L’impatto dell’esplosione a Beirut sulla stabilità politica ed economica del Libano

In un contesto di crisi economica e sociale, quali conseguenze sta producendo e potrà produrre nelle prossime settimane la tragica esplosione del porto di Beirut sul fragile equilibrio politico e sociale del Libano. L’analisi di A. Roberta La Fortezza.

In attesa di conferme ufficiali da parte della commissione nazionale incaricata di indagare i fatti, la devastante esplosione registratasi nel pomeriggio del 4 agosto 2020 nella zona del porto commerciale di Beirut è, con ogni probabilità, da annoverare tra i più disastrosi incidenti industriali a livello globale.

A prescindere dall’analisi della dinamica dell’incidente, da cosa contenessero realmente i magazzini interessati dall’esplosione e dalle responsabilità penali individuali[1] per gli addetti allo stoccaggio, alla manutenzione e alla protezione del deposito portuale, può essere interessante e utile cercare di comprendere quali conseguenze immediate e di lungo periodo l’incidente potrà avere sulla stabilità economica e socio-politica del Libano stesso. Infatti è fin da subito doveroso precisare che la matrice incidentale dell’episodio, qualora confermata dall’inchiesta, non si tradurrebbe, in un’assenza di conseguenze sulle dinamiche interne libanesi, sul piano economico, sociale e politico del paese.

Per cominciare, anche si fosse trattato di negligenza, questo appare destinato ad alimentare la rabbia della popolazione nei confronti di una classe politica giudicata corrotta e inetta: ciò è già stato dimostrato dalle ampie proteste antigovernative scoppiate nella notte tra il 6 e il 7 agosto nella capitale, Beirut, ed esplose in un moto violento che ha visto nel corso della giornata dell’8 agosto i manifestanti assaltare e occupare diversi ministeri[2]. Ulteriori possibili escalation dei fenomeni di insorgenza socio-politica e l’eventuale estensione del violento moto di protesta anche ad altre città del paese potrebbe definitivamente compromettere la stabilità politico-istituzionale del paese. Inoltre la situazione di forte criticità che si registra al momento in Libano potrebbe essere abilmente sfruttata da diversi attori regionali e internazionali per favorire cambiamenti interni maggiormente in linea con i propri desiderata.

Per la popolazione libanese l’esplosione del 4 agosto è diventata l’emblema evidente e incontestabile della cattiva gestione della res publica da parte delle autorità di ogni livello: dalla legge di bilancio, alla definizione del welfare, alla destinazione della spesa pubblica[3], alla gestione delle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio conservate nel porto di Beirut per 6 anni in attesa di procedere ad una vendita all’asta del materiale o ad un suo corretto smaltimento[4]. Proprio sulla scia del crescente malcontento derivante soprattutto dal progressivo grave deterioramento del contesto economico-finanziario nazionale, dal 17 ottobre 2019 i libanesi sono ciclicamente scesi in piazza non solo nella capitale, ma in molti dei maggiori centri urbani del paese. Il moto di protesta che ha trovato nell’applicazione di una tassa sulle telefonate, poi ritirata, e sulla decisione dell’allora governo guidato da Saad Hariri di introdurre nuove misure di austerità con il bilancio del 2020, motivazioni meramente contingenti, si è in breve tempo allargato nelle proprie richieste e nei propri obiettivi finali fino ad assumere le sembianze di una generale contestazione dell’intera classe politica e delle tradizionali dinamiche politico-istituzionali libanesi. Le stesse dimissioni del Premier Hariri, il 29 ottobre 2019, e la nomina il 19 dicembre, dopo settimane di negoziati e diversi tentativi falliti, di Hassan Diab come nuovo Primo Ministro, non sono bastate del resto a sedare le manifestazioni le quali hanno infatti continuano a riproporsi ciclicamente. Lo stesso nuovo governo è stato infatti fortemente criticato dalla popolazione poiché giudicato perfettamente inserito nelle tradizionali logiche di potere e di fazioni tipiche della storia libanese post indipendenza.

Soltanto a causa dell’emergenza Covid-19 e delle restrizioni introdotte da parte delle autorità governative le manifestazioni avevano visto negli ultimi mesi una parziale riduzione della loro intensità e dei tassi di partecipazione (nel mese di aprile, tuttavia, si erano registrate nuove violente escalation soprattutto a Beirut, Tiro, Tripoli e Sidone). La stessa emergenza sanitaria con le chiusure imposte ha, del resto, accentuato l’estrema debolezza dell’economia libanese che dal 2019 vive la sua peggiore crisi economica dai tempi della guerra civile. Da settembre del 2019, i prezzi per gli articoli di base come cibo e alloggi sono aumentati del 169% (l’inflazione dei prezzi dei beni di prima necessità ha sfiorato il 250% nel mese di giugno), mentre la disoccupazione ha toccato punte del 45% in alcune fasce della popolazione. La lira libanese ha subito la peggiore svalutazione della storia del Libano; la dipendenza dell’economia nazionale dalle importazioni e dunque dai dollari ha portato a una riduzione delle riserve e costretto de facto alla cessazione dell’ancoraggio lira-dollaro. La perdurante carenza di dollari USA presso gli sportelli automatici del paese ha portato molte banche ad imporre già alla fine del 2019 controlli e limiti di prelievo, provocando una ulteriore crescita dei disordini e degli atti violenti soprattutto diretti contro gli istituti bancari. Il 9 marzo il Libano per la prima volta non è riuscito a far fronte al pagamento della rata (pari a 1,2 miliardi) del debito pubblico, palesando le sue estreme difficoltà economico-finanziarie. Alla fine di luglio l’Agenzia Moody ha declassato il Libano a “C” (il rating più basso previsto dalla società di valutazione, pari a quello del Venezuela) e ha avvertito che le perdite degli obbligazionisti causate dall’attuale inadempienza del paese potrebbero superare il 65%[5].

In piena crisi finanziaria, la banca centrale libanese ha utilizzato le ultime riserve in dollari per sovvenzionare l’acquisto di grano, carburante e medicinali nell’intendo di scongiurare una più grave crisi alimentare e umanitaria dovuta dalla penuria dei beni di prima necessità[6]. Secondo i dati più recenti disponibili, il tasso di povertà sarebbe arrivato al 45% circa e la popolazione avrebbe serie difficoltà a soddisfare le esigenze alimentari di base. Un recente sondaggio del World Food Program ha mostrato che una famiglia libanese su cinque ha saltato i pasti o è rimasta senza cibo per un’intera giornata[7]. Secondo gli ultimi dati diffusi da Save the Children nella zona di Beirut quasi un milione di persone non avrebbe denaro sufficiente per acquistare generi di prima necessità, incluso il cibo[8]. In tale contesto, a inizio luglio, il ministro dell’Economia, Raoul Nehmé, ha firmato una decisione con la quale ha formalizzato l’aumento del prezzo di un pacchetto di pane libanese da 900 grammi, da 1.500 sterline a 2.000 sterline (prezzo poi rivisto settimanalmente, come quello del carburante)[9].

È in questa situazione di estrema debolezza economico-finanziaria e incertezza alimentare che si inserisce la tragedia del 4 agosto. La distruzione del principale porto del paese, nonché uno dei punti nevralgici del Mediterraneo in cui transitano la maggior parte delle importazioni ed esportazioni da e verso il Medio Oriente, non solo renderà estremamente più difficoltosa l’importazione di cibo, carburante e aiuti, ma la sua chiusura per un periodo che, in ragione dei danni riportati dall’infrastruttura, potrebbe essere verosimilmente molto lungo, impatterà sulle entrate derivanti dai transiti, oltre che sull’intero settore occupazionale nazionale (con riferimento ai traffici ma anche all’indotto portuale). L’inoperatività del porto è tanto più carica di conseguenze se si considera la strutturazione import-led dell’economia libanese: il paese importa fino all’80% del proprio fabbisogno alimentare ed è particolarmente dipendente dall’arrivo di grano tenero. Dopo la fine della guerra civile (1975 – 1990) il porto è stato modernizzato e ampliato anche con la costruzione di un gigantesco silos utilizzato per lo stoccaggio del grano per l’uso interno (secondo la società commerciale Mena Commodities circa l’85% dei cereali del paese sarebbe stato immagazzinato nella struttura[10]). Proprio questo deposito di grano è andato quasi integralmente distrutto nell’esplosione del 4 agosto o comunque il grano contenuto nei silos non risulta più utilizzabile in ragione della contaminazione provocata dal nitrato di ammonio. Lo stesso consiglio supremo, riunito d’urgenza dal Presidente della repubblica, Michel Aoun, ha infatti predisposto fin da martedì sera la limitazione della vendita di farina ad eccezione di quella per i forni, nell’intento di anticipare il rischio di una carenza futura, precisando l’estrema e imminente necessità di sostituire la quantità di grano persa nell’esplosione. La repentinità con cui tale decisione è stata assunta dalle massime autorità dello Stato è estremamente emblematica delle conseguenze che questo incidente rischia di provocare anche in termini di sicurezza alimentare della popolazione. 

Come accennato, alla crisi alimentare si è unita negli ultimi mesi anche la crisi sanitaria generata dall’emergenza Covid-19. L’alto bilancio di feriti (circa 6.000 secondo le stime più recenti) ha messo ulteriormente sotto pressione gli ospedali della capitale costringendo le autorità a dirottare i feriti in altri ospedali del Paese. Il sistema sanitario libanese risultava già prima di martedì particolarmente provato dall’emergenza Covid-19 e, in una situazione in cui sembra potersi prospettare un’accelerazione del trend dei contagi del virus, la pressione sugli ospedali della capitale potrebbe portare l’intero sistema sanitario nazionale al collasso. Proprio nelle prime ore della giornata del 4 agosto, prima dei tragici fatti, il direttore dell’ospedale Universitario Rafic Hariri di Beirut aveva dichiarato che la struttura era ormai prossima alla saturazione; la stessa Croix Rouge libanese, impiegata nei soccorsi e nella gestione dell’esplosione, risultava già precedentemente in una situazione di estrema precarietà in ragione dell’emergenza Covid-19, dimostrando una crescente difficoltà nella gestione dei servizi di trasporto delle persone contagiate o dei sospetti casi Covid-19[11]. La strutture sanitarie, del resto, così come quelle dei soccorsi, scontano anche i numerosi e consistenti tagli di bilancio derivanti dalla crisi economica. A tutto ciò si aggiunge la situazione dei circa 300.000 sfollati costretti a lasciare le proprie case poiché distrutte o inagibili a seguito dell’esplosione: migliaia di persone che potrebbero aggiungersi ai gruppi di rifugiati siriani e palestinesi nelle aree periferiche e disagiate della capitale portando ad un aumento della pressione sociale nei quartieri più poveri e a un ulteriore depauperamento degli stessi (sia in termini economici che di situazione alimentare e sanitaria).

È dalla guerra civile che il Libano non vedeva una compresenza di così tanti fattori di rischio: spinte regionali, crisi economico-finanziaria di gravissima portata, interessi pressanti di attori terzi regionali e internazionali, crisi alimentare e sanitaria, crescente insorgenza socio-politica. Sebbene il Libano abbia trovato proprio nel suo particolare e delicatissimo modello di convivenza il suo equilibrio, è pur vero che è proprio nei momenti di crisi che le spinte centrifughe interne riemergono in maniera pericolosa, potendo anche declinarsi in un riacutizzarsi delle tensioni confessionali. Gli incidenti, i cambiamenti o persino le impercettibili variazioni dello status quo si ripercuotono sul Libano come “sur un tympan ultra sensible”[12], capace di amplificare ed esasperare ciascuna delle contraddizioni interne con possibili funeste conseguenze sulla vita sociale, politica e comunitaria del Libano[13]. Quanto siano efficaci gli anticorpi allo scontro confessionale che il Paese dei cedri è riuscito a sviluppare anche grazie ai 15 anni di conflitto, lo scopriremo con ogni probabilità nei prossimi giorni.

A. Roberta La Fortezza


[1] Come stanno già emergendo e come continueranno ad emergere in seno all’inchiesta ordinata dal procuratore di stato, Ghassan Oueidat, nel contesto della quale sono già state arrestate diverse persone https://www.france24.com/fr/20200806-en-direct-%C3%A0-beyrouth-macron-en-appelle-%C3%A0-des-initiatives-fortes-pour-lutter-contre-la-corruption.

[2] https://www.lemonde.fr/international/article/2020/08/08/explosion-a-beyourth-les-libanais-manifestent-contre-leurs-dirigeants-une-conference-des-donateurs-organisee-dimanche_6048486_3210.html

[3] Ad esempio la totale mancanza di equipaggiamento dei vigili del fuoco, in ragione dei continui tagli, già emersa in seguito agli incendi che hanno interessato soprattutto le aree a sud ed est di Beirut pochi giorni prima dell’inizio delle proteste ad ottobre 2019.

[4] Per la ricostruzione dei fatti relativi alla provenienza del nitrato di ammonio si v. https://stableseas.org/blue-economy/explosion-beirut-seafarer-rights

[5] https://www.moodys.com/research/Moodys-downgrades-Lebanons-rating-to-C-from-Ca–PR_428833

[6] https://www.lorientlejour.com/article/1187942/change-livre-dollar-les-minotiers-tirent-la-sonnette-dalarme.html

[7] https://www.abc.net.au/triplej/programs/hack/beirut-explosion-blew-up-wheat-port-in-city-of-hungry-children/12526984

[8] https://www.savethechildren.net/news/more-half-million-children-beirut-are-struggling-survive

[9] https://www.lorientlejour.com/article/1224364/-pour-de-nombreuses-familles-le-pain-est-central-que-vont-elles-faire-maintenant-.html#:~:text=Hier%2C%20le%20ministre%20de%20l,livres%20%C3%A0%202%20000%20livres.

[10] https://www.spglobal.com/platts/en/market-insights/latest-news/agriculture/080420-explosion-at-port-of-beirut-damages-grain-silos-terminal-reports

[11] https://libnanews.com/liban-coronavirus-lhopital-universitaire-rafic-hariri-proche-de-sa-capacite-de-saturation/

[12] A. CHEDID, Le Liban, Parigi, Petite Planète, 1996, p. 32.

[13] Sullo sviluppo delle dinamiche confessionali nel paese si veda in particolare A. R. LA FORTEZZA, Cedri e Ulivi nel giardino del Mediterraneo, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2020.


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