La vittoria nel Pacifico, la fine della guerra e il ruolo degli Stati Uniti

Con la firma della resa incondizionata del Giappone il 2 settembre si concluse la Seconda Guerra mondiale. Chiuso il fronte del Pacifico, anche dopo l‘uso delle bombe atomiche, l’America guidò la rinascita del mondo libero, mentre si apriva la Guerra Fredda.

Il 2 settembre del 1945, a bordo della USS Missouri, ancorata nella baia di Tokyo, i rappresentanti militari del Giappone e degli Alleati firmarono l’atto ufficiale che mise fine alla Seconda Guerra Mondiale concludendo con la resa incondizionata dell’Impero del Sol Levante anche il sanguinoso conflitto sul fronte pacifico. Una resa che era già stata anticipata dalle parole dell’Imperatore Hiroito alla radio il 15 Agosto.

Pochi mesi dopo la fine delle ostilità in Europa, con il crollo del Reich e la liberazione finale dell’Europa occupata, terminava l’incubo bellico durato 6 anni, con la sua interminabile scia di massacri, stragi, battaglie, crimini. Un incubo tanto buio e terribile da condizionare per gli anni successivi pesantemente la memoria e la storia umana. L’Europa in particolare uscì particolarmente devastata dal conflitto e tanto provata, dopo le due guerre mondiali che si erano combattute sul suo territorio, da diventare in futuro il territorio dove più in profondità il timore e il terrore di una guerra ha condizionato le opinioni pubbliche dei suoi paesi. Ma anche l’estremo oriente uscì particolarmente segnato dalla guerra. Il Giappone era in ginocchio, avendo subito perdite pesantissime e bombardamenti terribili, tra cui quelli delle due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, oltre ai danni economici della guerra e del blocco mercantile. Ma nel 1945 anche gran parte dell’Asia, dalla Birmania al Siam, dagli arcipelaghi alle Filippine erano stati colpiti e coinvolti nella guerra: la Cina inoltre era un gigante in crisi da decenni, devastata da anni di rivolte, invasioni e guerre, e rimase coinvolta nel conflitto civile tra comunisti e nazionalisti fino al 1949, quando poi, poco dopo, esplose anche la crisi coreana intorno al 38° parallelo.

Il conflitto nel Pacifico era stato particolarmente cruento e drammatico. Noi europei siamo spesso portati a non concedere la dovuta attenzione alle vicende della guerra sul fronte dell’estremo oriente, concentrandoci ovviamente di più sui fatti che interessarono la guerra tra Europa e Nord Africa, fino alla sua conclusione nel mese di maggio ’45. Ma la Seconda Guerra fu davvero, più della prima, mondiale, il primo grande conflitto globale della storia, e nel Pacifico, sia negli ultimi mesi del conflitto che dopo, si determinarono anche una parte consistente dei destini e degli assetti futuri del mondo. È anche giusto ricordare che l’ingresso stesso degli Americani, nel conflitto mondiale, fu determinato dall’attacco giapponese a Pearl Harbor, nel dicembre del 1941, alle Hawaii.

Dopo lo shock dell’attacco alla flotta americana ancorata nella base de Pearl Harbor, negli anni successivi gli USA furono impegnati in un enorme sforzo tecnologico e industriale, oltre che politico e strategico, per poter vincere la guerra. Gli Alleati, dal 1941, guidati da due giganti del Novecento come Winston Churchill Flanklin Delano Roosevelt, difesero il mondo libero fino a quando iniziarono le controffensive alleate su entrambi i fronti. Fu da allora che gli USA dimostrarono di essere determinanti su entrambi i fronti di guerra, guidando con forza e generosità l’azione degli Alleati e la liberazione dell’Europa Occidentale da un lato e del Pacifico dall’altro. Conclusa la guerra gli USA avevano conquistato definitivamente  il rango di superpotenza mondiale. Uno status costruito nel tempo attraverso il primato  tecnologico, industriale ed economico, quello acquisito sul piano politico internazionale a partire dall’intervento nella Prima Guerra Mondiale, e sancito con la vittoria quasi contemporanea sui due fronti della Seconda Guerra mondiale.

Ma Nonostante la potenza dispiegata nel Pacifico e la riconquista progressiva dei territori acquisiti dai Giapponesi durante la guerra, prima di arrivare alla vittoria finale,  gli Americani, soprattutto dal Febbraio del 1945, dovettero fare la terribile esperienza di conoscere l’ostinazione e la tenacia della difesa del “sacro suolo”nipponico da parte dei suoi difensori.

Questo avvenne non solo per mezzo degli attacchi kamikaze, ma anche in occasione prima dell’attacco all’isola di Iwo Jima e poi nella battaglia di Okinawa.  Iwo Jima prima, grazie alla difesa predisposta dal Generale Kuribayashi, e poi a Okinawa, dimostrarono quanto nonostante la crisi irreversibile che investiva il paese, i nipponici fossero disposti a lottare pur di non cedere alla resa incondizionata e permettere agli Americani di conquistare posizioni strategiche all’interno del proprio territorio nazionale. Si trattava di isole meridionali dell’arcipelago giapponese, strategiche non solo perché parte a tutti gli effetti parte del suo territorio nazionale ma anche perché potevano permettere dalle loro piste aeree di raggiungere più facilmente le grandi città delle isole principali per gli attacchi e i bombardamenti aerei oltre a fungere da base di appoggio per una eventuale invasione terrestre.

Probabilmente l’esito di queste due battaglie, in cui migliaia di uomini perirono, contribuirono anche a sostenere la tesi di coloro che preferivano impiegare la bomba atomica per risolvere il conflitto piuttosto che rischiare un’invasione delle coste giapponesi che sarebbe potuta costare altre migliaia di morti tra i soldati americani e altri mesi ancora di conflitto. Sappiamo che la scelta del suo uso non fu facile e che, anzi, divise larga parte dei vertici politici e militari americani, ma fu vista come funzionale a porre fine rapidamente alla guerra e per questo fu presa, nelle modalità che conosciamo. 

La vittoria nel Pacifico permise agli Americani di affermare la propria leadership mondiale guidando il processo di ricostruzione dell’ordine politico ed economico internazionali, già avviato dai vertici tra i leaders alleati tra il ’43 e il ’45 e dalla Conferenza di San Francisco, e permise loro di seguire le evoluzioni di un’area del mondo particolarmente strategica per i loro interessi. Non a caso, pochi anni dopo Truman intervenne nel conflitto coreano rischiando, proprio in estremo oriente, lo scoppio di una nuova guerra contro il fronte emergente dei paesi comunisti.

Il dopo guerra prese quasi immediatamente i tratti della nuova competizione globale tra le due grandi potenze che avevano vinto la guerra. Gran Bretagna e Francia erano comunque due imperi coloniali in crisi irreversibile, la Germania il Giappone e l’Italia erano potenze in crisi distrutte dalla guerra, l’Europa intera però diventava il terreno di un nuovo confronto strategico tra est e ovest che toccò a Winston Churchill svelare in tutta la sua drammaticità e realtà nel celebre discorso di Fulton, dove coniò l’immagine della “cortina di ferro” che divideva l’Europa. Come era stato contro il nazi-fascismo, i paesi alleati, America in testa, erano chiamati a una nuova sfida in nome della libertà del mondo occidentale contro la tirannia, ora impersonata dallo stalinismo e dal comunismo.

Del resto, è stato probabilmente a partire dalla sfida della guerra per la liberazione dell’Europa e dai valori impressi nel 1941 nella Carta atlantica, se con la vittoria della guerra prima e poi nella competizione per l’Europa contro il comunismo si è formata intorno all’idea della società aperta e della cultura politica liberaldemocratica l’idea stessa dell’Occidente politico transatlantico.

Il mondo dopo la fine della guerra fu plasmato dai suoi vincitori, in particolare dagli Americani e dalla loro visione politica fondata su quell’internazionalismo liberale che ha guidato la loro azione per gli anni della Guerra Fredda e oltre. L’impegno degli Usa, avviato da Roosevelt e proseguito da Truman, dette origine al nuovo ordine mondiale fondato sul multilateralismo e il liberalismo da cui trassero origine le organizzazioni internazionali che dovevano “governare” il nuovo sistema evitando una nuova guerra distruttiva e una nuova crisi economica. Ma allo stesso tempo il mondo diventava anche il teatro della nuova contrapposizione bipolare e della Guerra Fredda. L’America fu protagonista nella ricostruzione del mondo libero, a partire dall’Europa, con il coinvolgimento diretto dei paesi che erano stati nemici (Germania e Italia). Questo processo di ricostruzione politica ed economica fondata anche sui valori politici comuni favorì la nascita dell’Occidente inteso in senso atlantico e il suo consolidamento attraverso le relazioni transatlantiche e le sue organizzazioni più rappresentative (NATO e UE);  entrambe frutto degli esiti della guerra e della vittoria alleata, oltre che della visione di coloro che raggiunsero quella vittoria.

Ancora oggi, terminata anche la Guerra Fredda da più di trenta anni con la vittoria proprio dei paesi occidentali, nel pieno di una crisi globale come la Pandemia che potrebbe accelerare alcuni processi già in corso di ridefinizione degli equilibri globali, molte delle istituzioni nate dopo la guerra, ma pensate quando ancora infuriavano i combattimenti, restano comunque i nostri principali riferimenti istituzionali internazionali e la migliore garanzia per il nostro benessere, la nostra sicurezza e i sistemi democratici. Forse da loro, e da un rinnovato rapporto tra i paesi occidentali e gli Usa, conviene ripartire per cercare un nuovo equilibrio nel nuovo disordine internazionale, e per rilanciare l’unità e il ruolo dell’Occidente, a partire dai valori comuni che abbiamo ereditato e condiviso.

Enrico Casini, Direttore di Europa Atlantica

@casini_enrico

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