Abraham Lincoln, il salvatore dell’Unione

All’alba del 15 Aprile 1865, 155 anni fa, moriva per le ferite riportare in un attentato il Presidente Abraham Lincoln. Vincitore della Guerra civile, ancora oggi è ricordato come uno dei padri fondatori degli Stati Uniti.

Sulla celebre facciata del Monte Rushmore, nelle Black Hills, spiccano i volti di quattro grandi presidenti americani, considerati, per meriti diversi padri e salvatori degli Stati Uniti. Tra i quattro campeggia quella di Abraham Lincoln.

Se George Washington può essere considerato il “padre della patria”,  vincitore della Guerra di indipendenza e uno dei fondatori dell’Unione, Abraham Lincoln si è imposto nei decenni, a partire dalla sua presidenza, come il “salvatore dell’Unione”. Non a caso, proprio con George Washington contende una sorta di ideale podio dei più grandi presidenti di tutti i tempi, e insieme a Francklin Delano Roosevelt sono considerati i tre più grandi presidenti della storia americana[1]. Tre presidenti che con la loro azione hanno determinato una svolta storica per gli Stati Uniti, rimanendo centrali nello loro rispettive epoche, e ebbero il merito di guidare il paese in anni bui di guerra, tre autentici comandanti in capo, e sopratutto tre vincitori.

Ma probabilmente più di ogni altro la figura di Lincoln è ancora oggi una delle più citate, studiate, e famose della storia americana. Certamente per l’importanza della sua azione politica ma forse anche per la tragicità improvvisa della sua morte, ce ne fece una sorta di martire, giunta pochi giorni dopo la fine della Guerra di secessione per mano di un fanatico sudista, John Wilkes Booth. All’alba del 15 aprile 1865, centocinquantacinque anni fa.

Ma chi era Abraham Lincoln?

Come ci ricorda Raimondo Luraghi[2], uno dei più grandi storici americanisti d’Italia, profondo studioso della Guerra di secessione americana, Abraham Lincoln amava definirsi un “uomo del Sud”, proprio lui, presidente dell’Unione negli anni della guerra e capo del fronte nordista. Era nato nel Kentucky, nel 1809, a Hodgeville, figlio di pionieri partiti alla conquista dei territori selvaggi, che poi lo portarono prima in Indiana e poi a stabilirsi definitivamente nell’illinois. Resterà per tutta la vita legato alla sua origine natia, figlio di una famiglia di coloni in una capanna di tronchi della nuova frontiera condizionerà la sua formazione personale e il suo modo di vedere lo stesso futuro della nazione. Per tutta la vita incarnerà con vigore e forza proprio lo spirito che stava forgiando la nuova America, lo spirito della conquista e del progresso, della libertà e dell’eguglianza tra uomini liberi. Idealmente e politicamente incarnò proprio lo spirito nuovo che di più caratterizzava le nuove generazioni di imprenditori e lavoratori del Nord che stavano dando vita ad una nazione moderna e industriale, dove gli uomini erano liberi e pari, lontana dal Sud latifondista dove ancora vigeva il sistema schiavista.

Autodidatta, fortemente spinto dall’idea che nella costruzione dell’America moderna vi fosse anche una sorta di vocazione e di missione di natura religiosa, Lincoln divenne proprio in Illinois un avvocato, e qui, nel partito Whig, iniziò a muovere i primi passi in politica, diventando deputato nella camera dei rappresentanti dello Stato, prima di essere eletto al Congresso a Washington. Il partito Whig, ispirato ai Whig borghesi inglesi, era un partito votato al progresso e particolarmente prossimo alle nuove classi urbane e imprenditoriali. Fu dai Whig, da una parte dei membri del Free Soil Party e da alcuni abolizionisti che nel 1854 fu fondato il Partito Repubblicano, di cui Lincoln divenne membro e per il quale fu candidato alla presidenza nel 1860. Quel partito Repubblicano, era molto diverso da quello di oggi, il GOP (Grand Old Party), ma che oggi ancora di vanta di essere “il partito di Lincoln”, diventato nel Novecento un partito prima moderato e poi sempre più conservatore, allora incarnava invece i più genuini ideali di progresso e soprattutto l’idea del rafforzamento dell’Unione, con posizioni interne anche radicali e abolizioniste. Molti repubblicani del nord, anche per motivi di fervore religioso puritano, erano convinti abolizionisti e oppositori della schiavitù. Non tra loro però vi era Abraham Lincoln, appartenente all’ala moderata del partito, e per quanto certamente non fosse un simpatizzante del sistema schiavistico, sosteneva la necessità del suo contenimento e non della sua radicale abolizione. Ma fu tra coloro che si opposero all’estensione del sistema schiavistico nei territori dell’Ovest, le.terre della nuova frontiera, che non dovevano finire sotto un sistema simile a quello sudista, dove la manodopera delle piantagioni erano spesso schiavi neri sfruttati, ma doveva invece essere destinato ai coloni liberi.

Del resto, lo scontro tra Nord e Sud non fu solo incentrato sul tema della schiavitù, sul cui scontro originò la secessione degli stati del Sud che si unirono nella Confederazione e dettero inizio al conflitto, ma fu anche uno scontro tra modelli economici, sociali, culturali diversi. Lincoln rappresentava pienamente il modello del Nord, l’America lanciata verso la modernità e lo sviluppo industriale che seppe sfruttare tutta la propria forza economica e tecnologica per vincere la guerra. La guerra civile che per 4 anni insanguinò il paese, ma che lui con tenacia riuscì a condurre e vincere anche grazie alla sua visione e capacità strategica. Diventando così il Presidente “vincitore”.

Nel fervore civile e politico con cui guidò il Nord e condusse la guerra, non rinuciciò mai alla missione che si era dato fin dall’inizio, difendere l’Unità del paese, combattendo quella fazione che riteneva ribelli, in nome della salvezza dell’Unione e della naziona stessa. Questa sua missione resterà il cuore del suo mandato e il perno di tutta la sua azione politica riformatrice e modernizzatrice, ma anche lo spirito con cui condusse la guerra insieme al generale Grant, che con lui condivideva la stessa visione e le stesse motivazioni politiche.

A Gettysburg pronuciò uno dei discorsi rimasti più celebri nella stroia americana, per certi versi il suo manifesto politico,  concentrato intorno a una sorta di culto della nazione repubblicana e dell’Unione, fondata sulla libertà e la democrazia. Lincoln è di fatti anche il simbolo[3], del culto civile della nazione americana, un autentico mito della sua religione politica, oggi  celebrato anche attraverso il grande Memoriale eretto in suo nome nel cuore di Washington.

Egli svolse con energia e coraggio questa sua funzione, come se chiamato a compiere un compito superiore nel bene comune, e la esercitò non solo nell’opera di salvataggio delll’Unione durante la guerra, ma anche dando a quel paese una serie di nuovi simboli dell’unità nazionale, per celebrare la nuova religione civile. Uno di questi divenne il Thanksgiving, che proprio lui introdusse.

Abraham Lincoln fu anche il protagonista dell’approvazione del Tredicesimo emendamento, nelle prime settimane del 1865,  quando con un colpo di genio politico e una capacità di lungimiranza oggi forse impensabile, comprese che fosse arrivato il momento, proprio alla vigilia della capitolazione del Sud, di fare quell’altro nuovo grande passo nella storia americana.

Da poco rieletto trionfalmente per il suo secondo mandato, vincitore della guerra e nuovo leader di un’America appena uscita da un conflitto che aveva lasciato sul campo centinaia di migliaia di morti, egli sarebbe stato pronto a ricostruire il paese, nel senso della riconciliazione nazionale, convinto che il Sud sconfitto non dovesse essere umiliato ne sottomesso e che il paese dovesse essere riunificato in armonia, perché di un paese solo si trattava, l’Unione.

Purtroppo per lui e per gli Stati Uniti stessi quel disegno non si poté realizzare e si spezzò, per mano di un sudista fanatico che attentò alla sua vita la sera del 14 aprile 1865, al Ford’s Theatre a Washington. Sull’attentato a Lincoln si è detto e scritto molto, gridando spesso anche al complotto. Ma al di là della verità di chi armò davvero la mano dell’attentatore, ciò che resta è il grande lutto che investì il paese, nei giorni successivi la sua morte, e sopratutto l’incompiutezza di quel sogno di unità e riconciliazione che Lincoln poteva incarnare e per il quale si sarebbe battuto, nel suo secondo mandato.

La sua morte fu una tragedia per una nazione non solo perché la privò della sua guida migliore, ma anche perché allargò inevitabilmente la ferita ancora sanguinante della guerra, una ferita che avrebbe continuato a sanguinare a lungo e che, forse, solo Lincoln dall’alto della sua autorevolezza e lungimiranza politica avrebbe potuto provare a curare.

Certamente però, se gli Stati Uniti sono potuti diventare poi, nei decenni successivi, quello che sono ancora oggi, non solo in termini di potere politico, militare ed economico, ma anche come simbolo, è stato indubbiamente anche merito del “salvatore dell’Unione”, Abraham Lincoln.

Enrico Casini


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Classifica_storica_dei_presidenti_degli_Stati_Uniti_d%27America

[2] R. Luraghi, La Guerra civile americana, Bur, Milano

[3] E. Gentile, Le religioni della politica, Laterza, Roma

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