacità rinnovabile installata e una base clienti al dettaglio superiore a 20 milioni, principalmente nei paesi OCSE. Eni ha anche recentemente costruito parchi fotovoltaici solari in siti industriali in Italia e ha aspirazioni rinnovabili negli Stati Uniti.


Immagini tratte da Pixabay

Le opinioni espresse sono personali e potrebbero non rappresentare le posizioni di Europa Atlantica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *