COVID19 in Afghanistan: lo Stato in difficoltà e il contagio in aumento

La diffusione del Coronavirus in Afghanistan, mentre il paese attraversa un momento complesso. L’analisi di Claudio Bertolotti

L’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato la pandemia globale di coronavirus 2019 (COVID-19). Le organizzazioni internazionali e le istituzioni nazionali, tra difficoltà, differenti strategie e visioni, hanno avviato procedure di contenimento e contrasto. Un’azione a tutela dei cittadini che è resa particolarmente difficile dale condizioni di sicurezza e stabilità in quei Paesi dove lo stato è debole e vi sono situazioni di crisi e guerra. Tra i paesi più in difficoltà, anche a causa di una guerra che prosegue da oltre 19 anni, c’è l’Afghanistan.

Sebbene il sistema sanitario afghano sia migliorato nell’ultimo ventennio grazie al supporto della Comunità internazionale, emerge però un’incapacità strutturale che si traduce in impreparazione e assenza di risposta efficace all’epidemia, come già dimostra la crescente mortalità a causa di malattie infettive come la poliomielite e il morbillo.

L’Afghanistan sta ora assistendo a un rapido e incontenibile aumento dei casi COVID-19. Il 24 febbraio 2020, il Ministero della sanità pubblica dell’Afghanistan ha riportato il primo caso di infezione da coronavirus nella provincia occidentale di Herat, dove ha sede il comando italiano della missione NATO in Afghanistan. Da allora il numero dei contagiati è aumentato. Il 25 marzo i casi confermati erano 75 in 12 province. Da quel momento il ministeri della sanità e dell’istruzione hanno sospeso tutte le attività scolastiche e limitato le celebrazioni del Nowruz (il Capodanno persiano) per contenere la pandemia. Attività scolastiche però proseguite, paradossalmente, nelle aree controllate dai talebani, che hanno imposto la propria organizzazione e gestione di apparenti servizi di prevenzione sanitaria a favore della collettività; una decisione che, di fatto e a fronte dell’impreparazione talebana nella gestione di emergenze di questo tipo, ha contribuito alla diffusione del virus.

Alla fine di giugno, secondo quanto riferito dall’International Rescue Committee (IRC), le infezioni da COVID-19 sono aumentate del 700%; ma la limitata capacità di effettuare test sanitari induce a pensare che l’aumento sia decisamenbte più elevato.

Sebbene le autorità afghane abbiano ordinato il blocco dei trasferimenti tra le città di confine, il contrasto della diffusione si è però rivelato molto difficile a causa dell’afflusso di rifugiati afghani dal vicino Iran che, a migliaia ogni giorno, hanno attraversato il confine. A partire dal 25 marzo 2020, riferisce l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, circa 136.400 afghani sono tornati dall’Iran, tra questi molti a rischio di contagio. Inoltre, secondo i rapporti dell’OMS, solo nel 2020 in Afghanistan 745.800 persone sono state sfollate a causa della guerra e 24.500 persone sono state colpite da catastrofi naturali: spostamenti di gruppi di persone che hanno contribuito ad aumentare il livello di contagio.

Un ulteriore e grave problema è rappresentato dalla scarsa consapevolezza del pericolo da parte dei cittadini afghani, conseguenza della limitata alfabetizzazione sanitaria che porta molti individui contagiati ad abbandonare la quarantena, contribuendo così alla trasmissione del virus (l’alfabetizzazione scolastica, molto bassa, è del 31% a livello nazionale). Problemi che, uniti alle consuetudini culturali che prevedono di stringere le mani e abbracciarsi in occasione delle riunioni comunitarie, alla mai interrotta apertura dei luoghi di ritrovo (le moschee in particolare) e alla scarsa disponibilitàà di dispositivi individuali di protezione, hanno portato a un rilevante peggioramento della situazione sanitaria.

Un aspetto preoccupante è la carenza di operatori sanitari. A livello nazionale ci sono solo 9 professionisti sanitari qualificati e 2 medici per 10.000 abitanti; ma i medici sono distribuiti in modo sbilanciato sul territorio nazionale, con 7 medici per 10.000 abitanti nelle aree urbane e solo 0,6 medici per 10.000 abitanti nelle aree rurali.

Milioni di afghani, già provati da decenni di guerra, affrontano oggi una crisi economica di ampia portata che sta avendo e avrà sempre più pesanti conseguenze sulla vita delle persone, lasciando presagire un possible disastro umanitario. La fragile economia nazionale dipende fortemente dalle importazioni dai paesi vicini: una dipendenza che, resa vulnerabile dalle restrizioni alle frontiere messe in atto per contenere la diffusione del virus, rischia di trascinare il Paese in una crisi economica e sociale di ampia portata. In particolare, il problema potrebbe raggiungere a breve livelli critici nelle aree rurali e più remote dell’Afghanistan, dove lo stato non riesce ad operare attraverso la fornitura e la copertura dei servizi sanitari e di quelli essenziali, né a mantenere una cornice di sicurezza necessaria all’invio di personale sanitario.

Claudio Bertolotti


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