Quanto pesa ancora la minaccia dello Stato Islamico in Iraq? L’analisi di Plebani

Dopo il recente attacco a Baghdad, l’organizzazione terroristica dello Stato Islamico è tornata a fare parlare di se per la sua presenza in Iraq. Ma molte cose sembrano essere cambiate dagli anni in cui, proprio in Iraq, l’organizzazione guidata da Abu Bakr Al Baghdadi dava vita al tentativo di realizzare a livello territoriale uno “Stato Islamico” e si autoproclamava “Califfato”.

Come è cambiata questa organizzazione in questi ultimi anni, a partire proprio dall’Iraq, e quanto la presenza e la minaccia jihadista incide nel contesto di instabilità e insicurezza  presente nel paese mediorientale? E quali sono gli altri attori, protagonisti nelle tensioni che attarversano il paese? Ne abbiamo parlato con Andrea Plebani, docente presso l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e autore di numerose pubblicazioni sul Jihadismo.

Prof Plebani, pochi giorni fa un duplice attentatato suicida, rivendicato dallo Stato Islamico, ha colpito Baghdad. L’organizzazione terroristica nota anche come ISIS dimostra di essere ancora presente nel paese dove è nata durante l’insorgenza antiamericana. Ma quale è lo stato attuale di questa organizzazione in Iraq?

A oltre un anno di distanza dalla morte di Abu Bakr al-Baghdadi, il sedicente “Stato Islamico” (IS) appare come una pallida ombra di quella realtà capace di occupare enormi porzioni di territori siro-iracheni oltre che di colpire al cuore il mondo occidentale. Eppure, esso continua a rappresentare una minaccia tutt’altro che marginale sia sul piano regionale che a livello internazionale. In merito alla posizione di IS all’interno della “terra dei due fiumi”, al di là dell’attacco citato, IS sembra aver modificato sensibilmente il proprio modus operandi negli ultimi anni. A differenza del periodo antecedente la liberazione di Mosul (giugno 2017), quando i militanti di al-Baghdadi puntavano a prendere possesso di importanti centri urbani, il gruppo pare più interessato a rafforzare la sua presenza su aree scarsamente abitate e difficili da controllare per le forze di sicurezza irachene in modo da preservare le proprie risorse e da porre le basi per un nuovo ritorno. È anche in quest’ottica che va considerato il graduale spostamento del baricentro della formazione in Iraq da ovest (sede delle sue tradizionali roccaforti) alle province centro-orientali, come dimostrato dall’attivismo fatto registrare soprattutto nelle aree comprese tra Kirkuk e Diyala.

Caduto il tentativo di realizzare uno stato territoriale, che proprio tra Iraq e Siria ebbe luogo, su quali obiettivi potrebbe, a suo avviso, agire oggi l’organizzazione nel breve e medio termine?

Nel breve-medio termine, l’obiettivo del gruppo è chiaramente quello di riorganizzarsi e di creare le condizioni per il varo di un’offensiva in grado di colpire con intensità crescente obiettivi-chiave all’interno del quadrante iracheno. Una strategia, questa, che sembra ricalcare, a parte le eccezioni sopra evidenziate, quanto avvenuto negli anni successivi alla nomina alla guida del gruppo di al-Baghdadi.

L’Iraq è un paese attraversato da forti tensioni interne e da rivalità sia di natura politica, etnica, che religiosa. A parte i gruppi jihadisti, quali altre organizzazioni estremistiche minacciano la sua stabilità?

Seppur in misura e con modalità differenti rispetto alla minaccia costituita dai gruppi jihadisti, l’Iraq deve fare i conti con una serie di realtà che sfuggono al pieno controllo delle sue istituzioni. Un esempio significativo, in tal senso, è quello rappresentato da alcune formazioni paramilitari che mantengono da sempre legami profondi con Paesi terzi, Iran in primis. Per quanto confluite all’interno delle “unità di mobilitazione popolare” (formazioni che, in virtù del ruolo chiave giocato nella lotta a IS a cavallo tra 2014 e 2017, sono state riconosciute come parte integrante del sistema di sicurezza iracheno), queste milizie hanno mantenuto un’autonomia fortissima e godono di un’influenza che si dipana sul piano della sicurezza, a livello economico-sociale e persino in ambito politico. Non a caso, esse sono state oggetto degli strali dei movimenti di protesta che da più di un anno infiammano il Paese, oltre che accusate delle sparizioni e degli assassinii di centinaia di attivisti.

Quanto è rilevante l’influenza dell’Iran nel paese e cosa può comportare nella situazione politica nazionale?

Teheran gioca un ruolo chiave nel Paese, tanto da essere considerata come l’attore più influente all’interno della terra dei due fiumi. Come riconosciuto in più occasioni da ufficiali ed esponenti politici americani, infatti, la Repubblica Islamica gode in Iraq di un peso specifico enorme sia sul piano politico che a livello economico e di sicurezza. Eppure, sarebbe sbagliato considerare Baghdad come una marionetta nelle mani del potente vicino orientale. Sono molti gli attori, infatti, che mal sopportano l’influenza di Teheran sulla terra dei due fiumi, anche all’interno del campo sciita. Per quanto le province mesopotamiche ospitino alcune delle principali città sante dello sciismo e abbiano nella componente sciita la comunità più rilevante dal punto di vista demografico, la difficile eredità del conflitto Iran-Iraq (1980-1988) e la tradizionale rivalità tra i santuari di Najaf e Qom contribuiscono a dar vita a una relazione complessa e, a tratti, estremamente difficile. Al di là della prossimità dal punto di vista religioso-confessionale, inoltre, la tradizionale rivalità tra i due Paesi, unita alla rilevanza delle fratture attive sul piano etnico-linguistico e al risentimento che accompagna l’influenza iraniana sul campo iracheno, costituiscono dei fattori che non possono essere sottostimati.

Gli effetti economico-sociali della pandemia, unitamente alle altre cause di instabilità e fragilità istituzionali presenti nell’area mediorientale e alle diverse rivalità e tensioni di natura geopolitica, potrebbero favorire un rafforzamento delle organizzazioni terroristiche e in generale una nuova diffusione del jihadismo nella regione?

Per quanto sia difficile ipotizzare una completa rinascita di Da’ish a causa della pandemia, diverse analisi evidenziano come le ancora importanti risorse economiche di cui gode il movimento possano essere impiegate per stabilire importanti relazioni patrono-clientelari e favorire una ripresa della formazione, seppure in un orizzonte temporale medio-lungo. Questo anche alla luce della durissima crisi economica che ha colpito il Paese.

Abbiamo parlato di ISIS, ma alcune settimane fa era circolata un voce circa la possibile morte del leader di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri. Quale è lo stato attuale dell’organizzazione fondata da Bin Laden e dove è rimasta più present e organizzata?

Al di là delle voci relative alla morte (per cause naturali …e non) di alcuni esponenti di punta dell’organizzazione, al-Qa‘ida rimane un attore centrale nel panorama jihadista. Nel momento di massima ascesa di IS, il gruppo di al-Zawahiri ha puntato su una strategia volta a sganciare la sigla dalle brutalità e dagli eccessi commessi da Da‘ish. Questo l’ha esposta ad accuse di tradimento e di eccessiva moderazione, ma l’ha messa al riparo dal collasso che ha poi finito con l’investire il sistema-IS. Nonostante la competizione interna alla galassia jihadista, poi, il gruppo è riuscito a mantenere il controllo su molti dei suoi principali gruppi affiliati, tanto da rimanere un attore centrale su molteplici teatri, come evidente nel caso yemenita, nella regione sahelo-maghrebina, nel Levante e in Asia Centrale.

Intervista a cura della redazione di Europa Atlantica


Immagini tratte da Pixabay

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