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Atlantismo, da tattica a visione

Pubblichiamo l’articolo di Enrico Casini e Andrea Manciulli per la rivista Airpress di Dicembre 2022

Quando ad agosto abbiamo assistito al ritiro delle truppe occidentali da Kabul, molti, tra i solerti accusatori dell’Occidente (e degli Stati Uniti) avevano salutato quasi con piacere quell’evento, drammatico, come un segnale inequivocabile del declino americano e della fine dell’atlantismo. A quasi un anno di distanza non stupisce che quella profezia avventata sia franata sotto gli occhi di tutti. Non stupisce nemmeno che gli stessi che spesso annunciavano la fine dell’Occidente e dei suoi simboli principali, siano spesso stati tra i maggiori sostenitori del modello offerto dalle autocrazie, Cina e Russia in primis, e anche tra coloro che, fin dal giorno stesso in cui i carri armati russi hanno superato i confini ucraini, hanno accampato responsabilità per quella guerra tra le fila di chi veniva attaccato o di chi aiutava gli invasi, piuttosto che tra gli invasori.

Nel corso degli ultimi mesi, ma la cosa si era palesata anche durante il Covid, numerose voci si erano fatte promotrici di un sentimento anti-atlantico, anti occidentale ed anti-americano. Non si tratta ovviamente di una novità, poiché per motivi diversi la società italiana è attraversate da questo tipo di sentimenti da molto tempo. Ovviamente vivendo noi, per nostra fortuna e non per caso, in una democrazia, a differenza dei paesi autocratici come la Russia, ogni posizione e ogni idea quando non è lesiva della legge e della libertà altrui merita rispetto. Ma proprio perché è possibile manifestare liberamente il proprio pensiero è doveroso fare notare come chi per mesi ha profetizzato la fine dell’atlantismo e dell’Occidente abbia fallito miseramente le sue previsioni. E questo, va detto, è stato possibile grazie a tre fattori fondamentali: primo tra tutti la forza e il coraggio con cui il popolo ucraino resiste all’invasione e ha respinto le armate russe. Secondo, lo spirito di rinnovata coesione e unità che i paesi occidentali hanno ritrovato, sia sostenendo gli Ucraini, anche militarmente, che opponendosi all’arroganza e alle minacce russe. Terzo, e non ultimo per importanza, l’evidente ruolo guida del mondo libero che gli Stati Uniti hanno recuperato a pieno titolo e che ha permesso loro di riconquistare senza dubbi una primazia a livello internazionale a fronte di una Russia, in evidente affanno, e di una Cina, in difficoltà sul piano economico e sociale anche per la fallimentare strategia anti-Covid messa in atto in questi mesi. Tanto che ha permesso a Biden di poter sfruttare una oggettiva posizione di forza anche nel confronto recente con Xi.

Ma contrariamente a qualche anno fa oggi nessuno può più negare l’importanza della vocazione atlantica del nostro paese, che rappresenta, da sempre, un pilastro portante della nostra politica estera. L’atlantismo  rappresenta qualcosa di più di una mera posizione tattica in politica estera, è una visione, fondata su valori ben precisi, che ha valenza strategica e programmatica. Si basa su istituzioni solide come la NATO e su relazioni irrinunciabili, come quella del nostro paese con gli USA e i principali alleati occidentali. Aver pensato, come in qualche salotto televisivo è stato fatto, che l’Italia potesse rinunciare a questa vocazione è stato un palese errore. E come dimostrano i fatti, una miope idea franata sotto i colpi della guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina. Una guerra in cui, va ricordato, esiste un popolo invaso e un invasore e sono in ballo non solo il futuro dei confini ucraini, ma il destino della democrazia e dell’Occidente. Ecco perché è importante che proprio la comunità atlantica, che rappresenta il cuore politico pulsante dell’Occidente, abbia risposto compatta e unita alla minaccia russa e ritrovato una guida forte, in questo periodo storico di grande incertezza.

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