Unione Europea e NATO dalla stessa parte nel mondo post Covid-19

Le prospettive della cooperazione tra Unione Europea e NATO, la difesa europea e il rilancio delle relazioni transatlantiche. L’analisi di Enrico Petrocelli.

Nel mondo post COVID-19, un mondo che si preannuncia ancor più polarizzato da una competizione crescente tra grandi potenze e da un loro progressivo decoupling tecnologico ed economico, e che allo stesso tempo sarà investito da una recessione economica con ripercussioni sociali drammatiche in ogni continente, instabilità e conflittualità rischiano di attraversare l’intera comunità internazionale. Crescerà una domanda nuova di sicurezza, con politiche e strumenti la cui natura cooperativa o antagonista dipenderà in larga misura dall’indirizzo strategico che le principali potenze decideranno di assumere.

In questo scenario, sarà importante comprendere che direzione prenderanno, rispettivamente, due attori globali di primo piano come l’Unione Europea e la NATO.

I prossimi mesi potranno fornire indicazioni preziose su cosa ne sarà dei cantieri aperti sulla difesa europea, delle ambizioni di sviluppo della sua base tecnologica ed industriale, dell’aspirazione all’autonomia strategica dell’Europa; così come che ne sarà del burden sharing regolarmente sollecitato dagli americani all’interno dell’Alleanza Atlantica, dei tentennamenti statunitensi sul continuare ad onorare o meno l’impegno alla difesa collettiva sancito dall’art. 5 del Trattato di Washington, del ruolo e del futuro della NATO stessa negli anni a venire.

Guardare a questi temi attraverso il prisma della cooperazione UE-NATO può aiutare a prendere atto che il mondo nuovo che abbiamo davanti richiederà un di più di cooperazione ed integrazione in materia di sicurezza e difesa, cercando con maggior coraggio quelle sinergie e complementarità che tante volte in passato non si è potuto esplorare per ostacoli oggettivi o per assenza di volontà politica.

Certamente, il vincolo che lega l’UE e la NATO è già profondo e ben radicato tanto nello Strategic Concept della NATO, quanto nel Trattato sull’Unione Europea, che all’art. 42.7 ricorda come la NATO resti per gli Stati UE che ne fanno parte il fondamento della loro difesa collettiva e il forum per la sua implementazione.

E non si può negare che alcuni passi importanti nella cooperazione tra UE e NATO siano stati compiuti negli ultimi 20 anni, a partire dagli accordi Berlin Plus del 2003 che permettono all’UE non solo di avere accesso alle capacità di pianificazione e comando, ma anche di utilizzare mezzi NATO in missioni europee di gestione delle crisi pur in assenza di una partecipazione diretta dell’Alleanza Atlantica, come nel caso della missione EUFOR Althea in Bosnia Herzegovina, dispiegata dal 2004 per monitorare l’implementazione degli Accordi di Dayton.

4 anni fa, nel luglio 2016 a Varsavia, poco prima dell’apertura del Summit NATO, i Presidenti Jean-Claude Juncker e Donald Tusk insieme al Segretario Generale Jens Stoltenberg sottoscrivevano una Joint Declaration sulla cooperazione tra Unione Europea e NATO, individuando 7 aree prioritarie di lavoro comune: dal contrasto alle minacce ibride, alla cyber security; dalla cooperazione operativa sulla sicurezza marittima, allo sviluppo di capacità di difesa complementari ed interoperabili; dallo sviluppo della cooperazione nei settori della ricerca e dell’industria della difesa, alla realizzazione di esercitazioni coordinate e parallele; fino al supporto ai paesi del vicinato meridionale e orientale per lo sviluppo di capacità e di maggiore resilienza in ambito di sicurezza e difesa.

Nel luglio 2018, con la sottoscrizione di una seconda Joint Declaration l’UE e la NATO hanno deciso di rafforzare la loro cooperazione anche in materia di: mobilità militare; contrasto al terrorismo; resilienza rispetto a minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari; agenda ONU su donne, pace e sicurezza.  

Questi impegni stanno progressivamente trovando attuazione attraverso 74 specifici punti di azione, con alcuni importanti risultati già conseguiti: dalla sicurezza marittima (con la cooperazione a livello tattico e operativo tra l’Operazione EUNAVFOR MED Sophia e l’Operazione NATO Sea Guardian nel Mediterraneo Centrale – e sarà interessante monitorare gli sviluppi in questo ambito con il varo della nuova Operazione EUNAVFOR MED Irini), alla mobilità militare (non solo con un allineamento dei rispettivi parametri grazie all’adozione da parte UE nel novembre 2018 dei Military Requirements for Military Mobility elaborati tenendo conto dei NATO’s transportation network infrastructure parameters, ma anche con il lancio di un EU Action Plan on Military Mobility che prevede un importante programma europeo per infrastrutture ad uso duale civile-militare); dalle esercitazioni UE-NATO (con la più grande esercitazione parallela e coordinata mai realizzata – nel novembre 2018 tra EU HEX-ML 18 e NATO PACE 18 – per la gestione di una crisi di natura ibrida, con attività di sincronizzazione delle risposte in ambito cyber, di disinformazione, di scambio di informazioni e di protezione civile) fino al contrasto alle minacce ibride (con una cooperazione UE-NATO facilitata anche da lavoro dello European Centre of Excellence for Countering Hybrid Threats creato nel 2017 ad Helsinki).

Negli ultimi 4 anni, in coerenza con la visione della EU Global Strategy presentata dall’Alto Rappresentante UE Federica Mogherini, la cooperazione tra UE e NATO ha dunque compiuto progressi molto rilevanti, raggiungendo livelli senza precedenti.

E tuttavia si tratta ancora di una cooperazione prevalentemente a livello di staff, spesso informale, non strategica, limitata nello scopo e negli strumenti che possono essere attivati.

Ci sono chiaramente dei limiti formali e strutturali: solo 21 paesi sono membri di entrambe le organizzazioni; la disputa tra Cipro e Turchia impedisce la revisione legale degli accordi che regolano le relazioni tra UE e NATO (al di là del formato Berlin Plus) e, specificamente, uno degli ambiti più rilevanti e sensibili come l’information sharing; ci sono alcune linee di demarcazione all’interno dell’UE tra paesi membri e non della NATO, così come diverse sensibilità geopolitiche tra paesi europei che sono membri di entrambe le organizzazioni, ma che per ragioni storiche o per interessi strategici hanno visioni diverse del ruolo dell’Alleanza Atlantica e del suo rapporto con l’UE, così come del legame con gli USA.

E’ evidente come la riflessione sulla cooperazione UE-NATO rimandi immediatamente tanto al dibattito transatlantico sul ruolo e sul futuro della NATO, quanto a quello sull’autonomia strategica dell’Unione Europea e sul suo livello di ambizione nel costruire una vera e propria difesa europea. Due dibattiti paralleli e distinti, ma che ovviamente si intrecciano e si condizionano reciprocamente.

E non vi è dubbio che una forte sollecitazione sia giunta nel novembre 2019 dal Presidente francese Emmanuel Macron con le sue dichiarazioni sul brain death, sulla morte cerebrale della NATO, che ha accompagnato con un appello all’Europa a pensarsi strategicamente come potenza geopolitica.

La risposta giunta poche settimane dopo dal Summit NATO di Londra, seppur riaffermando il vincolo di solidarietà transatlantica sancito dall’art. 5 del Trattato di Washington e la natura immutabile dell’Alleanza Atlantica come pilastro e presidio della sicurezza collettiva di Europa e America del Nord, così come ribadendo tra i rischi per la sicurezza euro-atlantica le azioni aggressive della Russia, il terrorismo internazionale, le minacce ibride e cyber, la crescente influenza internazionale anche di tipo tecnologico della Cina, ha tuttavia lasciato irrisolti molti nodi problematici e rinviato ad una fase successiva una riflessione più strutturata su come rinnovare la funzione e il ruolo politico della NATO.

Si scontano certamente l’atteggiamento ondivago e l’approccio transazionale da parte dell’Amministrazione Trump verso la NATO, al di là della tradizionale insistenza – propria anche dell’Amministrazione Obama – su un maggior burden sharing da parte degli Alleati e sulla necessità di incrementare i loro investimenti in difesa fino al 2% del PIL. In un anno elettorale, le divisioni interne all’establishment americano sul ruolo internazionale degli USA e sulla funzione futura dell’Alleanza Atlantica sono ancora più evidenti. Le parole del candidato democratico alla Presidenza USA Joe Biden nel presentare il suo manifesto di politica estera dalle colonne di Foreign Affairs sono ben lontane da quelle usate da Donald Trump: “l’alleanza trascende dollari e centesimi; l’impegno degli Stati Uniti è sacro, non transazionale. La NATO è al centro della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ed è il baluardo dell’ideale liberaldemocratico – un’alleanza di valori, che la rende molto più duratura, affidabile e potente dei partenariati costruiti sulla coercizione o sul denaro”.

Sul fronte europeo, dalla stessa École de Guerre di Parigi da cui più di 60 anni fa il Generale de Gaulle aveva illustrato la visione alla base della creazione della Force de frappe, nel febbraio 2020 il Presidente francese Macron ha presentato la sua Strategia di Difesa e Dissuasione, sottolineando come in un quadro di rottura dell’ordine strategico sinora conosciuto e a fronte di una competizione globale tra USA e Cina, sia necessario un riequilibrio nelle relazioni transatlantiche che dovrà passare anche per “una più grande capacità di azione autonoma degli europei” in materia di sicurezza, che “dovranno poter decidere e agire da soli quando ciò dovesse essere necessario”, nonostante “la Francia resti fedele ai suoi impegni nell’Alleanza Atlantica” e “la sicurezza a lungo termine dell’Europa passi per un’alleanza forte con gli Stati Uniti”.

Pochi giorni dopo, dalla Munich Security Conference è giunta la risposta del Presidente della Repubblica federale tedesca Frank-Walter Steinmeier: “Se vogliamo mantenere insieme quest’Europa anche su questioni di sicurezza, non basta costruire un’Unione Europa che sia da sola più forte in termini di politica di sicurezza e di difesa; dobbiamo continuare ad investire anche nei nostri legami transatlantici”, perché “la sicurezza dell’Europa si basa su un forte alleanza con l’America”. E nel richiamare le ragioni dell’unità dell’Unione Europea, il Presidente Steinmeier è andato al cuore di una delle questioni più problematiche nella relazione tra UE e NATO: “molti dei nostri partner dell’Europa centrale ed orientale continuano a vedere innanzitutto la loro sicurezza esistenziale lì”, nell’Alleanza Atlantica, “grazie alla quale ritengono che la loro sicurezza sia effettivamente garantita. Indipendentemente da tutti i progressi compiuti, l’Unione Europea è ancora ben lungi dall’essere in grado di garantire da sola la sicurezza di tutti i suoi Stati membri. Contare esclusivamente sull’UE significherebbe dividere i paesi europei tra loro. Allo stesso tempo, solo un’Europa che può e vuole proteggersi in modo credibile sarà in grado di mantenere gli Stati Uniti ancorati all’Alleanza Atlantica”.

Costruire una credibile politica europea della difesa e allo stesso tempo far crescere il pilastro europeo della NATO: questo è il difficile punto di compromesso suggerito dal Presidente tedesco, nella consapevolezza che sia l’unico modo per tenere insieme Stati europei con sensibilità e interessi differenti, e allo stesso tempo offrire all’alleato statunitense una prospettiva credibile di burden sharing per motivarlo a rinnovare quel legame transatlantico che è andato affievolendosi già prima dell’Amministrazione Trump, in ragione di un riposizionamento degli interessi strategici americani sempre più verso l’Asia e a discapito del Vecchio Continente.

Tuttavia, la realtà si è già incaricata di dimostrare come le cose siano più complicate, di quanto forti e talvolta divergenti siano gli interessi e le priorità tra alleati, soprattutto in ambito industriale e commerciale. E così, mentre gli USA di Trump hanno sollecitato, a volte anche bruscamente, l’Europa ad un’assunzione di maggiori responsabilità nel settore della difesa, nel momento in cui l’Unione Europea ha varato iniziative concrete ed ambiziose in quella direzione come la Cooperazione strutturata e permanente (PESCO) e il Fondo europeo per la difesa (EDF), sono emerse immediatamente preoccupazioni e perplessità da parte degli USA e della NATO quanto alle potenziali discriminazioni a danno di paesi alleati non UE sui programmi di ricerca e sviluppo nel settore della difesa, così come ai rischi di duplicazione nella produzione di capacità militari. Sostanzialmente, gli USA guardano con scetticismo alla prospettiva di una più robusta difesa europea al di fuori della NATO e vedono rischi di protezionismo europeo che di fatto porti all’esclusione delle industrie americane da appalti e contratti per la difesa europea; mentre l’UE guarda al Fondo Europeo per la Difesa come ad uno strumento essenziale per garantirsi autonomia strategica (a partire dalla produzione diretta e dal pieno controllo sulle tecnologie essenziali per la sicurezza) e per promuovere innovazione tecnologica e competitività dell’industria europea della difesa.

Sarà dunque necessaria su entrambe le sponde dell’Atlantico una presa d’atto realistica e pragmatica: la NATO avrà un futuro se riuscirà finalmente a metter mano in modo credibile ad un vero burden sharing, che inevitabilmente passerà per un riequilibrio tra USA e Europa attraverso un pilastro europeo della difesa più robusto. E allo stesso tempo, l’UE dovrà riconoscere che l’unico modo per garantire il successo della PESCO e dell’EDF sarà quello di renderli coerenti e compatibili con la NATO, sia perché questa sarà la pre-condizione per preservare l’unità tra gli Stati membri UE, sia perché in ogni caso (anche in una prospettiva di autonomia strategica europea, per raggiungere la quale saranno comunque necessari ancora molti anni) l’Europa continuerà ad aver bisogno dell’ombrello atlantico per garantire la sua difesa collettiva.

E tuttavia, non si può eludere la domanda principale di questi tempi: cosa resterà di questo dibattito nel mondo post COVID-19 ? Che posto si vedranno assegnate le politiche di sicurezza e difesa nella nuova gerarchia delle priorità di Stati e organizzazioni internazionali ? E soprattutto, che impatto avrà sulla pace e stabilità internazionale il combinato disposto di un’emergenza sanitaria di scala globale, di una recessione economica di proporzioni storiche e di un’accresciuta competizione strategica tra grandi potenze ?

Proprio le probabili prospettive di tagli ai bilanci della difesa e di disimpegno dai teatri di crisi internazionali (per minore disponibilità a inviare le proprie truppe all’estero), così come il possibile rallentamento nei programmi di sviluppo dell’industria della difesa, dovrebbero indurre a ricercare maggiori sinergie tra UE e NATO che evitino duplicazioni, incoraggino una divisione del lavoro che sia ragionata e coordinata anche solo informalmente, favoriscano razionalizzazioni di risorse, di investimenti e di capacità a disposizione di entrambe.

Fare dunque della crisi un’opportunità per condurre la cooperazione UE-NATO ad un livello ancor più avanzato rispetto a quanto fatto finora.

1) Costruire la difesa europea tra autonomia strategica e burden sharing atlantico

Come già sottolineato, uno dei nodi essenziali da sciogliere nelle relazioni future tra UE e NATO sarà come riuscire a sviluppare la prospettiva della difesa europea (con PESCO e EDF) in modo non solo compatibile con la NATO, ma anche in funzione sinergica e di rilancio della stessa Alleanza Atlantica, attraverso un’operazione strategica di riequilibrio e burden sharing.

Una delle principali sfide sarà far sì che l’European Defence Fund possa sostenere finanziariamente attività di ricerca e di sviluppo tecnologico, così come di procurement nel settore della difesa da mettere al servizio sia dell’EU, sia della NATO, cosa che ovviamente non potrà avvenire in un rapporto di vincolo formale tra le due organizzazioni, ma piuttosto con una pratica che sia nei fatti coerente e che si ispiri alla logica già sperimentata con le esercitazioni parallele e coordinate, in particolare con uno sforzo per allineare politicamente ancor più di quanto non avvenga già oggi gli esercizi di pianificazione e programmazione del NATO Defence Planning Process e quello europeo di EU Capability Development Plan (CDP) e di Coordinated Annual Review on Defence (CARD), al fine di soddisfare allo stesso tempo i cosiddetti level of ambition della NATO, dell’UE e dei singoli Stati che fanno parte delle due organizzazioni.

Sarà importante mantenere più alte possibili le ambizioni in materia di sicurezza e difesa nel negoziato con cui sarà varato entro fine anno il prossimo bilancio europeo pluriennale (MFF 2021-2027), consapevoli che sarà arduo confermare l’obiettivo dei 13 miliardi di euro proposti nei mesi scorsi dalla Commissione Europea per il nascente European Defence Fund, come invece auspicato nel recente appello da parte dei principali analisti del settore a livello europeo.

Proprio perché sarà inevitabile e giusto concentrare le maggiori risorse possibili sulle priorità sociali, sanitarie, occupazionali, così come sugli investimenti di medio-lungo periodo in materia di sviluppo sostenibile e di digitalizzazione (a partire dall’European Green Deal e da Digital Europe), sarà ancor più importante focalizzarsi su due aspetti: da un lato una razionalizzazione degli investimenti nel settore della sicurezza & difesa, per favorire tutte le sinergie, le integrazioni e l’assenza di duplicazioni nella ricerca e nello sviluppo di capacità da mettere al servizio tanto dei singoli Stati membri, quanto dell’UE e della NATO; dall’altro cogliere ancor di più tutte le opportunità delle tecnologie duali che sono al cuore della base tecnologica e industriale della difesa europea, riaffermando come gli investimenti in ricerca e innovazione tecnologica con impieghi di natura sia civile che militare possano rappresentare, tanto più in questa stagione, uno straordinario volano di sviluppo economico, di maggiore competitività internazionale e di accresciuta autonomia strategica per l’Europa intera, in particolare sulle frontiere del futuro, dall’intelligenza artificiale alle biotecnologie, dall’internet of things alla robotica, alla tecnologia per le comunicazioni.

2) Una nuova architettura europea per il controllo degli armamenti e la non proliferazione

L’architettura internazionale in materia di controllo degli armamenti e non proliferazione è sottoposta da alcuni anni ad una pressione crescente: dopo la denuncia da parte degli USA nel 2002 del Trattato anti-missili balistici (ABM) e la sospensione nel 2007 da parte della Russia della sua partecipazione al Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (CFE), nel 2019 in ragione di un progressivo sviluppo e dispiegamento da parte russa di nuovi missili a medio raggio si è giunti per volontà statunitense (presto seguita da analoga decisione russa) anche alla cessazione del Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF). Nel frattempo, non si hanno ancora notizie incoraggianti sul rinnovo del New Strategic Arms Reduction Treaty (New START) sulla riduzione e limitazione delle armi nucleari sottoscritto da USA e Russia nel 2010, in scadenza il prossimo febbraio 2021. In particolare, il trattato INF ha rappresentato per oltre 30 anni un presidio per scongiurare rischi di conflitti di natura nucleare nel cuore dell’Europa. E se la sua cessazione da parte statunitense rimanda anche ad una volontà di modernizzare e aggiornare gli strumenti di controllo degli armamenti con l’obiettivo di vincolare pure altre potenze, a partire da Cina ed India, tuttavia espone l’Europa a nuovi rischi per la sua sicurezza e stabilità strategica.

Resta nel frattempo alta la pressione sul fronte orientale dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, dopo l’annessione russa della Crimea e col conflitto del Donbass ancora in corso, così come con l’attività russa sempre molto intensa sul confine baltico, con frequenti incursioni aeree nonostante il dispiegamento di 4 battaglioni multinazionali della NATO Enhanced Forward Presence in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia.

Sarebbe necessaria una nuova architettura regionale per la sicurezza europea per fronteggiare non solo la minaccia delle armi convenzionali, ma anche quelle di natura ibrida e cibernetica. Tuttavia, se per questo le condizioni politiche non appaiono ancora mature, è sicuramente urgente focalizzarsi almeno su misure più specifiche sul controllo degli armamenti e sulla non proliferazione in Europa.

E se le competenze in materia sono chiare prerogative della NATO e dei singoli Stati con potenziale nucleare, e non dell’Unione Europea, tuttavia non vi è dubbio che, come ribadito dal Presidente francese Macron, nel caso di una possibile negoziazione su nuovi strumenti di stabilità strategica per la regione, l’Europa dovrà “far sentire la sua voce e assicurarsi che i suoi interessi siano adeguatamente presi in considerazione”, visto che “si tratta del nostro suolo e di una discussione che non deve passare sopra le nostre teste”.

Dunque, se alla NATO spetterà sicuramente un ruolo cruciale e diretto nel sollecitare la ripresa di un negoziato tra USA e Russia sulle testate nucleari tattiche che sia aperto anche al contributo europeo, in coerenza con gli impegni collettivamente assunti col TNP su disarmo e non proliferazione; l’Unione Europea sarà chiamata a svolgere un prezioso lavoro parallelo di facilitazione politica, attraverso il rilancio di un dialogo strategico con gli Stati Uniti, così come di un selective engagement con la Federazione Russa in materia di sicurezza.

3) Alla ricerca di maggiore complementarità e sinergie operative tra UE e NATO

La cooperazione staff-to-staff degli ultimi 4 anni tra UE e NATO sui 74 punti di azione già citati ha dimostrato quanto grandi siano le potenzialità – in parte inesplorate – per un lavoro comune ancora più ambizioso.

Il punto di partenza non può che essere il riconoscimento di una diversa natura delle due organizzazioni e delle loro rispettive missioni: la NATO, come alleanza militare, è chiamata innanzitutto ad onorare le sue responsabilità su difesa collettiva e deterrenza nucleare; l’Unione Europea, come unione politica, ha scelto di coltivare un ruolo internazionale focalizzato su gestione delle crisi, prevenzione dei conflitti e stabilizzazione post-conflitto. E tuttavia, nel corso degli anni si è dimostrato del tutto illusorio pensare di poter formalizzare e cristallizzare una chiara divisione di compiti tra UE e NATO (non solo per una divergenza di vedute tra i suoi Stati membri, ma pure per una parziale sovrapposizione di funzioni, visto che ad esempio lo stesso Strategic Concept della NATO include tra i core task dell’Alleanza Atlantica anche la gestione delle crisi e la sicurezza cooperativa a livello internazionale). Piuttosto che ambire a nuovi accordi formali tra le due organizzazioni, almeno per ora tocca dunque insistere sulla strada già intrapresa negli ultimi anni, investendo di più su una cooperazione “di fatto”, pratica, provando al contempo ad ampliare gli ambiti di possibile complementarietà, se non addirittura di sinergie operative tra UE e NATO.

Una buona base di partenza in questo senso è offerta dall’esperienza realizzata negli ultimi anni in Iraq, dove alla EU Advisory Mission in support of Security Sector Reform in Iraq (EUAM Iraq) lanciata nell’ottobre 2017 (e recentemente rinnovata fino al 2022), si è affiancata dall’ottobre 2018 la NATO Mission Iraq (NMI).

Mentre la missione europea EUAM Iraq concentra le sue attività sugli aspetti civili della riforma del settore della sicurezza, la missione NATO NMI si dedica alla formazione professionale e al training in ambito militare, con un esercizio parallelo ma coerente per sostenere l’institutional capacity building in corso, così come il contrasto al terrorismo e al crimine organizzato in Iraq.

Un esempio positivo di complementarità che dimostra il valore aggiunto di un lavoro contestuale e parallelo di UE e NATO, in una divisione di compiti sulla base di competenze di natura civile e militare. Un’esperienza che non sempre potrà essere replicata, perché in molti altri teatri di crisi continuerà ad avere senso, ad essere praticabile o addirittura ad essere preferibile per varie ragioni politiche e strategiche la presenza di uno solo tra i 2 attori. E tuttavia, lì dove possibile e utile, varrà la pena provare a sviluppare anche in modo più ambizioso una cooperazione concreta tra UE e NATO, esplorando possibilità di sinergie operative, di  joint planning e joint action, che pur preservando la natura e le competenze di ciascuna organizzazione, ne valorizzino le rispettive capacità.

E non vi è dubbio che le opportunità di maggiore cooperazione, complementarità e sinergie operative tra UE e NATO potranno essere ricercate soprattutto sulla frontiera delle nuove sfide ibride e di sicurezza cibernetica, così come nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo di capacità nello spazio, che è stato aggiunto ai domini operativi della NATO nel dicembre 2019.

Certamente, l’emergenza COVID-19 offre una prima, concreta occasione per un maggior coordinamento tra UE e NATO. Se da un lato la NATO ha efficacemente attivato il suo meccanismo di risposta alle emergenze civili, l’Euro-Atlantic Disaster Response Coordination Centre (EADRCC), e ha dispiegato l’iniziativa di Rapid Air Mobility in collaborazione con Eurocontrol e con molti paesi alleati per facilitare il trasporto aereo di forniture mediche e di dispositivi di protezione attraverso l’Europa; l’Unione Europea ha attivato il suo EU Civil Protection Mechanism e il sistema RescEU per la creazione di una scorta europea di materiale medico sanitario di emergenza a disposizione di tutti gli Stati membri. In questo contesto, l’Alto Rappresentante UE Josep Borrell ha annunciato la volontà di costituire una task force europea sull’emergenza COVID-19 guidata dall’EU Military Staff per utilizzare al meglio le competenze militari europee, favorendo lo scambio di informazioni e di buone prassi, in pieno coordinamento e complementarità con la NATO. Quanto più tentativi come questo si tradurranno in una cooperazione fattiva e concreta tra UE e NATO che dimostri la volontà di ricercare sinergie utili ed evitare duplicazioni, tanto più si potrà guadagnare la fiducia e il sostegno degli Stati membri e degli Alleati per fare ulteriori passi in avanti nel lavoro comune tra le due organizzazioni.

4) Un orizzonte strategico condiviso tra UE e NATO

Già nei mesi scorsi, prima che il mondo venisse travolto dalla pandemia da coronavirus, sia l’UE sia la NATO avevano deciso di avviare processi paralleli di riflessione strategica sul loro ruolo internazionale in materia di sicurezza e difesa.

Gli Stati membri UE hanno incaricato l’Alto Rappresentante Borrell di lavorare entro fine 2020 allo Strategic Compass, un documento di indirizzo politico-strategico per approfondire gli obiettivi già indicati dalla EU Global Strategy, precisando il livello di ambizione della politica europea di sicurezza e difesa, facendo crescere una cultura strategica comune e dando un nuovo slancio alle iniziative già in corso, a partire da PESCO e EDF.

Sul fronte NATO, a seguito della decisione dell’ultimo Summit di Londra, il Segretario Generale Stoltenberg ha recentemente costituito un Group of Experts per avviare un processo di riflessione strategica in seno all’Alleanza Atlantica. Un gruppo di lavoro coordinato dal tedesco Thomas de Maizière e dall’americano Wess Mitchell, coadiuvati tra gli altri anche dal francese Hubert Védrine e dall’italiana Marta Dassù, che dovrà predisporre delle raccomandazioni per rafforzare l’unità dell’Alleanza, aumentare il livello di coordinamento tra alleati e potenziare il ruolo politico della NATO di fronte a sfide e minacce nuove su scala globale. Questo esercizio potrebbe rappresentare il primo passo di un più lungo percorso per giungere all’adozione di un nuovo Strategic Concept della NATO.

Sarà fondamentale che questi due processi paralleli – dello Strategic Compass europeo e del Group of Experts della NATO – possano avere punti di contatto, momenti di dialogo e un esito che sia nella misura del possibile coerente e convergente. Avere orizzonti strategici che siano il più possibile condivisi tra UE e NATO, pur mantenendo le inevitabili distinzioni e differenze, sarà decisivo per dare una prospettiva di maggior respiro e ambizione alla cooperazione tra le due organizzazioni.

Tanto più nel mondo post COVID-19, ancor più segnato dalla competizione geopolitica tra grandi potenze su interessi concreti e su modelli divergenti di società, di sicurezza e di governance globale, ciò che farà veramente la differenza sarà la volontà di rinnovare o meno quel legame strategico che ha tenuto insieme negli ultimi 75 anni l’Europa e l’America del Nord facendone una comunità di valori condivisi, a partire da democrazia, libertà e stato di diritto.

Certo, servirà essere in due in questo sforzo: se da un lato sarà decisivo l’esito delle Presidenziali USA del prossimo novembre per comprendere in che direzione vorrà andare rispetto all’Alleanza Atlantica il suo principale azionista, sarà allo stesso tempo giusto sollecitare pronunciamenti e scelte di chiarezza anche da parte dei principali paesi europei e delle istituzioni comunitarie.

In sostanza, conterà molto se da entrambe le sponde dell’Atlantico ci saranno governi, forze politiche e della società civile pronte a riaffermare con la scelta transatlantica un legame e una collocazione geopolitica chiara per entrambe le regioni, che possa vivere e crescere in misura non marginale proprio attraverso una cooperazione più stretta e strategica tra UE e NATO, non tanto per astratte ragioni ideologiche, quanto per il riconoscimento di valori comuni ed interessi convergenti che ci hanno unito in passato e che possono e debbono continuare a tenerci assieme anche negli anni a venire.

Enrico Petrocelli


Nell’immagine la bandiera dell’Unione Europea


Le opinioni espresse sono personali e potrebbero non necessariamente rappresentare la posizione di Europa Atlantica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *