Il nuovo corso politico in Germania e i rapporti con UE e NATO

Nella vita come in politica i rapporti più intensi sono anche quelli più agitati. Nel corso dell’attuale crisi ucraina si è spesso parlato di un allontanamento della Germania dal consenso euro-atlantico, soprattutto per quel che riguarda la coordinazione fra Berlino e Washington. Le differenze sono ben note agli osservatori consapevoli di come la Germania abbia recentemente gestito la propria politica di sicurezza. La scarsa spesa militare, gli aspri toni anti-tedeschi dell’amministrazione Trump (il cui ritorno pende come una spada di Damocle sui circoli atlantisti tedeschi) e le insistenti richieste per una cooperazione esclusiva avanzate dai francesi formano un puzzle complicato per il nuovo governo di Olaf Scholz. A ciò si sommano considerazioni politiche che la precedente coinquilina della cancelleria ha potuto largamente ignorare durante la sua lunga permanenza al vertice della Repubblica Federale. Le indagini demoscopiche rivelano un pubblico fermamente ancorato in “Occidente”, ma frammentato per quel che riguarda scelte concrete: l’84% degli elettori si oppone a uno scioglimento della Nato e il 66% trova che l’Alleanza sia negli interessi europei; allo stesso tempo, il 53% si dice favorevole a un’emancipazione parziale degli europei e la creazione di un sistema di sicurezza Ue.

Il nocciolo del problema è forse proprio il fatto che il dibattito politico è tutto fuorché nitido. A Berlino, discutere di Nato vuol più spesso dire discutere delle politiche della Casa Bianca o di proliferazione nucleare; la difesa europea implica un dibattito su quanta neutralità si possa permettere la Germania in tempi di tensioni.

Di tutto ciò ne è ben consapevole Annegret Kramp-Karrenbauer, l’ultima ministra della Difesa del governo Merkel. Avendo dovuto mettere in pratica i piani di cooperazione militare europei lanciati dalla sua predecessora Ursula von der Leyen, Akk è entrata molto presto in conflitto con il presidente francese Macron, difendendo a spada la Nato da una concezione dell’autonomia strategica dal gusto troppo antiamericano per i conservatori tedeschi.

Anche Scholz è consapevole che la sicurezza europea può provocare discussioni equivoche . I due partiti maggiori della coalizione, il suo Spd e i Verdi, hanno avuto storicamente un rapporto travagliato con la Nato e gli affari militari. I socialdemocratici, tornati dopo 16 anni al comando del ministero della Difesa, hanno sviluppato una robusta dottrina di prevenzione civile dei conflitti in cui lo strumento militare è visto come ultima ratio. A ciò si aggiunge uno scetticismo di fondo di molti membri Spd nei confronti dell’esercito, spesso al centro di scandali riguardanti soldati di presunta fede neonazista (842 nel 2020).

I Verdi, analogamente, hanno avuto parecchie difficoltà a riconciliare le posizioni di molti militanti con la responsabilità di governo. Il partito, che affonda le proprie radici nel movimento pacifista degli anni ’70, ha fra le sue battaglie di bandiera storiche l’uscita della Germania dal programma di condivisione nucleare Nato, una posizione condivisa dalla sinistra Spd. È stata proprio questa prospettiva condivisa a spingere il nuovo governo ad accedere come osservatore al Trattato per la proibizione delle armi nucleare (Tpnw). La Germania sarà il secondo paese Nato dopo la Norvegia a entrarvi, compiendo un vero atto di equilibrismo politico: partecipare in qualche forma al trattato, sostenuto da buona parte dell’elettorato, senza intaccare la strategia di deterrenza atlantica e danneggiare l’esistente trattato sulla non proliferazione (Npt).

La scelta fatta sul Tpnw dimostra che anche la nuova coalizione non ha alcuna intenzione di alterare significamene la politica di sicurezza tedesca. Oltre ai liberali, il terzo partito della coalizione, molti esponenti di punta di Verdi e Spd si sono dimostrati negli anni credibili partner per Bruxelles e Washington. Gran parte della dottrina tedesca, a partire dal concetto di «sicurezza statale omnicomprensiva», è ancorato alla funzione della Repubblica Federale come principale snodo logistico dell’Alleanza Atlantica. A ciò si unisce la volontà del nuovo governo di contribuire positivamente allo sviluppo della Difesa europea e dell’ammodernamento della Nato. È probabile che la Germania si farà portatrice di una revisione delle regole di spesa del 2% di Pil a scopi di Difesa, ritenuta troppo astratta in campo progressista e totem dei conservatori tedeschi (anche se sempre disattesa causa opposizione della Cdu al debito pubblico). Anche a livello europeo potrebbe muoversi qualcosa: la proposta di una forza di intervento rapida Ue attualmente discussa è figlia di un vecchio piano socialdemocratico.

È verosimile che vedremo uno sviluppo della doppia strategia attualmente agli albori – un’Ue limitatamente militarizzata e con forti competenze su “minacce ibride” e operazioni civili, complementare a una Nato che sproni la modernizzazione delle forze armate (il nuovo space command della Bundeswehr ne è un esempio). Come terzo pilastro rimarranno  le cooperazioni europee sul procurement. È probabile che Berlino avrà però poco appetito per ulteriori progetti bilaterali ad alto rischio e di complessa messa in opera come il controverso Fcas, l’aereo progettato con la Francia. Anche qui vedremo soprattutto continuità: il primo obiettivo della Germania sarà evitare di dover scegliere fra Washington e Parigi.

Michelangelo Fryrie


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