Difesa Europea, NATO, Italia. Cosa cambia con il Coronavirus. Conversazione con Alessandro Marrone

L’impatto del Covid sulla Difesa Europea e sull’industria della Difesa, il ruolo della NATO nell’emergenza sanitaria, le ricadute della crisi sulla politica internazionale e la reazione italiana. Conversazione tra il Direttore di Europa Atlantica Enrico Casini e il Responsabile del programma Difesa dell’Istituto Affari Internazionali, Alessandro Marrone

E.C. Nelle scorse settimane l’Istituto Affari Internazionali ha promosso un interessante confronto pubblico tra diversi esperti di politica internazionale sulle possibili ricadute della pandemia del Covid 19, in particolare nel campo della sicurezza internazionale e della difesa europea. Effettivamente le ricadute di questo evento possono essere davvero rilevanti, sotto molteplici punti di vista, non solo a livello economico e sociale. Anche su Europa Atlantica ne stiamo parlando da alcune settimane, perché il tema di come il virus potrà favorire alcune evoluzioni del sistema politico internazionale è secondo noi molto importante. A tuo avviso Alessandro, da studioso della materia, quali sono gli elementi più significativi da cogliere delle possibili ricadute internazionali di questa crisi?

A.M. La pandemia può agire da catalizzatore rafforzando o alterando trend già in atto, ma di per sé non modifica strutturalmente il quadro di sicurezza internazionale. Tra i trend rafforzati dal Covid-19 vi è in primo luogo la competizione a tutto campo tra Stati Uniti e Cina, acuita da sospetti e accuse sull’origine del virus. In secondo luogo, la carente risposta UE nella prima e più difficile fase del lockdown italiano ha generato sfiducia nelle istituzioni europee, indebolendo così ulteriormente la coesione politica e la stabilità dell’Unione che già attraversava una fase difficile. In terzo luogo, a livello tecnologico-industriale, il blocco di alcune forniture critiche per affrontare la crisi sanitaria ha sottolineato le dipendenze da fornitori internazionali non completamente affidabili, già oggetto di attenzione in Europa e Nord America, alimentando la riflessione su una politica industriale che promuova una diversificazione delle catene di forniture e, per quanto possibile, una loro maggiore rilocalizzazione sul territorio nazionale o per lo meno UE. Infine, lo spostamento di risorse verso le politiche sanitarie e sociali ha contribuito a ridurre da 13 a 8 miliardi di euro lo stanziamento per lo European Defence Fund all’interno del prossimo bilancio settennale UE, e l’accresciuto debito pubblico in molti Paesi europei – a partire dall’Italia – è probabile rallenterà la leggera crescita dei bilanci della difesa avviata negli ultimi anni, a danno della capacità dell’Europa di tutelare la propria sicurezza e i propri interessi.

E.C. In questo contesto internazionale  quali ricadute immediate e quali rischi maggiori vedi, derivanti da questa crisi, per l’Italia, che è stato uno dei paesi più colpiti in Europa dalla pandemia?

A.M. Nell’immediato vi è un aumento del debito pubblico a fronte di una caduta del PIL che renderà molto più difficile far quadrare i conti pubblici italiani dal 2021 in poi. Un debito più elevato vuol dire una maggiore vulnerabilità rispetto alla speculazione finanziaria, che a sua volta ha implicazioni negative sulla capacità di tutelare gli interessi nazionali e sulla stabilità e resilienza del sistema-Paese rispetto a pressioni esterne. Infine, l’opinione pubblica italiana è stata favorevolmente colpita dagli aiuti da parte di Russia e Cina, modesti per entità ma tempestivi e magistralmente propagandati da Mosca e Pechino, e questo contribuisce ad un orientamento di fondo positivo verso due potenze ostili a NATO e UE. Un orientamento che non coglie le minacce poste dalla Cina alla sicurezza economica italiana ed europea, o dalla Russia alla stabilità dell’Europa orientale – per non parlare della loro influenza nel Mediterraneo, a partire dalla Libia. In tale contesto difficile, la leadership politica italiana dovrà quindi essere in grado di riconoscere le vere minacce agli interessi nazionali, adottare le contromisure adeguate, e spiegare efficacemente il tutto all’opinione pubblica.

E.C. A livello europeo la risposta alla crisi sembra piano piano affermarsi. C’è da dire che inizialmente l’Unione Europea è apparsa molto debole e incerta, su come reagire alla crisi, e molte divisioni che la affliggono da tempo hanno certamente contribuito a impedirle di agire con efficacia in tempi rapidi. Comunque sia, anche alla luce dei cambiamenti in atto a livello globale, la prospettiva dell’integrazione europea rimane l’unica strada possibile da percorrere per tutti i paesi dell’UE, Italia compresa. Pensi che da questa crisi potremo finalmente riaprire un confronto serio sul rilancio della dimensione politico-strategica dell’Unione, con l’idea di un suo rafforzamento sul piano globale, e un investimento maggiore nelle dimensioni della politica estera e della sicurezza comune? Oppure gli egoismi nazionali prevarranno insieme a una visione miope del ruolo internazionale dell’UE, la stessa che in questi anni sembra aver prevalso?

A.M.La pandemia ha messo a nudo le debolezze UE nella gestione collettiva della emergenza sanitaria e poi della conseguente crisi economica e sociale. Perché l’Unione sia in grado di rafforzare la propria dimensione strategica e proiezione esterna, deve prima assicurarsi che tutti gli stati membri superirino una crisi socio-economica che può diventare una minaccia alla stabilità stessa dell’Ue. Detto questo, è importante che ogni istituzione faccia il suo mestiere, e che quindi quelle preposte alla sicurezza internazionale, a livello nazionale ed europeo, si occupino di proteggere e promuovere gli interessi e la sicurezza europei in un contesto globale teso e instabile. La lettera firmata il 29 maggio dai ministri della difesa di Francia, Germania, Italia e Spagna a favore dell’Europa della difesa presenta proposte significative, ed è un gesto politico rilevante proprio verso un maggiore investimento nella politica estera e di sicurezza comune.

E.C. Come hai già accennato le risorse destinate al percorso di costruzione della Difesa Europea, attraverso il Fondo Europeo per la difesa, sono state ridotte da 13 a 8 miliardi. Resta comunque il rilancio del progetto di costruzione della Difesa europea, anche nella sua dimensione industriale, una grande opportunità per una Europa più coesa e più unita politicamente?

A.M. Il ridimensionamento del Fondo Europeo di Difesa è stato un errore sia sul piano politico-strategico che su quello industriale e tecnologico. In ogni caso, fino a quattro anni fa il bilancio UE per la difesa europea non esisteva, quindi il fatto che siano stati allocati 590 milioni di euro nell’ultimo triennio e se ne prevedano 8 miliardi nei prossimi sette anni è sicuramente un elemento positivo e rilevante. Ora la palla è nel campo degli stati, perché gran parte di tale fondo UE è un co-finanziamento che per essere attivato richiede ai governi nazionali di impegnare le proprie risorse. Se questo avverrà, e se vi sarà una maggiore cooperazione ed integrazione delle forze armate europee rendendole così più efficaci ed efficienti, ne beneficerà la sicurezza del Vecchio Continente e la coesione politica dell’Europea

E.C. In questo momento di crisi, con i bilanci pubblici degli Stati stravolti dall’emergenza Covid, le risorse destinate al settore difesa potrebbero essere diminuite. Eppure nel mondo la competizione, anche sul versante della sicurezza, sembra sempre più in aumento e ridurre le risorse in questo settore avrebbe ricadute serie, di cui spesso non si parla abbastanza, soprattutto sul versante industriale e occupazionale, con effetti negativi a livello economico. Forse su questo andrebbe fatta un po’ di chiarezza in più, anche rispetto all’opinione pubblica, spiegando bene cosa significano davvero eventuali nuovi tagli alla difesa, in questa fase?

A.M. Nel mondo multipolare di oggi potenze continentali come Cina e Russia usano tutti i mezzi a loro disposizione per proiettare influenza in Europa, Medio Oriente e Africa, mentre il vuoto geopolitico lasciato dal crescente isolazionismo americano è riempito anche da attori locali, stati o soggetti  non statuali come terroristi e milizie, propensi all’uso della forza – a partire da Libia e Siria. Per l’Italia, esposta in prima linea sul Mediterraneo, tagliare le spese nella difesa vuol dire innanzitutto ridurre la propria capacità di proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. In secondo luogo, gli investimenti nel settore sono in gran parte destinati a produrre equipaggiamenti ad alta tecnologia – molti dei quali con applicazioni duali, dal campo aerospaziale a quello marittimo o cibernetico – e costituiscono un volano di innovazione tecnologica. L’Italia ha una forte base industriale della difesa, che conta su circa 230.000 addetti (considerando l’indotto), con un fatturato annuo complessivo che nel 2018 ha superato i 16,2 miliardi di euro – di cui buona parte legato all’export. In questi anni i principali Paesi europei stanno investendo per modernizzare il proprio strumento militare, e la stabilità degli investimenti da parte dell’Italia è necessaria per partecipare a progetti cooperativi che equipaggino le forze armate mantenendo una certa sovranità tecnologica fatta di assetti, know-how e linee produttive italiane.

E.C. Per tornare alla Difesa europea, pensi che il suo sviluppo e il suo rafforzamento potrebbe favorire anche la cooperazione con la NATO e come potrebbe integrarsi con la dimensione atlantica? 

A.M. Più cooperazione e integrazione europea nella difesa vuol dire mettere in grado i Paesi del Vecchio Continente di affrontare meglio le sfide alla sicurezza e alla stabilità dell’Europa e del suo vicinato, agendo sia nel quadro UE che in quello NATO, sia tramite una cooperazione tra i due attori. Ventuno stati europei sono membri sia dell’Unione che dell’Alleanza, e ciascuno ha un solo set di forze armate a disposizione: se questi stati sviluppano insieme le proprie capacità militari nel quadro UE, tramite la Permanent Structured Cooperation e l’European Defence Fund, otterranno risultati migliori andando a colmare anche il gap europeo accumulato nei confronti degli Stati Uniti e oggetto di continue tensioni transatlantiche. Un’Europa più forte vuol dire una NATO più forte. 

E.C. Tra l’altro, in questo periodo critico, va detto che la NATO ha svolto un ruolo importante nel supporto ai paesi alleati più in difficoltà a causa della pandemia, coordinando aiuti sanitari e interventi di soccorso in tutta Europa. Probabilmente anche rispetto a questo genere di emergenze l’Alleanza potrà sempre di più sviluppare le proprie capacità operative. Pensi che la NATO in futuro potrà implementare ancora la sua capacità di reazione a crisi simili, aggiornando le sue competenze in settori come la difesa civile, la reazione alle emergenze naturali, le crisi sanitarie, che potrebbero rappresentare sempre di più, nei prossimi anni, una minaccia alla sicurezza comune?

A.M. La Nato ha svolto con tempestività ed efficacia il compito di mobilitare e coordinare risorse che appartengono alle forze armate dei Paesi membri, a partire dal trasporto aereo di materiale sanitario e dai medici militari. Questo meccanismo di solidarietà e resilienza dovrebbe essere rafforzato per aiutare nelle fasi più acute di una futura crisi sanitaria, e meglio comunicato all’opinione pubblica per contrastare la propaganda di Russia e Cina. Detto ciò, le forze armate restano un supporto nei casi di emergenza per una protezione civile che, nel caso delle pandemie, deve reggersi su un sistema sanitario civile adeguatamente organizzato per gestire livelli rapidamente crescenti di contagio.

E.C. In questi giorni si è tenuta la riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza, per discutere di vari argomenti importanti tra cui, oltre alla preparazione ad un eventuale seconda ondata pandemica, anche le prospettive future delle missioni internazionali, in particolare Iraq e Afghanistan, e il confronto con Russia e Cina. Alla luce anche del percorso di confronto NATO2030, lanciato recentemente da Stoltenberg per discutere delle nuove prospettive strategiche della NATO, quali priorità vedi, nell’immediato futuro, per l’Alleanza, anche in ragione delle novità introdotte dal Covid? 

A.M Personalmente vedo tre priorità ugualmente importanti nel breve e medio periodo. Vista l’ascesa cinese e le sue implicazioni per Europa e Nord America, la NATO deve davvero fungere da forum di dialogo strategico tra gli alleati sulle politiche di Pechino, anche tramite una condivisione di intelligence al riguardo, per formare una valutazione condivisa della situazione e costruire consenso su scelte da prendere a livello nazionale. Ad esempio, i tentativi cinesi di acquisire tecnologie, aziende strategiche e infrastrutture critiche in Europa non devono essere considerati da un punto di vista solo commerciale, ma come una questione di sicurezza nazionale ed euro-atlantica. Al tempo stesso, la NATO deve assicurare una deterrenza convenzionale e nucleare nei confronti della Russia che sia il punto di partenza per negoziare, da una posizione di forza, una soluzione diplomatica per l’Ucraina e la sicurezza pan-europea. Soluzione che distenda le relazioni con Mosca senza sacrificare la difesa dell’Europa, e che porti la Federazione Russa su posizioni compatibili con gli interessi occidentali. Terzo ma non ultimo, il Mediterraneo dove la NATO ha un triplice ruolo da giocare. Di nuovo, agire davvero da forum di dialogo strategico tra europei, nord americani e turchi sulle aree di crisi, dalla Libia alla Siria. Mettere a disposizione le proprie capacità di nicchia, dalla sorveglianza alla formazione delle forze armate e di sicurezza locali. Ingaggiare i Paesi partner del Nord Africa e Medio Oriente per spingerli a ridurre le tensioni reciproche. Il tutto, in stretta cooperazione con l’UE che ha un più ampio ventaglio di strumenti a disposizione e gode di una migliore percezione nelle realtà locali.  Una cooperazione che naturalmente va estesa e rafforzata anche nei confronti di Russia e Cina.

E.C. In conclusione, un’ultima domanda sull’Italia. Tenendo conto proprio dei cambiamenti che potrebbero emergere, o che sono già emersi nel mondo con questa crisi, perché per l’Italia è necessario e conveniente continuare a restare protagonisti nel campo euro-atlantico? 

A.M Perché gli interessi nazionali si tutelano in primo luogo agendo da protagonista a livello europeo e transatlantico: costruendo alleanze su proposte concrete e costruttive, influenzando il processo decisionale nei fora multilaterali, e soprattutto ricordando la base comune di valori e principi, oltre che di interessi, che come Occidente ci rende tutti insieme più liberi, più sicuri e più prosperi. 

Intervista a cura di Enrico Casini

Nell’immagine la riunione in video-conferenza dei Ministri della Difesa dei paesi NATO. Fonte immagine sito Nato.int


Le posizioni espresse sono personali e potrebbero non necessariamente rappresentare le posizioni di Europa Atlantica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *