Tra Prorogation e Brexit

Cosa potrebbe rappresentare la recente richiesta di sospensione del Parlamento britannico ( Prorogation ) nel tortuoso e complicato percorso verso Brexit? Possibili implicazioni, non solo nel Regno Unito. Il punto di vista di Antonello Fiorucci

Prorogation, si chiama, ed è un espediente costituzionalmente previsto per godere in modo più compiuto della pausa estiva dai lavori del Parlamento più antico del mondo.

Sua Maestà, storicamente, non si oppone alla richiesta del Primo Ministro e, come da consuetudine costituzionale, anche in questo caso, non c’è stato uno stop alla richiesta di prolungamento dei tempi intercorrenti tra una sessione e l’altra del Parlamento, allorquando Boris Johnson ha deciso di ricorrere a questo istituto.

La prorogation, negli ultimi settant’anni, è stata richiesta e concessa due volte: la prima, nel 1948, quando Clement Attlee si affidò all’istituto per impedire alla Camera dei Lord di opporsi alla nazionalizzazione di alcune industrie siderurgiche; la seconda, nel 1997, quando John Major volle evitare che venisse discusso un report su uno scandalo in cui erano coinvolti due parlamentari conservatori, accusati di aver accettato tangenti.

Oggi, invece, a detta del Primo Ministro, la sospensione (di ben cinque settimane) del Parlamento britannico, servirebbe per “proporre un nuovo programma legislativo per il Paese”. Nulla a che vedere quindi con Brexit.

Volendo prendere dunque per buone le motivazioni di Boris Johnson, non sfugge comunque come il processo che conduce a Brexit sia pesantemente influenzato da una sospensione così lunga.

Infatti, se andiamo a valutare le date, il Parlamento riprenderà i lavori il 3 settembre e se vorrà lavorare per una legge contro il no-deal dovrà essere nel tempo che intercorrerà dalla riapertura al momento della sospensione del 10 settembre. Infatti, laddove non avvenisse l’approvazione, qualsiasi legge in discussione, decadrebbe, a meno che non venisse approvata una legge ad hoc, volta ad evitare il decadimento stesso. Tempi, comunque, molto molto stretti.  

Tutto sarebbe da rinviarsi alla riapertura della sessione con il tradizionale discorso della Regina, che, nuovo calendario alla mano, si terrà il giorno 14  ottobre, a tre giorni da un Consiglio Europeo importante come quello del 17 e del 18 ottobre, nel quale dovrà dirimersi il tema di un accordo con o senza “backstop” (cioè lo strumento per evitare di porre i confini tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord), e a meno di quindici giorni dall’uscita calendarizzata per il 31.

Un’uscita che a questo punto avrà due opzioni: quella di un nuovo accordo con Bruxelles, senza intralcio del Parlamento o quella di un no-deal, che sembra essere al momento la prima opzione del Primo Ministro che ha promesso di portare a casa l’uscita dall’Unione Europea “whatever it takes”.  In un caso o nell’altro, una condizione che lascia uno strettissimo spazio di manovra agli oppositori, anche interni ai conservatori, ad un no-deal.

Infatti, alla riapertura le opzioni in campo saranno due: al Consiglio Europeo del 17 e 18 ottobre, si raggiunge un qualche tipo di accordo, da discutere ed approvare (?) in Parlamento; Non si raggiunge un accordo, il Parlamento prova a sfiduciare il Primo Ministro e ad arginare un no-deal, per andare a nuove elezioni (soluzione che  potrebbe anche essere il vero obiettivo di Johnson per legittimare la sua posizione di premier non eletto, ma nominato dai membri del partito, anche alla luce delle ultime dichiarazioni del Cancelliere dello Scacchiere relative ad una spending review fortemente espansiva, che taluni ritengono essere una posizione di stampo marcatamente elettoralistico).

Questi i fatti; in realtà questa “forzatura” di Boris Johnson si configura sì come una provocazione al suo Parlamento, ma sembra essere, più compiutamente, una vera e propria sfida a Bruxelles. Se infatti non si contano le proteste delle opposizioni e dello stesso Speaker dei Comuni, il messaggio forte che è stato inviato ha un altro destinatario: l’Unione Europea. Infatti, con questa “strategia” il Primo Ministro britannico fissa un punto che si riassume sostanzialmente con un aut-aut su un accordo in tempi brevi o una no-deal Brexit, posto che non ci sarà Parlamento o procedura parlamentare che potranno far saltare o prorogare  ulteriormente il divorzio. Potrebbe essere un gioco poco responsabile, non tanto nei confronti dell’Unione, quanto nei confronti del popolo britannico, che sarà pur fermo con l’idea che la democrazia si sostanzia con l’esecuzione di una decisione presa in una piovosa giornata di giugno di tre anni fa dal 52% di elettori con informazioni non corrette, ma che forse dovrebbe lottare per quel diritto alla rappresentanza che oggi, in uno dei templi della democrazia mondiale, rischia di essere umiliato, per dinamiche che con i virtuosismi democratici poco hanno a che fare.  

Antonello Fiorucci

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