L’ATTACCO ALLE INFRASTRUTTURE PETROLIFERE SAUDITE. IL REPORT DEL CE.S.I.

Le dinamiche dell’attacco e le possibili ripercussioni sugli equilibri regionali. Segnaliamo l’analisi di Lorenzo Marinone realizzata per il Centro Studi Internazionali.

Sabato 14 settembre un attacco complesso compiuto con droni e, probabilmente, missili, ha colpito alcune delle più importanti infrastrutture idrocarburiche dell’Arabia Saudita. Si tratta del complesso di Abqaiq, situato nella Provincia Orientale a 300 chilometri a nord-est della capitale, e del vicino campo petrolifero di Khurais. Abqaiq è il vero centro nevralgico del settore petrolifero su cui si regge il Regno dei Saud. Maggior impianto di trattamento del greggio del Paese, dalla sua operatività dipende sia l’export via mare attraverso il Golfo Persico (tramite il terminal di Ras Tanura), sia quello via terra lungo l’oleodotto East-West verso il Mar Rosso. In più, tra gli obiettivi colpiti figurano proprio quei gas oil separation plant (GOSP) che sono cruciali per depurare il greggio e renderlo commerciabile, e la cui riparazione è ben più complessa rispetto ad altre infrastrutture come, ad esempio, un oleodotto.

L’entità del danno è apparsa fin da subito elevata. Nelle ore successive all’evento Riyadh ha visto dimezzata la sua produzione giornaliera di petrolio (da oltre 10 a poco più di 5 milioni di barili), mentre il prezzo del greggio sui mercati internazionali è aumentato di circa il 20%, nonostante tanto l’Arabia Saudita quanto gli Stati Uniti abbiano prontamente assicurato di poter supplire all’ammanco (il 5% dell’output globale di petrolio) attingendo alle proprie riserve strategiche finché gli impianti non torneranno in funzione.

Questo nervosismo visibile nell’impennata del prezzo del petrolio non dipende soltanto da fattori di natura economica e dalle loro possibili ripercussioni sui mercati globali. Al centro dell’attenzione restano infatti sia l’esatta dinamica dell’attacco, su cui rimangono ancora oscuri molti punti decisivi, sia, soprattutto, l’identità dei responsabili. La fazione yemenita degli Houthi ha prontamente rivendicato l’attacco, sostenendo di averlo compiuto con una flotta di 10 droni partiti dalle sue roccaforti nel nord-ovest del Paese. Questa versione però è stata rifiutata dagli Stati Uniti, che hanno ipotizzato piuttosto un attacco lanciato da nord-ovest (verosimilmente dall’Iraq meridionale) e con l’impiego aggiuntivo di missili, e ne hanno attribuito la paternità direttamente all’Iran, e in particolare ai Pasdaran e alle loro unità deputate a compiere operazioni all’estero.

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Articolo originale pubblicato sul sito del Ce.S.I.

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