Emergenza Covid 19 e nuove tecnologie

Come le nuove tecnologie sono state adattate e impiegate per fare fronte all’emergenza sanitaria. L’analisi di Marco Tesei

L’emergenza CoViD19, oltre a portarsi dietro una serie di evidenti implicazioni mediche ed economiche, è stata un interessante banco di prova per testare la dinamicità del mondo dell’industria nel far fronte, in tempi brevissimi, alla crescita esponenziale della domanda in determinati settori merceologici ed applicativi. E’ importante considerare però che la domanda non ha solo interessato aree di business consolidate, quali ad esempio l’accessoristica convenzionale (guanti e mascherine) o gli apparati biomedicali (respiratori ed attrezzatura per terapia intensiva), ma ha proprio urlato a gran voce la necessità di nuove soluzioni per far fronte al fatto che, probabilmente anche alla luce di una nuova sensibilità ai rischi di contagio, la quotidianità non sarà più quella ante-CoViD19.

Il mondo dell’intelligenza artificiale ad esempio ha dovuto rispondere a requisiti che, pur non essendo fino a febbraio all’ordine del giorno, sono diventati determinanti per la vendita di un prodotto. Prima di marzo la richiesta di sistemi di face-detection capaci di rilevare un volto anche in presenza di una mascherina era al più una necessità di nicchia per specifici siti industriali e con sole finalità di safety: oggi è praticamente impossibile vendere un prodotto che non preveda tale capacità.

Sempre il mondo dell’informatica si è dovuto adattare rispondendo ad una richiesta prima inesistente e strettamente legata al CoViD-19: il distanziamento sociale. Vengono oggi proposti sistemi che, prendendo dati dalle telecamere (ma anche da sensori ad-hoc che, da marzo, vengono pubblicizzati proprio in ottica di social-distancing), sono capaci di fornire una stima della distanza tra le persone e segnalano eventuali fenomeni di aggregazione. Tali informazioni, condivise poi con le forze dell’ordine, possono risultare determinanti per effettuare un’attività di contrasto capillare a parità di risorse coinvolte, non più chiamate a “rilevare” ma soltanto a “gestire” l’eventuale anomalia.

Il mondo dei droni dal canto suo ha dimostrato una volta ancora di essere intrinsecamente capace di adattarsi con velocità al cambiamento. In una fase di rivalsa, soprattutto mediatica, per tutte le attività di lavoro aereo (d’altra parte le attività ludiche sono al momento inibite) il drone ha dimostrato un’incredibile flessibilità applicativa a parità di payload. Al netto dell’impiego di droni per il monitoraggio di assembramenti, attività svolta con efficienza e salvaguardia del personale non più obbligato ad andare sul campo, la Spagna per prima in Europa ha adattato i droni per uso agricolo ad attività di bonifica stradale. Dieci chili di prodotto (prima fertilizzante, ora disinfettante) per pulire un’area fino a seimila metri quadrati, in dieci minuti e con il pilota al sicuro a distanza di sicurezza.

Il mondo delle telecamere termiche è un altro particolarmente interessato dal tema CoViD19. Da anni vengono vendute termocamere che, a parità di principio tecnologico, sono capaci di aggredire uno specifico mercato di riferimento: dalla temperatura anomala di un macchinario fino alla rilevazione tempestiva di un incendio, passando per l’individuazione di persone in uno scenario poco illuminato o in generale sfavorevole per la videosorveglianza tradizionale. Le migliori telecamere termiche in commercio hanno, fino a febbraio, fornito una risoluzione ed un’accuratezza assolutamente soddisfacenti per il mercato di riferimento. Con il CoViD19 è però nato un nuovo mercato: la misurazione termometrica corporea non invasiva a distanza; mercato che al momento, da un punto di vista tecnologico, solo (o quasi) le termocamere possono aggredire. Così piccoli e grandi produttori hanno impiegato neanche un mese di attività R&D per produrre sensori che, invece di rilevare temperature con range di centinaia di gradi (tipico delle applicazioni tradizionali), si focalizzano tra i 30 ed i 45 gradi centigradi. L’errore medio nella misurazione, che nel primo caso si assestava su 2-5°C (ed era accettabile) è stato ridotto di un ordine di grandezza. Così sono nate le termocamere per misurare la febbre, con un errore di 0.3°C in condizioni ottimali: l’offerta ha impiegato soltanto due mesi per prevedere la domanda (in molti, ancora a fine marzo erano scettici che simili strumenti sarebbero stati necessari) e soddisfarla.

Per quanto questi siano solo esempi in un contesto ben più vasto, appare già evidente come i potenziali futuri scenari applicativi delle nuove “tecnologie CoViD19” coinvolgano praticamente per intero la nostra quotidianità. Che si tratti di misure di prevenzione o di contrasto, tali nuove tecnologie possono ambire di diritto a praticamente qualsiasi scenario applicativo, dalle grandi infrastrutture per la mobilità (porti, aeroporti, ferrovie) alle sedi istituzionali ed aziendali, fino ai cantieri o le fabbriche, oltre che i centri commerciali, la grande ristorazione, etc.

Le conseguenze di una tale (potenziale) estensione applicativa sono ben note ai produttori e si traducono in un market-share importante per quanto, al momento, difficile da quantificare. Solo per il mercato delle termocamere per misurazione della temperatura corporea, pur nell’aleatorietà di eventuali obblighi di legge, si stimano decine di milioni di euro di market-share solo in Italia. Cifra destinata ad aumentare a livello esponenziale nel caso in cui arrivassero indicazioni atte a sollecitare l’adozione delle nuove tecnologie nell’ottica di una (probabile?) nuova fase di contagio.

Quanto espresso traccia un filo conduttore comune che, a sua volta, si porta dietro una previsione tutta da verificare ma comunque verosimile: i solution-provider si stanno preparando ad un futuro che sarà segnato da una quotidianità diversa da come la conoscevamo prima del lock-down. Un futuro in cui l’emergenza in corso avrà la valenza del “giro di boa” nella consapevolezza che in un mondo inevitabilmente connesso, in cui proprio la socialità può risultare fattore di rischio, le contromisure non possono che essere capillari. Capillarità che, visti i numeri in gioco, può solo e soltanto essere portata avanti con sistemi reattivi, automatici e non invasivi. Ciò che è certo è che il mondo dell’offerta a questa nuova domanda si sta già organizzando.

Marco Tesei


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