Nel Regno Unito i Laburisti voltano pagina. Finisce l’era Corbyn

Il Partito Laburista ha eletto il nuovo segretario, Keir Starmer. Il quale dovrà rilanciare il partito dopo gli anni della gestione Corbyn e la storica sconfitta delle ultime elezioni politiche. Breve ritratto del nuovo leader.

Keir Starmer è il nuovo leader del Labour Party che lo ha eletto con una maggioranza del 56,2%. Si è imposto principalmente sulla candidata corbyniana, Rebecca Long-Bailey, e contro una sinistra radicale che aveva occupato, ancorchè democraticamente, il partito laburista negli ultimi anni, blindandolo contro qualsivoglia eterodossia.

Possiamo affermare che il concetto che ha guidato l’acceptance speech di Starmer sia stato quello dell’unità: unità del partito così profondamente segnato e diviso dalla leadership di Corbyn; unità della comunità larga alla quale il labour si rivolge; unità del paese in una sfida come quella lanciata dal Coronavirus.

In primo luogo, Starmer ha il compito di ricostruire il fronte laburista. Il nuovo leader del labour, infatti, pur definendosi socialista, è sicuramente molto distante dalle posizioni del leader uscente. Tale distanza nasce anche dalla necessità di ricomporre un quadro che ha visto tanta parta del partito guardare ai Lib Dem, con defezioni importanti tra i banchi di Westminster.

In secondo luogo, Starmer ha voluto, sin da subito, chiarire di voler capeggiare una battaglia senza quartiere contro le tendenze antisemite che si erano insinuate nel Labour, anche a causa di una notevole ambiguità dello stesso Jeremy Corbyn. Il nuovo leader laburista rappresenta egli stesso, con la sua storia personale (una moglie di fede ebraica e due figli educati alla stessa fede della madre), una garanzia contro eventuali ambiguità future. Significative, a tale proposito, le scuse rivolte alla comunità ebraica come primo atto qualificante del suo insediamento.

Infine, Starmer si è rivolto al governo e, nonostante abbia sollevato domande al Primo Ministro circa la gestione dell’emergenza, ha garantito piena collaborazione nel contrasto alla diffusione del Covid-19, in discontinuità dal suo predecessore che, in un’intervista al Telegraph, aveva esortato il Labour a evitare esecutivi di emergenza insieme a Johnson.

Questo è quel che possiamo leggere. Forse, però, quello che più risulta essere interessante è quello che riusciamo a capire che fa di Starmer una scelta ed una personalità non banali. Polly Toynbee, una delle voci più influenti tra i commentatori della sinistra britannica, sul Guardian di sabato 4 aprile, apriva il suo editoriale con un non scontato “The country today gains an opposition leader”; da quello che si legge sulle più autorevoli pagine della stampa d’oltremanica, dal Times, al Guardian, all’Indipendent, sembrano molti a pensarla come lei. Indubbiamente, Starmer allontana un certo quadro naif, rappresentato da Corbyn, e avanza non solo una nuova prospettiva per la sinistra britannica, ma anche una nuova seria sfida ai conservatori.

Starmer è una personalità complessa: europeista convinto, sostenitore di un secondo referendum su Brexit, già Direttore della Procura britannica tra 2008 e 2013 (DPP), capo del Crown Prosecution Service (CPS), Knight Commander of the Order of the Bath su nomina della Regina Elisabetta, vero figlio della working class della Southwark anni ‘60, oxfordiano e avvocato di riferimento per i sostenitori delle battaglie sui diritti umani. Il nuovo leader non sostenne Corbyn nel 2015 e sembra essere molto lontano dall’umore dominante nelle ex-roccaforti laburiste del nord (che pure, in teoria, avrebbero dovuto premiare Corbyn) pro-brexit e protagoniste della devastazione di un Labour annichilito nelle ultime elezioni dello scorso dicembre dalla peggiore sconfitta elettorale dal 1932. 

Starmer, a chi gli domandava a quale leader laburista si ispirasse, ha risposto con una scelta fuori moda: Harold Wilson; l’ex Primo Ministro laburista riportò il Labour al governo nel 1964, dopo tredici anni di governo conservatore. Seppe far emergere le contraddizioni, che facevano dei  Tories un partito fuori dal tempo. Coltivava l’immagine dell’uomo del popolo, tutto pipa e brown sauce, mentre in privato, lui che era establishment di Oxford, non aveva mai fatto un giorno di lavoro manuale in vita sua, fumava sigari ed amava il brandy.  Seppe dipingere il Labour come l’unico partito in grado di costruire il futuro, l’unico in grado di modernizzare il paese, vincendo la sfida della rivoluzione tecnologica. Ebbe ragione, almeno nelle urne. Forse più che di ispirazione, potremmo parlare di identificazione, magari auspicandosi un destino simile a quello del suo modello.   

Antonello Fiorucci


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