L’Italia ha bisogno di una nuova politica per la Libia. Parla Varvelli

L’analisi di Arturo Varvelli, Direttore dell’Ufficio di Roma dell’European Council on Foreign Relations, sulla fase attuale della crisi libica e sul possibile ruolo di Italia e Unione Europea

Non si può dire che l’Italia non abbia giocato un ruolo importante nella crisi libica dopo la caduta di Muammar Gheddafi. E la politica estera italiana nei confronti di Tripoli non può certamente essere descritta come fallimentare. L’Italia, per esempio, lavorando a supporto della Nazioni Unite e in tandem con gli Stati Uniti è stata in grado di instaurare a Tripoli nell’aprile del 2016 un governo formalmente legittimo, scaturito dall’accordo di Skhirat. Ciò a beneficio del processo politico libico ma anche a supporto del proprio interesse. L’Italia infatti era stata accusata nel biennio 2014-16 di essere troppo vicina al governo “islamista” che risiedeva proprio a Tripoli.

Tuttavia, in seguito l’Italia si è volontariamente discostata da quella linea. Se le prime aperture a  Khalifa Haftar furono fatte come contro assicurazione alla linea ufficiale e Haftar fu portato a Roma senza alcuna forma di ufficialità, le azioni seguenti cominciarono a guardare sempre di più a Haftar nella falsa convinzione che fosse il leader emergente del paese. La ricerca di una equidistanza dalle due parti in causa, soprattutto dopo l’azione militare di Haftar contro la capitale ad aprile dello scorso anno, ha fatto percepire la linea italiana come ambigua agli occhi degli interlocutori libici. La mancata condanna dell’aggressione di Haftar al GNA da parte di Roma non ha permesso all’Italia di stabilire una relazione privilegiata con Haftar. Al contempo, tuttavia, le ha fatto perdere la fiducia di Tripoli, ha limitato la forza diplomatica italiana sul piano internazionale e, ancora più gravemente, ha “costretto” il GNA a trovarsi nuovi amici affidandosi alla Turchia di Recep Erdogan. Tutto ciò è accaduto sotto una costante pressione contraria degli ambasciatori italiani a Tripoli e di tutte le analisi che evidenziavano come concedere una legittimità ad Haftar nelle trattative politiche fosse la strada giusta per prorogare a tempo indefinito il conflitto. Nel frattempo, il controllo del flusso migratorio è divenuta l’unica chiave di lettura di una crisi che, evidentemente, ha molte più sfaccettature.

L’Italia dovrà nei prossimi mesi necessariamente affrontare una fase di ripensamento della propria politica verso la crisi. Questa dovrebbe far parte di un più ampio esercizio di dialogo e, perché no, di scambio di interessi, con gli attori coinvolti. Due elementi potrebbero favorire un ritorno al tavolo negoziale: la sconfitta di Haftar in Tripolitania potrebbe costringere il generale e i suoi sponsor a rinunciare alle ambizioni di conquista militare; gli attori internazionali coinvolti nella crisi, alle prese con le conseguenze economiche e forse politiche della pandemia Covid19, potrebbero essere meno desiderosi di un coinvolgimento diretto (e costoso) sul teatro libico.

Dato l’allargamento della crisi al Mediterraneo dell’Est a seguito degli accordi di sfruttamento delle acque tra il presidente del GNA Fayez Serraj e il premier turco Erdogan, servirebbe una visione più “regionalizzata” della crisi e soluzioni che permettano di congelare sul campo le posizioni delle varie parti ma al contempo di riattivare almeno parzialmente l’economia della Libia. In questo obiettivo il primo tramite di un’Italia troppo debole in questo momento storico per affrontare da sola la complessità della crisi e la forza degli altri attori internazionali coinvolti, dovrebbe essere un’azione più risoluta dell’Unione europea. Il responsabile della politica estera europea Borrell ha dichiarato in più occasioni di voler dare effettiva prova di una politica estera più assertiva. La presidenza tedesca della Ue e il desiderio di non veder vanificati gli sforzi della conferenza di Berlino del gennaio scorso, potrebbero spingere l’Europa a una rinnovata iniziativa. Da parte italiana si tratta di dare un supporto prezioso a un maggior coinvolgimento europeo, tanto più che gli interessi dei tre paesi europei di maggior peso, Germania, Francia e Italia sembrano avere più che nel recente passato possibili punti di convergenza: contenere la presenza turca in Libia e l’aggressività dimostrata nel Mediterraneo orientale, indebolire il supporto militare a Haftar poiché le componenti della Cirenaica intraprendano realmente la strada del negoziato, contenere i flussi migratori e puntare alla riapertura dei pozzi petroliferi con la riattivazione dell’industria energetica libica.

Nella attuale situazione è chiaro che più il conflitto durerà, più è probabile che si scatenino nuove crisi tangenziali. L’Italia dovrebbe mirare quindi alla costruzione di una vera coalizione europea a supporto dell’azione della Ue. Le recenti esperienze di Francia, Italia e Germania dovrebbero dimostrare che, singolarmente, è improbabile che un solo paese possa contribuire in modo determinante a far progredire qualsiasi strategia. Un simile passo ha ulteriori vantaggi, quello di creare una chiara posizione europea che possa essere utilizzata per ottenere il supporto ufficiale degli Stati Uniti, soprattutto dopo le elezioni statunitensi, quando gli USA potrebbero tornare a guardare con maggior continuità – finita anche l’emergenza Covid19 – i problemi fuori dai confini di casa.

È chiaro che un rinnovato impegno europeo dovrebbe dimostrarsi nel reale rafforzamento della missione Irini. Al momento questa appare assolutamente incapace di realizzare gli obiettivi previsti a Berlino. I tracciati aerei dimostrano l’inutilità della missione europea nell’impedire gli arrivi di materiale bellico nel teatro di crisi. Se non vi sarà da parte europea un richiamo più fermo delle costanti violazioni, Irini finirà per essere una mera operazione di facciata e indebolirà il ruolo della Ue e dei rispettivi membri. La chiara responsabilizzazione di attori come la Russia e gli Emirati Arabi Uniti dovrebbe essere il punto centrale di questa politica. È piuttosto paradossale come questi attori abbiano conservato una evidente impunità per il costante supporto militare a Haftar. D’altro canto, per gli interessi italiani e europei, è impensabile che la Tripolitania venga occupata a tempo indeterminato dalla Turchia. Attraverso l’UE, o in partenariato con altri Stati interessati come la Grecia, Roma potrebbe lanciare una iniziativa diplomatica più ampia che includa anche le esplorazioni nel Mediterraneo dell’est. Le due crisi sono state volontariamente legate dal governo turco. L’azione dell’Italia deve sostanzialmente ritrovare slancio e Roma deve agire in fretta, prima che le posizioni degli attori internazionali si polarizzino e cristallizzino. Non è troppo tardi.

Artuto Varvelli è Direttore di ECFR Roma


Nella foto immagine di gruppo dei partecipanti alla Conferenza di Berlino di Gennaio 2020

Fonte immagine sito Governo.it


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