Il ritorno in corsa di Joe Biden per la nomination democratica

I risultati del Super Tuesday dello scorso 3 marzo hanno cambiato la corsa alla nomination democratica. Cosa possiamo aspettarci adesso dal confronto Biden-Sanders?

Dopo i risultati del “Super Tuesday”, il giorno in cui negli USA si è votato per le primarie in 14 stati contemporaneamente assegnando un terzo dei delegati per la futura convention, la corsa alla nomination democratica in vista delle presidenziali di novembre si è riaperta col ritorno sulla scena da protagonista di Joe Biden.

Adesso la competizione in casa democratica è davvero entrata nel vivo e si fa più chiara. Dopo un inizio concitato e confuso, dove avevamo visto un numero molto alto di candidati, il quadro si è adesso radicalmente modificato portando il confronto a due tra Joe Biden, ex vicepresidente dell’era Obama, e Bernie Sanders, il senatore del Vermont che già quattro anni fa dette filo da torcere a Hillary Clinton. Ma contrariamente alle previsioni della vigilia, per le quali Sanders era dato in buona parte come favorito, gli esiti del Super Martedì democratico hanno scombinato le carte in tavola. E questo, dopo la vittoria di Biden in South Carolina pochi giorni prima, ripropone l’ex vice di Obama al centro della scena, come forse in pochi ancora speravano.

Dopo la sorpresa del voto nell’Iowa, il primo stato a pronunciarsi sulle candidature, con la vittoria inattesa di Pete Buttigieg e l’affermazione di Bernie Sanders rispetto a tutti gli altri candidati più noti, da Elizabeth Warren e Joe Biden, avevamo assistito ad altri due appuntamenti elettorali, in Nevada e New Hampshire, che avevano portato in testa Bernie Sanders, facendo spostare verso sinistra l’asse del Partito democratico e portando a ritenere come probabile la vittoria finale del senatore del Vermont.

La delusione della Warren, che ovunque andava sotto alle aspettative nonostante le molte speranze degli inizi, si affiancava a quella di Joe Biden, che in questi primi tre appuntamenti raccoglieva magri risultati ( a parte il secondo posto nel Nevada). La Warren non era riuscita a sottrarre a Sanders la leadership della l’ala più radicale dell’elettorato democratico e, anzi, Sanders confermava già allora, e conferma ancora di più oggi, la sua capacità di mobilitazione di un pezzo di elettorato “di sinistra”. Il suo zoccolo duro di consenso si consolida e si rafforza rispetto anche a quattro anni fa, non solo grazie al sostegno ricevuto in questi giorni recenti da altri esponenti del partito, come il sindaco di New York Bill De Blasio, e della società civile ma anche alle sue note capacità retoriche e alla ampia mobilitazione che i suoi supporters stanno promuovendo nel paese.

Ma dopo i primi tre stati favorevoli a Sanders, sono arrivate le primarie in South Carolina e la vittoria, netta, di Joe Biden. Una vittoria che ha rimesso sulla scena il candidato moderato e centrista, grazie all’ampio consenso raccolto in uno stato del Sud e soprattutto nell’elettorato afro-americano, che non è poca cosa nella base democratica. Così, dopo i primi quattro stati, Biden ha potuto avvicinarsi all’appuntamento del Super Tuesday, dove si sarebbe votato in molti stati del Sud, con il vento in poppa e la ritrovata fiducia di andare a cercare altri risultati positivi.

 Amy Klobuchar e Pete Buttigieg, entrambi candidati moderati, hanno annunciato alla vigilia del Super martedì il proprio ritiro e il loro sostegno a Biden, insieme a un altro candidato alle primarie della prima ora, subito ritirato, come Beto O’Rourke. Una scelta che in molti hanno ritenuto non casuale. In questo modo su di lui si è concentrato un pezzo rilevante del consenso e dell’appoggio della parte più centrista del partito e dei progressisti moderati, che fin dall’inizio della corsa non era riuscita ad unirsi e anzi aveva stentato a riconoscersi in un solo candidato forte. Ma restava sul voto di martedì 3 marzo l’incognita di Mike Bloomberg, il miliardario ex sindaco di New York, candidatosi come indipendente alle primarie con l’obiettivo di diventare il riferimento dei Democratici moderati e l’aspirazione, da ex repubblicano, di poter anche parlare a una parte dell’elettorato tradizionalmente moderato dei repubblicani scontento dell’operato di Donald Trump. Bloomberg, che aveva puntato tutto proprio sul voto del Big Tuesday spendendo un’autentica fortuna per promuovere la sua candidatura, ha raccolto un risultato molto deludente, al di sotto delle aspettative, mentre i moderati, gli elettori della comunità afro-americana e soprattutto il grosso della base democratica del Sud, preferivano la figura di Biden.

Forte anche dell’endorsement di Buttigieg, O’Rourke e della Klobuchar, Biden ha potuto approfittare del vento che spingeva dalla sua parte, conquistando in una sola notte i delegati di ben dieci stati su quattordici: Maine, Massachusetts, North Carolina, Tennessee, Alabama, Oklahoma, Arkansas, Minnesota, Texas e Virginia. E non solo al Sud. Sanders, battuto nel Texas dove era dato favorito, può comunque ritenersi soddisfatto avendo conquistato la California, lo stato più ricco e popoloso, oltre al Vermont, al Colorado e allo Utah, ma resta una magra consolazione, avendo perso però la testa della classifica generale. Il vincitore di questa tornata è stato Joe Biden che può così rilanciare la sua corsa e farlo acquisendo anche un vantaggio non banale sul suo antagonista, non solo in termini di delegati, ma anche a livello mediatico. E le tendenze degli ultimi sondaggi, anche nel confronto ipotetico con Trump, sembrano confermarlo.

Bloomberg, dopo il risultato negativo, si è ritirato, dichiarando il proprio sostegno a Biden, mentre Elizabeth Warren, uscita ancora una volta con risultati largamente al di sotto delle sue aspettative, battuta da Biden in Oklahoma e Massachussets, pur avendo annunciato il suo ritiro non ha ancora opzionato alcun endorsement. Valuterà probabilmente nel corso dei prossimi giorni o settimane.

Questo per riassumere i fatti. Adesso però la corsa a due entra nel vivo, alla vigilia di un altro martedì dove si voterà in sei stati, ma soprattutto in un momento in cui anche negli States il tema Coronavirus sta attirando le attenzioni di media e popolazione. Anche in America il virus è arrivato e sta creando una emergenza molto complicata da affrontare, per la quale il Presidente Trump ha delegato il suo vice, Mike Pence. Ma l’emergenza Coronavirus è un tema legato direttamente anche alla difficile questione, al centro del dibattito politico americano da anni, del sistema sanitario nazionale. Due questioni complesse che potrebbero pesare anche nel confronto politico dei prossimi giorni.

Per restare alla corsa democratica, cosa potrà accadere nei prossimi appuntamenti? I democratici saranno adesso probabilmente sempre di più spaccati in due, come era stato già in parte nel 2016, con un candidato a rappresentare l’ala più moderata del partito e uno la sua sinistra, ma con alcune differenze, rispetto al voto di quattro anni fa. Certamente adesso che il quadro si è fatto più chiaro e definito, Biden proverà ad approfittare del suo vantaggio per prendere il largo, ma Sanders tenterà con tenacia di restare in partita e giocarsi le sue carte. Indubbiamente il partito adesso potrebbe subire questa spaccatura e le distanze tra i due blocchi elettorali democratici potrebbero favorire anche un futuro indebolimento della sua base elettorale, divisa tra spinte molto diverse e per certi versi opposte. Un tema, comunque sia, che entrambi i candidati dovrebbero porsi. Vincere le primarie e conquistare la nomination rischiando però di non poter contare sul sostegno dell’elettorato del candidato sconfitto potrebbe diventare un problema, per entrambi.

Questa spaccatura tra gli elettori democratici, se in futuro non dovesse ricucirsi, potrebbe favorire in prospettiva Trump, che nel frattempo sta correndo sostanzialmente in solitaria verso la sua riconferma come candidato repubblicano? Al momento è difficile dirlo, gli scenari politici americani cambiano rapidamente, come ci dimostra il ritorno sulla scena di Joe Biden che fino a pochi giorni fa sembrava impossibile. Cambiano e potrebbero cambiare anche perché la corsa delle primarie, soprattutto per il partito che deve scegliere il candidato da contrapporre al presidente uscente, è una sfida molto diversa da quella della successiva campagna per le presidenziali. Lo si è visto anche quattro anni fa. Trump è il presidente uscente, e per quanto la sua presidenza sia stata molto contestata nel paese e nonostante i sondaggi nazionali non gli sorridano sempre, per la sua posizione attuale potrà avere comunque un vantaggio sul suo contendente. Dipenderà molto anche da come saprà sfruttare gli ultimi mesi della sua presidenza, per portare a casa alcune delle promesse fatte quattro anni fa.

Del resto la corsa alla Casa Bianca dura sostanzialmente un anno intero e nell’arco di un tempo così lungo possono cambiare, per tutti, molte cose. Sia per i Repubblicani e il loro campione, che per i Democratici.

Probabilmente Trump preferirebbe come avversario Bernie Sanders, per poter puntare a convincere tutto l’elettorato moderato americano e quello degli stati del Sud, su cui Sanders manifesta problemi anche nel suo stesso partito. Ma ancora è molto presto per fare scenari e formulare possibili esiti del voto del 3 novembre. Troppo presto.

Intanto la sfida in casa democratica è entrata nel vivo e al momento è davvero difficile preventivare un risultato finale. La velocità con cui la politica a queste latitudine cambia è davvero impressionate. Biden, l’uomo dal volto più rassicurante, moderato, politico esperto e di lungo corso, fino a poco tempo fa considerato sconfitto, è tornato protagonista, raccoglie consensi e sostegno, può tornare a giocare la sua partita fino in fondo per vincere alla fine la palma di candidato democratico. Punterà su alcune parole d’ordine come sanità, istruzione, controllo delle armi, su cui l’elettorato tradizionale democratico è storicamente sensibile, con toni più rassicuranti del più “radicale” senatore socialista del Vermont e, soprattutto, cercherà di parlare alla base tradizionale del partito, fatta anche di quei lavoratori degli stati del Sud e della “Rust Belt”, la regione che dagli Appalachi va fino ai Grandi Laghi, che quattro anni fa scelsero in gran parte Donald Trump risultando decisivi anche per la sua vittoria finale. Di sicuro, intanto, la sua affermazione nel Super martedì è piaciuta a Wall street, e anche questo non è poco, coi tempi che passano. Ma mancano ancora diversi appuntamenti decisivi, e molti stati ancora che devono pronunciarsi, prima della Convention di Milwauke, dove sarà ufficialmente incoronato lo sfidante di Donald Trump.

Come ci aspettavamo però il Super Tuesday ha davvero dato una svolta alle primarie democratiche. E il ritorno di Joe Biden in corsa lo dimostra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *