Droni, sciami & Co. Il futuro della Difesa

Mercoledì 21 novembre 2018 in Svizzera si è tenuto un workshop di alto livello organizzato da armasuisse S+T (Scienza e Tecnologia), che ha riunito ricercatori ed esperti di vari settori per fare il punto sul tema ‘swarming e machine teaming’; una questione che acquisterà maggior rilevanza nei prossimi anni ma che, vista la rapidità dell’innovazione tecnologica, è utile anticipare.

Con swarming si intende il dispiegamento di un certo numero di elementi autonomi a basso costo -generalmente si tratta di piccoli droni o robot- che portino a termine una determinata missione in modo coordinato. Lo sciame (traduzione letterale di swarm) si osserva comunemente in natura, dove molte specie -gli uccelli, ad esempio, o i pesci- si muovono e operano in vasti gruppi ordinati. La ricerca sugli sciami artificiali, o meglio, su come programmarli, inizia spesso proprio dallo studio del comportamento animale e dai conseguenti tentativi di riprodurlo in laboratorio, applicandolo all’intelligenza artificiale.

Il modello swarming è dual-use, cioè può trovare uno sbocco sia in ambito militare che civile -dove sciami di droni commerciali in formazione programmata sono già stati fatti alzare in volo in occasione di celebrazioni o eventi speciali in Cina o negli Stati Uniti. Nel settore militare, lo swarming è considerato principalmente dal punto di vista della tattica di guerra, con l’obiettivo, in tale operazione, di saturare e quindi sopraffare le difese nemiche. In tale accezione, il termine viene associato alla questione delle armi letali autonome (LAWS Lethal Autonomous Weapons Systems), i cui aspetti problematici di natura etica sono discussi all’ONU. Lo scorso mese di gennaio una base russa in Siria è stata presa di mira da quello che alcuni hanno definito il primo attacco swarming. Un vero e proprio sistema di difesa efficace in caso di aggressione con sciami di droni, per ora non c’è.

Swarming e guerra asimmetrica vanno di pari passo.
Con quali implicazioni sul terrorismo?

I limiti che separano il potenziale dalla realtà, sono ancora molti, in particolare la dipendenza dei droni dal sistema di posizionamento satellitare GPS, vulnerabile a jamming e spoofing -due attività di guerra elettronica (electronic warfare) che consistono nell’interferire nelle comunicazioni wireless del nemico, e nel mandare segnali di localizzazione erronei. Ma c’è anche il problema del targeting (acquisizione obiettivi): questi sistemi non sono in grado di distinguere fra obiettivi civili e militari, mentre rimane da stabilire il giusto equilibrio fra operatori di terra ed elementi autonomi (quando qualcosa va storto, un uomo solo al comando non basta). Sono poi necessari -e urgenti- un cambiamento di mentalità da parte dei vertici militari e un aggiornamento nella dottrina e nell’addestramento. Questi sono alcuni punti che, in estrema sintesi, sono stati sollevati al workshop.

Va poi detto che i passi avanti dal punto di vista tecnologico sono molto rapidi. Se da un lato preoccupa la progressiva accessibilità di componenti e innovazioni che potrebbero andare ad allargare l’arsenale letale di gruppi terroristici e criminali, non va dimenticata l’applicazione non offensiva di droni e robots coordinati, ad esempio, nel potenziamento delle operazioni di search and rescue in caso di catastrofe.

Dual-Use come opportunità

Nell’Unione Europea si parla oggi in modo sempre più convinto e diffuso di dual-use, cioè dello sviluppo e dell’utilizzo di prodotti e servizi che trovano una collocazione sia nell’ambito militare che civile, rafforzando entrambi i settori: un concetto chiave, che il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha inserito nelle linee programmatiche del suo Dicastero. L’adozione dell’intelligenza artificiale nelle sue varie sfaccettature, metterà alla prova la capacità d’adattamento della Difesa nei diversi paesi, portando nel contempo in tavola anche notevoli vantaggi per chi saprà cogliere le opportunità. A fare da traino nella ricerca legata ai sistemi autonomi è infatti l’industria, che dispone di maggiori risorse finanziarie e investimenti. A fronte del contenimento delle spese militari, la collaborazione fra settore privato e pubblico (Difesa) è quindi conveniente e necessaria, e si combina con un altro punto cardine dell’approccio alla sicurezza nazionale italiana, e cioè il fattore ‘resilienza’ (leggasi: integrazione delle competenze).

 

 

Chiara Sulmoni giornalista, producer e analista indipendente, si occupa di questioni legate al mondo arabo e islamico e ai conflitti, focalizzata sul tema del radicalismo islamico e terrorismo in Europa. Presidente di START InSight

 

Articolo originale pubblicato su http://www.startinsight.eu/

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