Il rischio di un’Europa debole e divisa. Il punto di vista di Fonti

Pubblichiamo il punto di vista di Alessandro Fonti sulle prossime elezioni europee, soprattutto dedicato al rischio che il voto restituisca un’Europa divisa e fragile, incapace di svolgere il suo ruolo nel mondo.

Il prossimo 26 maggio si terranno le elezioni per il parlamento europeo con la più importante valenza politica da quando queste vennero istituite nel 1979. I sondaggi più recenti, riportati puntualmente dall’Istituto Cattaneo, indicano che ci sarà un’avanzata dei movimenti euroscettici, non tuttavia sufficiente a stravolgere completamente gli attuali equilibri. Se Popolari e Socialisti infatti non avranno più la maggioranza del prossimo parlamento di Strasburgo, potrebbe essere per loro sufficiente allearsi con i liberal-democratici dell’ALDE per alzare l’asticella ben al di sopra del 50% dei seggi. Anche se oggi, ancora, esiste però una variabile i cui effetti non sono ben chiari: questa variabile si chiama Brexit.

Lo spauracchio del “no deal” ha determinato lo scorso 10 aprile un nuovo accordo tra Londra e gli altri 27 paesi dell’UE per trovare una via d’uscita il più soft possibile entro il prossimo 31 ottobre. Tuttavia la data entro la quale la premier Theresa May dovrà trovare una soluzione per il divorzio dall’UE è certa, mentre non lo sono i termini entro i quali ci si potrà muovere nei prossimi 6 mesi. Su tutti, la partecipazione o meno del Regno Unito alle prossime elezioni europee. La sensazione è che regni il caos e va dato atto al presidente Macron, con la sua contrarietà ad una dilazione temporale così ampia, di essere stato probabilmente l’unico leader ad averlo intuito: è possibile immaginare che uno Stato che ha deciso di lasciare 3 anni fa l’Unione Europea partecipi alle prossime elezioni per il rinnovo del suo parlamento? E che possa rivendicare addirittura un suo rappresentante in seno alla prossima Commissione europea? La risposta ad entrambe le domande è no. D’altra parte non è possibile neanche pretendere che il Regno Unito continui formalmente a far parte dell’UE e non abbia suoi esponenti all’interno dell’assemblea legislativa e del potere esecutivo. Indubbiamente il tema è complesso e il problema sembra esseresi sempre di più aggravato nel tempo.

Sul versante italiano, invece, è molto probabile al momento, sondaggi alla mano, che i due attuali partiti di governo saranno quelli che manderanno in Europa più rappresentanti.

Pur risalendo ormai a qualche settimana fa, risuonano ancora con forza le impietose critiche di Guy Verhofstadt rivolte al presidente Conte nell’aula del parlamento Ue a proposito delle politiche messe in atto dal governo italiano. Mentre sono di poche ore fa le perplessità sollevate dal commissario Moscovici su quanto scritto nel DEF. Portiamo questi due esempi, per sottolineare come Roma abbia una credibilità molto ridotta in Europa e quanto siano stati difficili i rapporti tra Unione e governo italiano negli ultimi mesi. La responsabilità di tutto ciò, se si può ricondurre anche ad alcune scelte discutibili dei governi passati, è tuttavia oggi responsabilità degli attuali esponenti del governo italiano, e certamente quanto accaduto con la TAV e il recente accordo con la Cina non hanno aiutato, in termini di attendibilità, oltre confine. Sebbene a fasi alterne, gli attuali partiti di maggioranza in Italia, conducono da anni una dura campagna di critica e protesta nei confronti dell’Europa e della sua burocrazia, e il refrain è stato a lungo quello di voler stravolgere tutto, in particolare il ruolo dei burocrati “superpagati” che risiedono tra Bruxelles e Strasburgo.

Ma ognuno con la sua prospettiva europea, i due partiti sembrano alla ricerca di una propria collocazione nel panorama politico continentale. La Lega sembra aver trovato una sua collocazione all’interno di un’alleanza con il partito tedesco di AFD e con quello francese di Marine Le Pen, in un rapporto critico con i popolari di Weber e spalleggiata dal leader ungherese Orban che spera grazie a Matteo Salvini di poter condizionare il PPE e spostarne l’asse su posizioni più conservatrici. Non è ancora però chiaro come si possano integrare le posizioni del leader leghista con quelle di chi rappresenta l’establishment per eccellenza a Strasburgo, ovvero la CDU di Angela Merkel. L’M5s invece non ha sufficienti alleati per costruire un gruppo europeo alternativo agli attuali e lo hanno dimostrato negli ultimi mesi i numerosi viaggi di Luigi Di Maio alla ricerca di chiunque fosse disposto a dialogare con il Movimento 5 stelle.

Sulla base di quanto sopra evidenziato, e considerando che al momento i partiti tradizionali potrebbero mantenere comunque stabilmente i gruppi più grandi del parlamento, le probabilità che i partiti di governo italiani siano in minoranza in Europa sono quindi concrete. Con la conseguenza che i due partiti più rappresentativi degli umori degli italiani saranno in minoranza in un’Europa nella quale potrebbe regnare il caos se non si risolve prima del prossimo 26 maggio la situazione del Regno Unito.

Quindi il rischio che si corre è vedere un’Italia più debole in un’Europa altrettanto fragile e divisa. Probabilmente quanto di meglio possa esserci per i competitor di Strasburgo, in particolare Russia e Cina, che, da un lato, stanno portando avanti politiche protezionistiche, dall’altro invece sono molto aggressivi sul mercato esterno.

E’ evidente che parte della responsabilità di quanto sta accadendo sia anche da addure ad alcune scelte prodotte dagli Stati Uniti di Trump che, essendo un paese sostanzialmente indipendente da un punto di vista energetico, che produce più di un quinto del PIL mondiale e la cui economia si basa in modo contenuto sulle esportazioni, pensano di poter bastare a sé stessi.

Niente di più sbagliato. Per continuare a sedere al tavolo dei grandi del mondo l’Europa ha bisogno degli Stati Uniti, ma anche gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Europa, un’Europa forte e legittimata in maniera significativa dal suo popolo. Altrimenti, a lungo andare, il tavolo dei grandi del mondo passerà da quattro sedute, a tre, a due. E la democrazia liberale rischierà di essere nel tempo sconfitta a favore di un crescente modello di autoritarismo illiberale.

Alessandro Fonti

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