La nuova centralità geopolitica del Sahel: una priorità per la comunità internazionale

Negli ultimi anni il Sahel ha assunto una nuova centralità geopolitica negli equilibri globali. La regione nord-occidentale dell’Africa rappresenta oggi una delle aree più fortemente instabili del continente, attraversata da molteplici linee di frattura: sociali, politiche ed economiche – dal consolidamento di reti di traffico illecito al radicamento di organizzazioni armate di matrice jihadista, fino alla moltiplicazione di conflitti per l’accesso alle risorse naturali – fratture che sono all’origine di ricorrenti crisi.

La conflittualità determinatasi storicamente nel Medio Orientale si sta infatti muovendo da est verso ovest – dall’Asia all’Africa – trasformando il Sahara ed il Sahel nel principale epicentro delle criticità del Continente africano con ricadute non circoscritte alle sole regioni interessate, ma di ben più ampia magnitudine, con ripercussioni fino al Golfo di Guinea e al Grande Corno d’Africa.

Si riscontra un incremento della minaccia terroristica su più livelli; la destrutturazione dell’autoproclamato stato islamico ed il riposizionamento dei reduci del conflitto siro-iracheno, hanno determinato la formazione e il rafforzamento di cellule organizzate ispirate all’ideologia del “Califfato.”

Ne è un esempio l’Islamic State in the Great Sahara che sempre più si sta contrapponendo a organizzazioni storiche operanti nell’area come Al-Qaeda nel Maghreb islamico: la novità risiede nel fatto che tale lotta non è riconducibile a una leadership ideologica, ma alla necessità d’imporsi sul territorio per dare seguito a una politica di controllo e gestione dei traffici illeciti che vi transitano, anche attraverso sinergie con il crimine organizzato.

Gli effetti della caduta del regime libico del colonnello Gheddafi, che aveva assicurato la tenuta degli equilibri regionali attraverso lo sviluppo di una capillare politica d’investimenti ed il conflitto esploso in Mali nel 2012, hanno prodotto gravi ripercussioni sulla stabilità dell’area, e posto le condizioni per un ampio coinvolgimento di attori esterni al continente.

Assistiamo così a un riassestamento dello scacchiere con vecchi e nuovi attori sia continentali sia extra-continentali, alcuni dei quali però intenderebbero approfittare del caos, per esercitare la propria egemonia sul Sahel e sul Sahara.

L’impegno dell’Italia per la stabilizzazione della regione si è sostanziato nella partecipazione italiana alle principali missioni dell’Unione europea e delle Nazioni Unite nell’area, nel deciso sostegno al G-5 Sahel, nonché nella promozione di diverse attività di formazione sia nel campo militare che in quello giudiziario.

Questi impegni, sia sul versante strategico-militare che su quello degli interventi civili di cooperazione allo sviluppo, sono stati riconfermati nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 28 novembre scorso sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali per l’ultimo trimestre dell’anno in corso.

Nell’ambito dell’azione per la stabilizzazione del Sahel, l’Italia ha scelto di rafforzare le relazioni bilaterali con il Niger, che sta avendo svolgendo un ruolo chiave per ridurre drasticamente i flussi di migranti irregolari verso la Libia e l’Unione europea.

A questo proposito vi è l’impegno da parte del Governo e del Parlamento italiani ad autorizzare a brevissimo termine la ratifica dell’importante accordo di cooperazione in materia di difesa che da avvio alla missione di assistenza e formazione alle forze del Niger (MISIN).

In questi anni, nel tentativo di contrastare l’instabilità maliana e di tutta la fascia saheliana, diversi attori nazionali e internazionali si sono impegnati in iniziative volte a migliorare il controllo del territorio, accrescere le capacità delle forze armate locali e neutralizzare i network terroristici e criminali.

La principale iniziativa internazionale continua a essere MINUSMA, creata nell’aprile 2013 dall’ONU e composta da 15.000 soldati, prevalentemente provenienti da Paesi dell’Africa occidentale. Purtroppo occorre ammettere che MINUSMA, che è una missione di pace e non è una missione specifica di contrasto al terrorismo, risulti ancora troppo poco reattiva rispetto alle minacce che affronta in Mali e scarsamente preparata nei confronti di unità estremamente mobili, esperte e padrone del territorio come quelle dei movimenti di insorgenza e delle organizzazioni terroristiche.

In effetti, i limiti della missione sono stati spesso evidenziati, come ad esempio la mancanza di veicoli corazzati (in particolare anti-mina) e l’assenza di adeguate risorse aeree. Inoltre, le condotte criminose contro la popolazione civile poste in essere da alcuni caschi blu delle Nazioni Unite hanno contribuito ad alienare il sostegno dell’opinione pubblica nei confronti della missione delle Nazioni Unite.

Al di là delle criticità sinora esposte, uno dei maggiori limiti delle strategie multilaterali finora poste in campo è il che tentativo di securitizzazione della regione del Sahel non pare sufficientemente coordinato con le iniziative diplomatiche in campo e soprattutto opera in assenza di un più ampio sforzo umanitario a favore delle popolazioni civili.

Sono convinto che occorra uno sforzo da parte sia degli Stati del G-Sahel che dei Paesi contributori affinché si affermi una maggiore sensibilità da parte delle forze di sicurezza e del personale giudiziario per il rispetto dei diritti umani fondamentali in tutte le fasi di svolgimento delle operazioni di contrasto al terrorismo .

La presenza delle missioni internazionali è infatti sicuramente fondamentale per incrementare il livello di sicurezza regionale e neutralizzare i network criminali e terroristici, ma deve costituire solo un primo passaggio per un approccio maggiormente omnicomprensivo ai problemi del Sahel.

Sul piano dell’azione dell’Unione europea, le missioni appaiono un po’ troppo incentrate sulla formazione delle forze dell’ordine e orientate poco ai rapporti con gli attori locali.

A livello strategico, sebbene esista un coordinamento fra le missioni UE Sahel e Libya, questo è troppo limitato e manca di forza sostanziale: si evidenzia una sovrapposizione operativa che vede una preminenza dell’interesse economico sull’approccio culturale ed ideale, attraverso il quale si potrebbe acquisire il necessario consenso popolare.

Ritengo che in questa direzione i Parlamenti possano offrire un contributo originale e innovativo: proprio come rappresentanti del popolo, infatti, siamo gli attori istituzionali più sensibili tra i decisori istituzionali, ad un approccio ai problemi economici e sociali del Sahel che non sia basato soltanto sull’efficacia della risposta strategico-militare ai fenomeni del terrorismo e dei traffici illeciti, ma sia omnicomprensivo, ispirandosi ad un concetto più ampio di sicurezza, come quello della “Human Security”.

Il Vertice interparlamentare di Niamey, nel luglio scorso, ha delineato efficacemente gli spazi d’intervento di una specifica dimensione parlamentare del G-5 Sahel, che riunisca rappresentanti degli Stati beneficiari e degli Stati finanziatori, istituendo un forum comune di dibattito e di condivisione delle informazioni e delle buone pratiche nei settore dello sviluppo e della cooperazione in materia di sicurezza.

Mi preme sottolineare che le prospettive e le attese dei parlamentari dei Paesi contributori sono le stesse dei rappresentanti dei Parlamenti della regione saheliana, ben evidenziate nella risoluzione approvata al termine dei lavori di Niamey.

Le priorità da perseguire attraverso una cooperazione interparlamentare strutturata nell’ambito del G-5 Sahel sono: 1) dotarsi di migliori strumenti informativi sull’azione e sull’impatto dei grandi programmi di sviluppo, 2) promuovere un migliore controllo parlamentare sugli interventi svolti dalle forze multilaterali di sicurezza operanti nella regione, 3) diffondere nelle istituzioni politiche e amministrative  e nell’opinione pubblica dei nostri Paesi una cultura dei diritti umani, ispirata ai valori della democrazia e della legalità.

Il G-5 Sahel si sta qualificando sempre più come interlocutore privilegiato della regione saheliana per l’Unione europea: lo ha confermato la partecipazione del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, al vertice interparlamentare nel luglio scorso che proprio in quella sede ha inteso rilanciare la proposta di un “Piano Marshall per l’Africa”.

Unione europea e Africa hanno bisogno di un’alleanza globale e di un autentico partenariato strategico. La prossimità geografica, la storia, le interdipendenze economiche, sociali e umane, gli intensi legami culturali devono spingere i due continenti verso un futuro ed un destino comuni, basati sull’impegno condiviso di una rinnovata cooperazione multilaterale, che a sua volta deve fondarsi su un’analoga volontà di cooperazione a carattere regionale anche mediante una maggiore cooperazione interafricana in materia di sicurezza.

La determinazione di lottare contro una minaccia comune deve essere colta come un’opportunità per spingere i Paesi della regione a superare le impasse determinate da annosi contenziosi o contrasti politici, trovando su questo specifico argomento un punto di partenza per un nuovo equilibrio regionale, come ad esempio reso evidente dalla volontà di Burkina Faso, Ciad, Mali, e Mauritania.

La progressiva stabilizzazione dell’area saheliana non può che passare per un serio piano d’investimenti nell’area, che avrebbe la funzione principale di dare alternative reali ed opportunità rilevanti; la progressiva sostituzione dell’economia illegale con quella legale è aspetto irrinunciabile. L’incremento del benessere porrebbe infatti ulteriori basi sulle quali agire in modo interdisciplinare per garantire progettualità, sicurezza e speranza sociale.

Alla crisi nel Sahel e nel Sahara, che è al tempo stesso nazionale, regionale, continentale, internazionale e transnazionale, potrà essere fornita una risposta adeguata solo a condizione che le due parti, UE e G5-Sahel, sappiano tenere conto in maniera integrata di tutti questi livelli.

Alberto Pagani, deputato, è membro della Commissione Difesa della Camera.

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