Storia e prospettive del programma F35. Intervista al Generale Tricarico

Conversazione con il Generale Leonardo Tricarico, Presidente della Fondazione ICSA, sulla storia e sulle prospettive del programma F35 e, soprattutto, sul perché è così importante anche per il nostro paese.

Da diversi anni ormai il programma di sviluppo e realizzazione del cacciabombardiere F35 è al centro di un confronto molto acceso, che spesso ha assunto tratti poco utili a comprenderne l’effettiva portata e la reale natura. Se ne è parlato spesso sui media, anche in tempi recenti, ma ciò che è sembrato sfuggire, a volte, è stata la reale conoscenza del progetto e l’impatto che sta avendo, a livello internazionale, anche nell’evoluzione delle forze aeree di numerosi paesi che hanno investito o sono interessati a farlo su questo nuovo caccia di quinta generazione.

Ne abbiamo parlato con il Generale Leonardo Tricarico, Presidente della Fondazione ICSA, che dall’alto della sua lunga esperienza in ambito italiano e internazionale e degli incarichi ricoperti durante la sua lunga carriera – tra cui anche Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica italiana – è sul tema una dei maggiori esperti in Italia.

Signor generale, vorrei ripercorrere con lei rapidamente la storia e l’evoluzione del programma F35. Ci può riassumere in poche parole come è nato e come ha interessato anche l’Italia?

Il programma F35, per quello che ci riguarda, nasce con il ministro Andreatta, quando gli Stati Uniti lanciarono il progetto di un nuovo caccia ad alta tecnologia e il ministro Andreatta dette l’assenso a seguire il progetto. Questo fu il primo atto politico governativo italiano per entrare nel programma come soggetti interessati. Da allora gli step del percorso condiviso a livello politico/militare sulla partecipazione alle varie fasi di sviluppo di un programma ad alta tecnologia sono stati molteplici; Governo e Parlamento sono stati sempre informati e hanno nel tempo dato tutte le luci verdi necessarie per rimanere nel programma e proseguire sul percorso avviato.

Da quale necessità muoveva questa scelta, per il nostro paese?

C’era al tempo un esigenza operativa ben chiara per selezionare questo o un altro velivolo da combattimento, perchè  la vita operativa di tutta la componente aerotattica dell’Aeronautica sarebbe giunta presto a termine, in particolare quella dei velivoli Tornado e degli AMX, che dovevano essere sostituiti, per un totale di circa 250 macchine, con mezzi di capacità comparabile.

Inizialmente i sistemi da acquisire erano 131, che il governo Monti decise di ridimensionare a 90. Questi 90, per i quali tuttora esiste un impegno italiano, sono suddivise in 60 velivoli a decollo convenzionale, gli F35A, ai quali si aggiungono 30 F35B a decollo rapido e atterraggio verticale, utile per le esigenze sia della Marina che dell’Aeronautica. La scelta per questa duplice opzione, per mezzi a decollo convenzionale e non, era giustificata da uno studio molto approfondito svolto a livello mondiale sulle strutture di volo esistenti e impiegabili in previsione di un possibile schieramento rapido, in corrispondenza di una crisi, e in virtù della nostra esperienza, in particolare durante la prima guerra del Golfo, quando ci trovammo a rischierarci in una base molto lontana dal teatro delle operazioni. Avendo avuto conferma che, soprattutto nelle aree geopolitiche più calde, molte erano le strutture di volo non adeguate a velivoli convenzionali ed essendoci la concreta possibilità che l’Aeronatuca fosse chiesto di schierarsi, il fatto di disporre di velivoli a decollo corto e atterraggio verticale avrebbe permesso di far mantenere alle nostre forze aeree le loro caratteristiche di prontezza e di efficacia, con la possibilità di un uso flessibile sia di mezzi convenzionali che non.

Perchè l’F35 si definisce un caccia di quinta generazione?

La riposta è molto articolata e molto ampia. In poche parole possiamo dire che che le caratteristiche principali di un caccia di quinta generazione è la bassa osservabilità, la capacità di penetrare nelle aree altamente difese senza essere visti, quindi alta capacità di sopravvivenza e capacità di raggiungere indenne l’obiettivo. Inoltre la capacità di raccogliere, elaborare, redistribuire informazioni a chiunque ne abbia bisogno, quella che viene chiamata “net-centricità”, che permette all’F35 di essere non solo un velivolo, ma anche una sorta di “computer” volante. Per darle un’idea di questa capacità, si pensi che l’unico lieve ritardo nel velivolo è stato quello legato allo sviluppo delle linee di software  da integrare nel sistema, quindi preparazione, validazione, inserimento nel sistema di oltre 9 milioni di linee di software, quando i caccia di quarta generazione, come Eurofighter o Rafale, ne hanno circa 800 mila, un milione al massimo. Una capacità quasi dieci volte superiore a quelle di un velivolo di quarta generazione. Inoltre si tratta di un velivolo multitasking, ovvero in grado di svolgere attività multiruolo, conducendo durante la stessa operazione diverse azioni diverse, dal disturbo dei radar nemici alle attività di difesa aerea. E infine la sua capacità di carico e la letalità dell’armamento, tutte qualità che sicuramente fanno dell’F35 un sistema di capacità straordinaria rispetto alla generazione precedente.

Ma oltre all’F35 ci sono a livello a mondiale altri sistemi simili in via di sviluppo?

No, così completi non ci sono. Siamo sicuramente al massimo dello sviluppo tecnologico, anche se oggi si parla di una sesta generazione, ma al di là dei propositi dichiarati non so se ancora si sia realmente concepito il successore della quinta generazione, ovvero se ne sono stati concepiti i requisiti, visto e considerato che dobbiamo comprendere fino in fondo tutte le sue reali potenzialità. Oggi possiamo dire che l’F35 è il velivolo spina dorsale delle aeronautiche progredite, vi sono 13 paesi che fanno parte del programma ed altri che hanno manifestato interesse. E l’Italia può contare  già da oggi su una capacità operativa del sistema F35.

Russia e Cina hanno mezzi comparabili all’F35?

Questi velivoli oggi non hanno rivali, come ci hanno dimostrato le attività di addestramento e le esercitazioni fino ad oggi condotte che ci hanno costretti in continuazione aggiornare i parametri di riferimento.  La capacità, sviluppata attraverso il software complesso del velivolo, di raccogliere informazioni e sintetizzarle, facilitando le scelte del pilota e migliorandone le prestazioni del mezzo, è oggi unica e permette di portare il mezzo a livelli mai raggiunti prima.

Per venire all’Italia, la vicenda legata al programma F 35 è diventata un po’ il simbolo della difficoltà di discutere degli investimenti nel settore difesa. Eppure questo genere di investimenti non hanno solo un’utilità sul piano militare, ma anche economico. Proprio per quanto riguarda l’F35, quale è la convenienza di tipo economico che il programma rappresenta.

Su questo le posso dare dei dati. Dall’inizio del programma noi abbiamo investito 18 miliardi di Euro, il ritorno per la nostra industria è stimato intorno a 13 miliardi, in termini di indotto, contratti, attività del sito di Cameri, dove noi realizziamo l’assemblaggio per i nostri velivoli e per quelli di altri paesi. Questo rapporto era addirittura più favorevole, all’inizio le programma, perché noi c’eravamo impegnati ad acquisire più velivoli, 131. In base al criterio alla base  del programma, la Best Value, si possono aggiudicare contratti per le lavorazioni su questi velivoli chi dimostra, tra le aziende, di avere i prodotti migliori. Quindi le nostre aziende che hanno avuto il coraggio di partecipare si sono aggiudicate, sulla base della loro professionalità e delle loro qualità, questi contratti, oggi abbiamo oltre 80 società italiane che si sono aggiudicate delle lavorazioni per la costruzione di F35. Società che hanno investito capitali, che hanno assunto personale e valorizzato professionalità, e che hanno migliorato le loro capacità di partecipazione a programmi multinazionali avanzati e, forti di questa esperienza, possono affrontare e tenere meglio la competizione sul mercato internazionale. Però il concetto della best value, spina dorsale del programma, è da considerarsi abbinato al concetto del “giusto ritorno”, in base al quale i ritorni economici sono equiparati anche agli impegni assunti a livello di paese nel programma. Per capirci, quando noi eravamo impegnati per 131 velivoli, avremmo costruito a Cameri circa 1215 tronconi alari di fusoliere. Ridotto il programma e il numero di velivoli, i tronconi alari sono diventati 835. Questo ha anche comportato una perdita anche per la nostra industria. Per questo mi auguro che non avvenga nessun ridimensionamento ulteriore del progetto, perché questo potrebbe determinare una nuova ulteriore contrazione anche a livello economico. Ma mi lasci aggiungere una cosa, perché al di là delle polemiche si può affermare che questo mezzo è meno costoso di molti altri. Unico caso al mondo di progetto al mondo di un aereo da combattimento dove i costi stanno diminuendo invece che aumentare, man mano che il progetto viene sviluppato e la produzione dei velivoli aumenta, i prezzi diminuiscono. Cosa mai successa. Oggi siamo al prezzo dell’F35A di circa 89,2 milioni di dollari e dell’F35B di circa 115 milioni di dollari.

Perché secondo lei è importante investire sulla modernizzazione del nostro sistema di difesa e sicurezza?

Il nostro paese ha fatto scelte precise di politica estera e difesa sulla base delle quali le nostre forze armate di sono organizzate. Queste scelte hanno comportato che non vi è stata missione a guida ONU o Nato, di scopo, cui il nostro paese di sia sottratto. Siamo sempre stati presenti e al fianco di chi aveva bisogno, e in questo siamo stati tra i contributori più generosi nel contesto internazionale. Essere presenti significa essere all’altezza delle sfide, avere i mezzi necessari per far fronte al ventaglio di opzioni di impiego che vanno dalla missione umanitaria a quella di un conflitto simmetrico o asimmetrico. Quindi, per esempio, la componente aerotattica dell’Aeronautica militare doveva essere rinnovata e gioco forza la scelta è caduta su questo mezzo che non ha eguali.

Molti paesi si sono interessati a questo aereo. Che futuro vede per il programma F35?

Mi lasci dire che l’F35 sarà, volenti o nolenti il velivolo europeo, ovvero il velivolo da caccia con cui la maggior parte delle aeronautiche europee saranno equipaggiate. Tanto che alcuni paesi, come Spagna e Polonia hanno manifestato interesse, altri fanno già parte del progetto, come Olanda, Belgio, Danimarca e, in ambito Nato, la Turchia e la Norvegia. Significative in questo senso le dichiarazioni rilasciate da due ex capi di stato maggiore dell’aeronautica tedesca, che hanno manifestato interesse per gli F35 come possibile strumento da adottare in sostituzione dei Tornado, e hanno anche denunciato, polemicamente, che le scelte fatte dai governi tedeschi in sinergia con l’industria nazionale, non hanno permesso di rispondere al meglio alle reali esigenze della Luftwaffe.

E anche a livello europeo, secondo lei, come sarebbe opportuno procedere per lo sviluppo del programma?

Per l’Europa non c’è dubbio che l’F35 sarà la spina dorsale delle forze aeronautiche europee, per questo, se veramente si vuole dare concretezza all’idea di uno strumento militare europeo, non c’è dubbio che bisogna favorire la possibilità per i paesi che hanno e avranno gli F35 di consorziarsi, come è sempre successo anche in passato tra le forze aeronautiche, mettendo a fattor comune addestramento, formazione, logistica, scambi di esperienze, interoperabilità e soprattutto interlocuzione con la casa madre. Se i paesi, invece che dialogare con gli Usa e la casa madre da soli, lo fanno con una voce unica potranno spuntare migliori condizioni anche per il trasferimento di tecnologie. Diciamo sarebbe utile costruire un consorzio europeo del progetto F35 continuando a svilupparlo, invece che cercare, a livello continentale, altri programmi costosissimi.

Enrico Casini è Direttore di Europa Atlantica

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