Elezioni in Israele: è ancora referendum su Netanyahu. I possibili scenari

Quali possibili scenari dopo il voto politico in Israele, tra la forte frammentazione partitica e lo stallo politico? Alcune ipotesi nell’analisi di Sarah Ibrahimi Zijno

La quarta tornata elettorale in due anni ha prodotto un risultato assolutamente interlocutorio che non restituisce la palma della vittoria a nessuno.  La coalizione guidata da Netanyahu, che contava sui spettacolari risultati conseguiti con la campagna vaccinale non ha raggiunto l’agognata maggioranza di 61 seggi alla Knesset, fermandosi a 52 contro addirittura i 57 della coalizione avversaria: dimostrando che non sono state affatto superate le perplessità dell’opinione pubblica legate ai recenti scandali che hanno colpito Netanyahu e il partito.

Nel momento in cui scriviamo  tali risultati non sono ancora definitivi, ma ben difficilmente ormai potrebbero cambiare in modo tale da sovvertire questo quadro, nel quale le possibilità di formare una maggioranza sono legate all’apporto  del partito di Bennett che però ha portato avanti una intera campagna elettorale veicolando graniticamente e pedissequamente  il messaggio “nessuna alleanza con il Likud”, di cui rappresenta una costola fuoriuscita polemicamente.

In questo quadro, esiste anche la possibilità, che in seno al Likud si stia cominciando ad esplorare di coinvolgere nelle trattative per la formazione del nuovo governo il partito dei moderati arabi, il Raam, ipotesi che prima ancora di essere messa in pratica ha già provocato laceranti discussioni all’interno del partito e della società.

Al centro di questo scenario abbiamo ancora Netanyahu, che solo per aver evitato  la catastrofe annunciata in seguito alla sequela di scandali che lo hanno visto protagonista possiamo considerare – già solo per questo – il vincitore della tornata e che anzi in queste ore si appresta a rilanciare ostentando sicurezza e nessuna ritrosia a portare il paese eventualmente alle urne per la quinta volta.

In questi termini, sembrerebbe che siamo in presenza di una complessa partita politica e parlamentare basata su equilibri interni al paese, ma si tratta in realtà di un quadro pregno di pericolose incognite.

E’ evidente infatti che siamo in presenza non di un quadro parlamentare frammentato, ma di una società frammentata. La crescente e continua proliferazione di partiti sia di destra che di sinistra non è che un aspetto di questo crescente divario, incrementato proprio dalle forze politiche stesse  le quali, in un sistema elettorale proporzionale, per attingere al serbatoio elettorale comune non possono che sottolineare le differenze, con il risultato paradossale che i peggiori avversari sono proprio i partiti e i settori sociali contigui più che quelli dello schieramento avversario: con la conseguente proliferazione di sigle e formazioni. Il fenomeno infatti delle scissioni e delle differenziazioni non ha riguardato in questi anni solo lo schieramento di centrodestra, che anzi forse ne ha risentito meno, ma anche e soprattutto la sinistra dove il tradizionale partito laburista, a cui si deve sostanzialmente la fondazione del paese e basato sulla tradizionale impostazione kibbuzita si è sostanzialmente dissolto per far posto ad una pluralità di formazioni l’una contro l’altra armata.

Tale meccanismo, ampiamente indagato dai politologi si riverbera sulla società e sui settori dello Stato, esponendo tutto il sistema politico e istituzionale a pressioni crescenti e a una progressiva paralisi decisionale e questo potrebbe rivelarsi, in tempi non troppo lontani, essenziale per una società come quella israeliana e in quel contesto geopolitico.

Il secondo aspetto che è importante sottolineare è che in tale debolezza istituzionale e politica il paese non può che scivolare verso una subordinazione crescente nei confronti degli Stati Uniti e alle politiche che la nuova amministrazione Biden vorrà portare avanti nell’area. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, a giudicare dalle prime mosse compiute dagli USA sul problema dei rapporti con l’Iran e in generale sulle questioni dell’area, sarebbe proprio questo il momento, invece, per un forte governo israeliano in grado di prendere e tenere saldamente in mano l’iniziativa diplomatica.

Infine, non sono  da sottovalutare le conseguenze del coinvolgimento del partito conservatore arabo, anche se finora solo a parole. Perché solo il valutare tale ipotesi, non può non rimettere all’ordine del giorno una serie di questioni che i governi Netanyahu hanno in questi anni anestetizzato, o addirittura aggravato. Il riferimento è alla questione palestinese, mai risolta né seriamente affrontata, e i suoi numerosi sottoprodotti: dal continuo proliferare degli insediamenti israeliani in Cisgiordania all’annessione di fatto di intere porzioni della west bank, al crescente problema del regime delle acque, senza contare l’irrisolta questione di Gaza.

Questa non vuole essere una enumerazione di problemi, ma il presupposto della domanda che vi si cela: quale è, e quale può essere  il ruolo degli arabi in Israele e nell’area? Una domanda che l’eventuale coinvolgimento, anche solo ipotetico, del partito conservatore arabo nella compagnie governativa non può che rilanciare dolorosamente proprio in seno ad una società già lacerata e che non può essere certamente affrontato da un malfermo  governo di compromesso come quello che potrebbe profilarsi.

Anzi, per essere precisi, nessuna delle questioni di cui abbiamo parlato (le gravi sollecitazioni a cui viene esposto il sistema istituzionale, la situazione politica internazionale, la perenne tensione con gli arabi israeliani e dei palestinesi) può essere affrontata da un siffatto governo.

Non è da escludersi, tra gli scenari possibili, l’ipotesi, seppur remota, di uno spostamento “a elle” nello scacchiere politico da parte di Netanyahu, che lo vedrebbe dunque protagonista “dietro le quinte”.

Con questi presupposti, forse allora l’ostentazione di sicurezza del vecchio Bibi nell’ipotizzare nuove elezioni ha una sua ragion d’essere: o io, oppure nuove elezioni ma stavolta lontano (almeno cronologicamente) dagli scandali e avendo il partito di Bennett già dimostrato di non essere in grado di scalzare il Likud: in altri termini, o io oppure io.

Ma se questo è il calcolo, ha un nemico che potrebbe dimostrarsi letale: proprio quel sistema elettorale proporzionale e i suoi effetti perversi. 

Sarah Ibrahimi Zijno


Imamgini tratte da Pixabay.com

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