Europa e libertà. Quel che resta del D-day

Il significato, a settantacinque anni di distanza, di un evento che ha cambiato il corso della storia in Europa e non solo.

Il settantacinquesimo anniversario dello sbarco in Normandia è caduto solo pochi giorni dopo le elezioni europee, il momento politico e democratico più importante per l’Unione Europea. L’unico in cui i cittadini dell’Unione possono decidere chi li rappresenterà al Parlamento europeo.

Senza esagerazioni, possiamo dire che i diritti democratici, che gli europei riacquisirono pienamente in molti paesi proprio dopo il 1945, esercitati su scala nazionale come su scala europea, sono strettamente legati al D-day e ai suoi esiti. Forse molto più di quanto, a distanza di tanti anni, molte persone si rendono conto. Perché quella mattina del 6 giugno 1944, in Europa, le forze nazi-fasciste estendevano il loro controllo sulla quasi totalità del territorio continentale, in particolare su quei paesi, Francia, Germania, Olanda, Italia del Nord, che solo pochi anni dopo avrebbero dato il via alla nascita delle Comunità Europee ( CECA, CEE, Euratom…). Immaginare, allora, milioni di cittadini europei che votano contemporaneamente nei propri paesi, nelle proprie città, per scegliere i membri del Parlamento di una comunità sovranazionale europea come l’UE, sarebbe stato davvero utopico. Oggi è realtà.

Al di là delle celebrazioni, delle sfilate, degli interventi evocativi dei capi di stato o degli ultimi reduci che misero, tra le pallottole e le bombe, piede sulle spiagge scelte per lo sbarco, cosa rimane, a settantacinque anni di distanza, di quell’evento? Perché è ancora così importante per noi europei e per tutto il mondo atlantico?

Nel 1941 Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt, nel pieno dell’infuriare della guerra su tutti fronti, con la Germania nazista e il Giappone al massimo della loro espansione bellica, l’Italia fascista saldamente in campo al loro fianco, molti paesi nella loro orbita politica, dettero vita alla Carta Atlantica. Il primo documento pensato per delineare il mondo che sarebbe dovuto essere dopo la fine della guerra, scritto probabilmente dai due più grandi statisti che il mondo occidentale abbia conosciuto nel novecento, un secolo pur abbastanza affollato di grandi leader politici. Un mondo nuovo, libero non solo dall’ombra e dalle grinfie del totalitarismo, ma anche e soprattutto governato dal multilateralismo e dal diritto internazionale. È in nome e grazie al percorso avviato con la Carta Atlantica, di cui si dice il vecchio Churchill fosse particolarmente fiero, se poi si è dato seguito negli anni conclusivi della guerra al processo di pace che ha portato alla costruzione delle Nazioni Unite e del sistema internazionale intorno ad esse organizzato. Ma anche se con la vittoria della guerra e l’alleanza costruita intorno ai paesi atlantici si è potuto dare vita alla NATO.

La Carta Atlantica ha in qualche modo segnato un cammino di cui i valori fondanti delle democrazie moderne e del moderno sistema internazionale erano la base. Un cammino che, per essere percorso fino in fondo, avrebbe avuto bisogno del sacrificio di migliaia di uomini e ancora altri anni di sacrifici, per vincere la guerra e liberare l’Europa.

Ecco, tre anni dopo la firma della Carta Atlantica, il D-day, lo sbarco in Normandia, segna il vero momento di svolta nell’inizio della liberazione dell’Europa continentale. Gli alleati era già sbarcati da circa un anno in Italia, al 6 giugno 1944 parte del paese era stata già liberata, con un dispendio peraltro molto alto di uomini, inglesi, americani, polacchi, francesi. Addirittura tra il 4 e il 5 giugno era stata liberata Roma. Poche settimane dopo l’avanzata anglo-britannica avrebbe raggiunto anche le città del centro Italia fino a Firenze, prima di arrestarsi per alcuni mesi lungo la Linea Gotica.

Ma l’impatto, le dimensioni, l’importanza strategica e storica dello sbarco in Normandia furono enormemente più grandi e significativi di ogni altro evento o battaglia della Seconda Guerra Mondiale avvenuti fino a quel momento. Dopo quasi 5 anni di guerra, dal settembre del 1939, dopo aver resistito e respinto gli attacchi su Londra e combattuto aspramente sui mari, in Africa, in Medio Oriente, nel Pacifico, finalmente gli Alleati dispiegavano tutta la loro potenza militare riversando migliaia di uomini su 5 spiagge della Normandia, per dare avvio alla grande liberazione della Francia e di tutta l’Europa. Il tutto mentre non solo l’Europa era schiacciata e atterrita dalla violenza e dalla oppressione nazista, ma aveva ormai preso avvio la deportazione e lo sterminio degli ebrei europei.

Sappiamo quanto fu complesso e dispendioso in termini di vite umane lo sbarco e i mesi di combattimenti successivi. Per decenni storici e analisti ne hanno discusso ampiamente, mentre libri e film, serie televisive e fumetti hanno riproposto gli eventi e la storia di quei giorni. Sappiamo anche quanto furono decisive le vittorie e l’avanzata sovietica da est per liberare la Germania e concludere la guerra. Il D-day davvero fu un fatto enorme anche per il nemico che allora gli alleati fronteggiavano. I Nazisti stavano perdendo la guerra, ma contavano ancora su una notevole potenza militare, e fino all’ultimo, fino a Berlino, non cedettero, strascinando per mesi nel baratro un paese intero, la Germania, che finì letteralmente devastato. Ma non era scontato decidere di riconquistare l’Europa, dopo la fuga rocambolesca di qualche anno prima dei britannici dalle spiagge francesi e immaginando quanto sarebbe costato in termini di vite umane e risorse economiche.

Lo sbarco cambiò la storia, o meglio, innescò il processo di riscatto che condusse alla liberazione dei popoli europei e alla fine della guerra. E certamente lo spirito atlantico che trionfò rese possibile quello che, dopo la guerra, sulle macerie ancora fumanti, fu costruito in pochi anni riunendo paesi che si erano combattuti. E che senza lo sbarco e la vittoria totale degli alleati non sarebbe stato possibile.

Abbiamo un debito molto alto, tutti noi, con i leaders politici che decisero quell’impresa dopo aver combattuto ostinatamente la guerra contro il Nazi-fascismo per anni. Ma il debito è grande anche verso coloro che ancora oggi riposano dei cimiteri monumentali disseminati in tutta Europa, che accolgono le spoglie di migliaia di ragazzi, spesso giunti dall’altra parte dell’Oceano e da altri continenti, morti per la libertà di terre e popoli che non conoscevano neppure. Ve ne sono molti, non solo in Francia, ma anche in Italia dove sventolano la bandiera americana o quella del Regno Unito. Abbiamo un debito enorme verso di loro, come verso i patrioti europei che in clandestinità o nelle milizie partigiane combatterono al fianco degli alleati, sul fronte francese, come lungo la linea Gotica o nel nord Italia. Così come il debito e il ricordo è giusto riservarlo, anche alle vittime, milioni, di quella folle guerra, morti per bombe, fame, persecuzioni, rappresaglie, o nei lager nazisti.

L’Europa della libertà, della giustizia, del mercato unico, della libera circolazione delle persone è nata grazie anche a coloro che persero la vita il 6 giugno, appena posato piede sulla sabbia di Normandia o nei giorni successivi, combattendo palmo a palmo sul suolo francese. Lo spirito atlantico, oggi, purtroppo, molto spesso messo in discussione, a volte fragile, che ha permesso di mantenere libera l’Europa occidentale per molti anni, mentre a est si alzavano muri e nuovi tiranni opprimevano le popolazioni dei paesi caduti nell’orbita sovietica, e che ha garantito pace duratura e benessere per noi europei, fu battezzato in Normandia. E da allora, comunque, è ancora vivo e sta a noi continuare a farlo vivere, non solo attraverso l’esercizio, fondamentale, della memoria, ma anche attraverso l’impegno quotidiano e la custodia dei valori che ci ha trasmesso e per cui, allora, in tanti si sacrificarono.

Quel che resta oggi, nel 2019, del senso profondo di quel giorno, non sono solo i monumenti o il ricordo, ma è soprattutto l’opera fondamentale che ci è giunta: la democrazia. Il bene più prezioso che i nostri nonni, che coloro che combatterono e sopravvissero alla guerra, che i ragazzi di Omaha Beach ci hanno lasciato. Di cui abbiamo goduto fino ad oggi, a volte inconsapevolmente. Perché on era scontato vincesse, la democrazia, in Europa, prima di quel giorno di giugno del 1944. È utile ricordarlo, anche il 7 o l’8 giugno di settantacinque anni dopo, come ogni giorno dell’anno.

È stato anche grazie agli eroi del D-day se pochi giorni fa abbiamo potuto votare e lo potremo fare ancora, in futuro.

Enrico Casini, Direttore di Europa Atlantica

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