L’UE post-pandemia e la sfida del rilancio del progetto europeo

La pandemia obbliga governi e cittadini europei al confronto con il tema del futuro dell’Unione Europea e con il senso profondo del suo progetto. Il punto di vista di Antonello Fiorucci

La pandemia ha costretto ciascuno di noi a confrontarci col tema dell’Unione Europea, più di quanto avessimo fatto negli ultimi anni. In questo periodo, però, sono anche emerse delle serie incomprensioni relative a quello che è l’Unione Europea  e a quello che può davvero fare o non fare. Ci siamo trovati dinanzi a semplificazioni, mistificazioni e narrazioni completamente starate, vittime come siamo di anni di distorsione della narrazione, a fini interni, relativa all’Unione, alle sue funzioni e ai suoi meriti e demeriti.

Quello che emerge con più forza è che ormai, a settanta anni dalla dichiarazione Schuman, esistono forze in Europa che lavorano contro l’avanzamento di un sano processo di integrazione europea a trazione comunitaria, ponendo nell’angolo l’approccio intergovernativo che così plasticamente ha saputo palesarsi nei lavori del Consiglio Europeo.

La costruzione dello status quo si ancora al fatto che ad incidere in maniera più profonda sul sentimento antieuropeo siano quegli attori che da un lato denunciano nelle loro realtà nazionali una latitanza dell’Unione Europea, una mancanza di solidarietà e che dall’altro, a Bruxelles, lavorano attivamente per ostacolare eventuali successi e minare l’efficienza della risposta congiunta.

Quest’attività diretta si raccorda con un effetto indiretto sui governi di molti paesi membri che, sotto la pressione di forze antieuropeiste, tendono ad irrigidire le proprie posizioni, ben oltre quanto storicamente abbiano sempre fatto, per evitare che internamente possano essere divorati dalle montanti forze sovraniste. Questo ad esempio è il caso dell’Olanda, balzata agli onori della cronaca di questi ultimi mesi come se fosse la madre di tutti i nemici del nostro paese, quasi quanto gli “odiati” partner tedeschi guidati dalla Cancelliera Angela Merkel la quale è allo stesso modo impegnata in un confronto interno tra le ali più oltranziste della CDU ed uno, aspro, esterno contro le formazioni di destra populista.

In ambedue questi contesti,  quella che potremmo chiamare una “Neue Rechte” sovranista che si ritrova immersa nel gruppo “Identità e Democrazia” nel Parlamento Europeo (dove possiamo, ad esempio ritrovare la Lega, il Rassemblement National, di Marine Le Pen,  Alternative für Deutschland, evoluzione funzionale del pur sempre esistente NPD e volto della destra populista in Germania o, ancora il Partij voor de Vrijheid, il Partito per la Libertà di Wilders in Olanda) a livello nazionale può saldarsi, con una “vecchia destra” nazionalista che trova espressione nel gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei di ECR, che rimane, in Europa, a guida polacca e, per questo, anche lontano da alcune simpatie filorusse.

L’evoluzione genetica delle destre europee confluite in ID, rappresenta una sfida per le forze conservatrici di centro, liberali e riformiste di sinistra che rappresentano l’ancoraggio storico consolidato del sistema politico europeo ai processi di integrazione economica, politica e sociale. Questa sfida in Europa si traduce in una competizione a livello nazionale che mina a sovvertire, ad esempio, gli equilibri già complessi nel Consiglio Europeo dove il “colore” politico delle leadership ci consegna un architrave di governi provenienti da PPE, dai Socialisti e democratici e dai Liberali e democratici del Gruppo ALDE. Tale assetto, pur rimanendo fedele al “credo” europeista, soffre di un dibattito interno che mette sul banco degli imputati l’Unione Europea ed il processo di integrazione, così come noi lo conosciamo, e porta i governi, soprattutto quelli più esposti ad offensive elettorali consistenti (Olanda, Italia, Francia e la stessa Germania) a tenere posizioni roboanti in consessi in cui il lavoro, la normale cooperazione e il riallineamento degli interessi è fondamentale per garantire un progresso nel processo di integrazione e il raggiungimento di risultati per l’Unione nel suo complesso e per i singoli Stati Membri.

Questa Pressione sul Consiglio e la centralità del metodo intergovernativo, però, vengono in questa fase sfidate dal dinamismo e dal protagonismo dell’istituzione ad approccio comunitario per antonomasia: il Parlamento. Proprio in tale assise  abbiamo visto gli slanci più significativi e, forse, la parte migliore dell’assetto istituzionale dell’Unione. Ad oggi, la maggioranza che sostiene la Commissione è solida, piuttosto coesa e fortemente ancorata al progresso dei processi di integrazione su base comunitaria. Dal Parlamento sono venute alcune delle più coraggiose prese di posizione per sostenere il rilancio dell’economia europea, a partire dalla richiesta alla Commissione di presentare un piano per il Recovery fund  di almeno 2000 miliardi, a budget 21-27 immutato, da finanziarsi sul mercato emettendo delle obbligazioni a lungo termine e per l’erogazione di aiuti attraverso prestiti e, soprattutto, attraverso sovvenzioni a fondo perduto e pagamenti diretti. Ciò dovrà avvenire senza usare «dubbi moltiplicatori per pubblicizzare cifre ambiziose» e senza ricorrere a «sortilegi finanziari». Tre le direttrici da definire in termini addizionali al budget sul tavolo (da tempo in fase di contrattazione, con resistenze, talune storiche, da parte di paese del centro-nord):  Green new deal, digital e nuovo piano sanitario europeo.

Tecnicamente tale risoluzione, votata dal parlamento lo scorso 15 maggio, non è vincolante, ma è anche difficilmente superabile come se nulla fosse, anche perché dal Parlamento, si è alzato lo scontro minacciando il potere di veto, previsto dai trattati, laddove Commissione e Consiglio giungano ad un accordo volto a marginalizzare i MEPs nella definizione e nel controllo della gestione degli strumenti in campo per rispondere alla crisi. Segnali che sembrano scongiurare questo evento, emergono anche dalle risposte significative da parte dei due maggiori attori del panorama dell’Unione; lunedì sera, infatti, nel corso di una videoconferenza che si è tenuta tra Parigi e Berlino, la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Presidente francese Emmanuel Macron hanno annunciato un piano per creare un fondo europeo da 500 miliardi di euro, finanziato da emissioni di debito comune, con cui aiutare i paesi a uscire dalla crisi economica causata dalla pandemia di COVID-19. La proposta è stata subito sostenuta anche dal Governo italiano e da quello spagnolo.  Il fondo sarà finanziato con debito emesso dall’Unione Europea e garantito dal bilancio pluriennale in vigore dal 2021 al 2027. Il denaro potrà così essere raccolto a un tasso di interesse molto basso, persino negativo. La reazione di alcuni paesi del nord Europa parrebbe non essersi fatta attendere con il Cancelliere austriaco a guidare una cordata che sembra voler riproporre la strada dei mutui contro quella dei contributi e quindi della “comunitarizzazione” di debiti futuri. L’Unione sembra giunta ad un “Hamilton moment”; l’espressione si riferisce al contributo che il segretario al Tesoro americano Alexander Hamilton diede, nel 1790, alla trasformazione del debito dei singoli stati della confederazione in debito pubblico del governo federale, un momento fondamentale nella trasformazione degli Stati Uniti nel paese che conosciamo oggi. Ovviamente, il piano Merkel-Macron non si spinge così in là, ma evidentemente apre un percorso che al suo arrivo, potrebbe avere proprio un esito hamiltoniano.

La posta in palio è davvero significativa, in quanto non parliamo solo di contributi statali, ma di un primo embrione di fiscalità europea, per dare forza al bilancio dell’Unione e, quindi, alla stessa azione politica dell’Unione.

Facile quindi comprendere perché i movimenti nazionalisti e sovranisti stiano lavorando al fallimento o all’indebolimento di questa architettura e, di rimando, al fallimento dell’Unione Europea, con lo slogan di Europa dei popoli e delle nazioni, che tradotto è l’Europa precedente agli anni cinquanta e sessanta del Novecento, quella che aveva anche visto i conflitti mondiali e le rivalità tra paesi.

A luglio, inizierà il semestre di presidenza tedesca e la Cancelliera Merkel dovrà definire il sentiero per uscire da questo scontro: come sempre, ci troviamo a fronteggiare questo Giano Bifronte, che sa proporre da un lato il suo approccio comunitario, integrazionista e federalista e dall’altro il volto intergovernativo, internazionale e, al contempo, nazionalista. I modelli sono evidentemente alternativi. Ci sono due tipi di futuro dinanzi a noi. Tutti sembrano amare l’Europa, ma quale tipo di Europa è una domanda che rimane aperta e che i prossimi mesi avrà una risposta meno confusa. Vero è che ad oggi, a parere di chi scrive, pensare ad un vera sovranità, impone una sola scelta: quella rappresentata da un’integrazione esclusivamente comunitaria e federalista; l’alternativa ridurrebbe l’Unione ad attore poco più che doganale e gli Stati Membri ad avere limitate prospettive  sullo scenario internazionale.  

Antonello Fiorucci


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