Come si costruisce un drone: applicazioni, rischi e possibili minacce alla sicurezza.

Progettare, realizzare e ultimare un drone, tutto “home-made”. Si chiama “making” ed è un processo sempre più alla portata dei cittadini comuni. L’analisi di Roberto Setola e Marco Tesi per Formiche.net

Produrre droni è oggi incredibilmente facile perché, al netto della moltitudine di guide reperibili in rete senza neanche la necessità di scomodare il deep-web, si tratta di strumenti intrinsecamente semplici. In gergo tecnico la progettazione e realizzazione in-house di un drone viene chiamata “making”.

La dinamica del volo di un drone è sostanzialmente regolata da due equazioni e senza particolare creatività matematica si è arrivati oggi a garantire un parco di algoritmi per il comando e controllo efficienti, affidabili e duttili. Se all’inizio del XXI secolo il mondo scientifico era fortemente impegnato nella produzione di algoritmi relativi alla stabilità, è bastata una manciata di anni per arrivare a droni assolutamente affidabili anche in condizioni di vento forte ed impegnati in manovre ad alto rischio tra ostacoli in movimento.

Sono bastati pochi anni per risolvere anche il problema del controllo dei droni, superato in parte grazie a sistemi di volo assistito più sofisticati di quelli presenti nel panorama aeromodellistico – il vero aeromodellista deve avere skill di pilotaggio di molto superiori rispetto a chiunque intenda pilotare un comune quadrirotore moderno – ed in parte con l’integrazione a bordo di sensori dedicati alla stabilizzazione del volo come Imu (Inertial Measurement Unit) e localizzatori Gps. In sostanza sono bastati neanche dieci anni per passare dalla fase di pionierismo, in cui i primi droni auto-costruiti con centraline di fortuna prendevano il volo, alla fase di commercializzazione e diffusione di massa che viviamo oggi.

DJI, azienda mondiale leader nel settore, aveva proprio cominciato con la produzione di centraline per droni sviluppati da terzi – ed era già il 2006 – prima di mettersi in proprio con i risultati che tutti conosciamo. Quanto alle centraline, che sono di fatto il cuore di qualsiasi drone, ne esistono oggi stabili, open ed economiche: Ardupilot o Autopilot, acquistabili per pochi dollari in rete ed applicabili a qualsiasi tipo di velivolo automatizzato, sono tra l’altro modulari ed adattabili a qualsiasi tipologia di drone, sia questo quadrirotore o velivolo ad ala fissa.

Anche la componentistica è, come detto, facilmente reperibile in rete a partire dalle batterie, i motori elettrici, la struttura in carbonio oggi stampabile anche on-demand, i controller con la possibilità di personalizzare sia le frequenze di trasmissione che i comandi: non esistono oggi particolari impedimenti per chiunque voglia costruire, con poche conoscenze specifiche e pochi soldi, un drone fatto in casa. La cosa preoccupante sta nel fatto che le potenzialità derivanti da questa semplicità siano evidenti non solo agli aeromodellisti, ma anche a chiunque intenda utilizzare i droni per attività illegali.

Produrre un drone dedicato ad attività malevole è relativamente semplice e consente quei margini di personalizzazione che si traducono in efficienza dello strumento ed inefficienza delle eventuali contromisure. La mancanza di vincoli spaziali, unita alla modularità consentita dal trasporto di payload, rendono ad esempio il drone un importante strumento a disposizione dei gruppi terroristici.

Un drone auto-costruito non presenta infatti meccanismi di auto-conservazione tipici dei droni commerciali, può viaggiare su canali radio particolari evitando contromisure basate sul disturbo elettromagnetico, può trasportare payload impegnativi attraverso un opportuno dimensionamento dei motori (in internet se ne trovano per tutti i gusti) e viaggiare a distanze considerevoli attraverso un sistema – potente quanto illegale – di comunicazione aria/terra.

I droni home-made non si prestano però solo ad attività malevole. Lo sono anche tutti quei droni utilizzati per finalità sportive come ad esempio le corse di velocità: senza troppi problemi di stabilità e semplicemente sovradimensionando i motori è possibile dotarsi di mezzi più piccoli di un cubo di venti centimetri di lato, dotati di telecamera e capaci di superare i 150-200km/h, con evidenti problemi di sicurezza nel caso di violazione di un perimetro sensibile.

Roberto Setola è direttore del Master in Homeland Security dell’Università Campus Bio-Medico di Roma

Marco Tesei è autore per Europa Atlantica

Articolo originale pubblicato su Formiche.net

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