Kirghizistan, rivoluzione o restaurazione? Analisi della transizione politica

Ultimi sviluppi della situazione politica nel paese dell’Asia Centrale. L’analisi di Fabio Indeo

Dopo tre mesi di profonda incertezza politica, le elezioni presidenziali tenutesi in Kirghizistan il 10 gennaio hanno legittimato l’ascesa al potere di Sadyr Japarov – politico nazionalista, liberato tre mesi fa dal carcere a seguito della rivolta di piazza culminata con la destituzione del presidente Jeenbekov – che ha ottenuto il 79% dei voti (anche se la partecipazione si è attestata al 40%): parallelamente, si è svolto anche un referendum sulla forma di governo ed una percentuale analoga di consensi ha deciso per il ritorno ad un sistema presidenziale, accantonando di fatto il sistema parlamentare adottato a seguito della “contro-rivoluzione” del 2010 che estromise l’allora presidente Bakiev.

La repubblica centroasiatica ha vissuto l’ennesima profonda trasformazione politica, che connota il Kirghizistan come una sorta di unicuum nell’Asia Centrale post sovietica, caratterizzata da successioni presidenziali “calcolate” e da un sostanziale immobilismo politico. Infatti, la destituzione del presidente in carica a seguito di manifestazioni di protesta popolare non rappresenta una novità nella storia del Kirghizistan indipendente: nel 2005 la cosiddetta “rivoluzione dei tulipani” estromise l’allora presidente Akayev, mentre nel 2010 le proteste di piazza portarono alla destituzione del suo successore Bakiev, dimostrando il discreto funzionamento di un sistema multipartitico e il radicamento di una società civile che si oppone a fenomeni quali corruzione, nepotismo, infiltrazione della criminalità nelle leve del potere.

Sussistono tuttavia delle evidenti differenze tra le due precedenti “rivoluzioni” e quella attuale, innescatasi ad ottobre con le manifestazioni di protesta indette dalle forze di opposizione che contestavano il risultato delle elezioni parlamentari: in primis, sia nel 2005 che nel 2010 vi erano delle figure politiche riconosciute, capaci di guidare la transizione politica. Ad esempio nel 2010, a seguito della destituzione di Bakiev venne creato un governo ad interim composto da leader politici che comprendeva il leader di Ata-Meken Omurbek Tekebaev, il leader del Partito Social Democratico Almazbek Atambaev (poi eletto presidente), e soprattutto  Roza Otumbaeva – ex ministro degli esteri, ex diplomatica, personalità riconosciuta a livello internazionale – che nel ruolo di presidente ad interim (prima ed unica donna in Asia centrale) assunse il ruolo di traghettatore conducendo il paese alle presidenziali del 2011, oltre che promotrice dei significativi emendamenti della costituzione che sancirono il passaggio da una repubblica presidenziale ad una parlamentare, fondata su una più equa distribuzione dei poteri. Nella transizione politica in corso, mancano invece delle personalità politiche di riferimento e la controversa figura dell’attuale presidente Japarov (liberato dal carcere a seguito dei tumulti di piazza) è emersa nel vacuum politico caratterizzato dalle dimissioni del primo ministro e del presidente Jeenbekov: inoltre, egli si è dimostrato abile nello sfruttare il corso degli eventi a tal punto da concentrare nella propria persona il ruolo di primo ministro e di presidente ad interim, attraverso un’evidente forzatura delle leggi e del  sistema di regole esistenti e degli equilibri tra i poteri dello stato. Questa impressione appare confermata dalla precisa volontà di promuovere un progetto di revisione della Carta Costituzionale finalizzato a restaurare un sistema politico presidenziale – indirizzo confermato dal responso del referendum popolare – e dalla forzatura delle normative vigenti che impediscono al presidente ad interim di candidarsi alle elezioni presidenziali.

Il 15 ottobre, giorno delle dimissioni del presidente Jeenbekov, Japarov si è autoproclamato presidente della repubblica ad interim, violando ancora una volta i dettami costituzionali che prevedono – nella fase di transizione politica – il passaggio dei poteri allo speaker del parlamento in caso di dimissioni o incapacità del presidente allo svolgimento delle proprie funzioni. Kanat Isayev, nominato soltanto due giorni prima alla cruciale carica di speaker del parlamento, ha apertamente rinunciato alla carica di presidente ad interim, per l’aperta ostilità espressa dai sostenitori di Japarov.

Oltre alle sfide di politica interna (ripristinare l’ordine e la stabilità, affrontare l’emergenza sanitaria legata al covid 19, promuovere il rilancio economico post pandemia) che attendono Japarov nei prossimi mesi, occorrerà altresì valutare l’orientamento dei due giganti geopolitici in relazione alla transizione politica in corso in Kirghizistan.

Sebbene il nuovo ministro degli esteri kirghiso Kazakbaev abbia espresso la ferma volontà di preservare il legame privilegiato con la Russia, Putin non ha inizialmente nascosto il suo malcontento di fronte alle recenti vicende kirghise, giudicate “spiacevoli”, in quanto ulteriore fattore di instabilità nello spazio post sovietico che coinvolge un altro paese membro dell’Unione Economica Euroasiatica dopo le proteste post-elettorali in Bielorussia e il conflitto aperto che coinvolge l’Armenia con l’Azerbaigian per la questione irrisolta del Nagorno-Karabakh.

Dopo le elezioni, Il Presidente russo Putin è stato tra i primi a congratularsi con Japarov, sottolineando la necessità di proseguire la cooperazione e di preservare la tradizionale partnership strategica che colloca Bishkek sotto l’ombrello securitario di Mosca (appartenenza all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e concessione della base aerea di Kant), oltre ad essere stato membro dell’Unione Economica Euroasiatica dal 2015.

Anche la Cina ha espresso profonda preoccupazione per la destituzione di Jeenbekov e per il clima di caos ed instabilità, temendo un potenziale contagio nella confinante regione dello Xinjiang.  La Cina oggi rappresenta il maggiore creditore di Bishkek, sopratutto la Eximbank (China’s Export-Import Bank) che ha concesso prestiti e finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture nell’ambito della Belt and Road Initiative. Nonostante questa repubblica centroasiatica rientri nell’orbita securitaria russa, è al tempo stesso centrale per alcuni progetti cinesi sia in ambito BRI (il corridoio ferroviario Cina-Kirghizistan-Uzbekistan) che in ambito energetico, in quanto nazione di transito della linea D del gasdotto Cina-Asia centrale, linea che verrà alimentata esclusivamente con gas turkmeno.

Fabio Indeo


Immagine tratta da Pixabay

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