Quanto sono importanti le prossime elezioni politiche in Israele. Il punto di vista di Fabio Nicolucci

Conversazione con Fabio Nicolucci, editorialista de “Il Mattino” e autore del libro “Sinistra e Israele. La frontiera morale dell’Occidente ”, sulle imminenti elezioni politiche in Israele, sui loro possibili risvolti non solo interni, ma anche internazionali

Le vicende politiche israeliane hanno da sempre un impatto e un’influenza molto rilevanti, non solo in Medio Oriente, ma anche in Occidente. Da quando nel 1948 è stata proclamata l’indipendenza, si sono alternati alla sua guida dello Stato di Israele partiti e coalizioni politiche di centro-sinistra e di centro-destra, di cui Likud e Partito Laburista erano stati i protagonisti principali. Da alcuni anni, soprattutto dopo la scomparsa della generazione di politici come Rabin, Peres, Sharon, la scena politica nazionale è stata indubbiamente dominata da Benjamin Netanyahu, leader indiscusso del principale partito di centro-destra, il Likud, e per molti anni premier del paese.

Il prossimo 9 aprile si terranno le elezioni politiche nazionali, ma questa volta gli scenari elettorali potrebbero mutare e la vittoria di Netanyahu potrebbe essere insidiata soprattutto dall’ ascesa di nuovi protagonisti politici, tra cui il generale Benjamin Gantz e il neonato partito da lui guidato.

Al netto di quelli che possono essere gli esiti delle elezioni sul piano politico interno, è indubbio che i risultati potranno avere un riflesso sia sul piano geopolitico, nella regione, che a livello internazionale, rispetto anche agli scenari e agli assetti futuri delle forze politiche occidentali.

Ne abbiamo parlato con Fabio Nicolucci, attento conoscitore della realtà politica e della storia israeliana.

Dott. Nicolucci, tra pochi giorni si terranno le elezioni parlamentari anticipate in Israele. Per quali motivi si torna a votare?

Le elezioni anticipate sono state chieste dalla coalizione di Governo, capeggiata dal Likud e guidata da Benjamin Netanyahu, in virtù del fatto che nel sistema politico istituzionale israeliano il governo ha la facoltà di chiedere il voto anticipato. La realtà è che oggi la coalizione che ha guidato negli ultimi anni il paese appare più debole che in passato ed è attraversata da alcune divisioni che si sono già palesate negli scorsi mesi in diverse occasioni.

Netanyahu governa Israele da molti anni. Quale è la forza e il suo peso politico in questo momento?

Nel corso degli ultimi anni Netanyahu ha rappresentato sempre il centro politico della coalizione di centro-destra, permettendogli in numerose occasioni di godere della maggioranza dei consensi e di governare a lungo. Ma, progressivamente, in virtù delle alleanze necessarie a costruire una maggioranza di governo, come alle ultime elezioni dove ottenne comunque una maggioranza molto risicata nella Knesset, la coalizione si è spostata progressivamente verso destra, con alleanze con partiti tradizionalisti, tanto da rendere il governo più debole, maggiormente esposto alle fratture interne tra i diversi partiti, fino a mutare gli equilibri interni alla coalizione stessa. Una serie di episodi e di eventi politici non irrilevanti, accaduti in questi mesi, non da ultima la discussione che si è aperta nel paese intorno alla legge fondamentale voluta di Netanyahu sulla cittadinanza, ma anche, per esempio, le dimissioni del ministro della Difesa, hanno indebolito la compagine di governo, e spinto verso il ritorno alle urne. Quello che spicca, però, è che oggi, dopo molti anni, probabilmente potremmo essere di fronte alla fine di un lungo ciclo politico, dominato da Netanyahu, in cui il centro-destra ha avuto una sostanziale egemonia sulla società israeliana.

Da alcune settimane molti analisti stanno seguendo con interesse l’ascesa del nuovo partito guidato dal Generale Benjamin Gantz. Ma quali sono i principali schieramenti che stanno tentando di mettere in discussione la maggioranza di centro-destra del Likud?

In Israele stiamo assistendo ad una sostanziale riconfigurazione dello scenario politico tradizionale. Già era accaduto in parte alle scorse elezioni, con l’operazione messa in campo allora con la costituzione del “Campo Sionista”, che aveva unito al Partito Laburista anche altre formazioni centriste. Del resto i laburisti in Israele stanno vivendo da anni ormai la stessa crisi che attraversano i partiti socialisti e socialdemocratici europei, una crisi di leadership e programmi. Oggi però stiamo assistendo ad un’operazione diversa, per certi versi, che vede un protagonismo diretto da parte di esponenti del mondo della sicurezza israeliano diretto a contendere a Netanyahu la guida del paese, con uno schema che mira a conquistare soprattutto il consenso moderato. L’operazione capeggiata dal Generale Gantz, che è un ex Capo di Stato Maggiore della Difesa e guida un partito di recente fondazione, rappresenta indubbiamente un fatto che potrebbe avere effetti molto rilevanti. Gantz ha dato vita ad un partito centrista, che aspira ad incarnare i valori più tradizionali del sionismo israeliano, e che critica aspramente il governo e la guida di Netanyahu su molti versanti. Del resto negli ultimi anni il Campo Sionista si è spaccato, dopo non essere riuscito a strutturare una vera opposizione politica e un’alternativa nel paese, i laburisti sono oggi molto deboli, Gantz ne può approfittare conquistando sia il consenso in uscita dai partiti tradizionali che mirando ad indebolire Netanyahu e il Likud conquistando il “centro” politico del paese. La sua può rappresentare un’opzione che cerca di dare una lettura diversa della realtà del paese. Non è un caso se come primo atto il generale Gantz ha dichiarato di voler abolire la legge sulla cittadinanza voluta da Netanyahu, molto discussa e criticata in questi mesi, che ha dato all’essenza stessa dello Stato di Israele una connotazione più religiosa.

Nella storia di Israele non è la prima volta che uomini provenienti dal mondo militare o dal mondo della sicurezza si candidano alla guida del paese. Del resto, alcune figure storiche che hanno guidato Israele o avuto ruoli politici di rilievo sono stati anche dei comandanti militari o degli eroi di guerra. Basta pensare a Yitzhac Rabin, ma anche a figure come Ariel Sharon o Moshe Dayan, ma anche Ehud Barak, che in gioventù aveva comandato unità delle forze speiali isrealiani ed è stato uno dei militari più decorati della storia. Quindi cosa ha di particolare l’operazione guidata dal Generale Benny Gantz?

Vero, nella soria di Israele non è la prima volta, e non solo perchè vi è un legame storicamente molto forte tra la politica e la forze di sicurezza. Anche Tzipi Livni, che guidava alle scorse elezioni la coalizione di centro sinistra del “Campo Sionista” prima di avviare la sua carriera politica aveva avuto dei trascorsi nel Mossad. Una operazione simile a quella attuale si era già vista anche nel 1999, nelle elezioni che Netanyahu al tempo perse a vantaggio di Ehud Barak e dei Laburisti. Ma questa volta c’è un protagonismo diverso, a mio avviso, del mondo della sicurezza e delle forze armate, perchè Benjamin Gantz non è un politico che ha avuto banalmente un passato da militare, ma è un ex Capo di Stato Maggiore e con lui sono scesi in campo altri importanti comandanti militari.

Nel suo libro, “Sinistra e Israele”, ha dedicato a questo particolare legame, tra mondo della sicurezza e politica nella storia di Israele, un capitolo intero, perchè il tema ha una sua complessità particolare e forse merita di essere approfondito.

Esatto, infatti è necessario fare una premessa, per far comprendere meglio questo tema, perché se leggiamo la politica israeliana con le categorie occidentali, anche in questo particolare aspetto, si rischia di non capire bene di cosa stiamo parlando. In Europa, soprattutto tra i partiti di centro-sinistra e di sinistra, si è abituati a pensare, sbagliando, che chi proviene dal mondo della sicurezza, o dal mondo militare, sia politicamente più vicino alla destra. È un errore, ma è un luogo comune molto diffuso. In Israele però è il contrario e, storicamente, chi appartiene al mondo della sicurezza e alle forze armate è stato da sempre più vicino alla sinistra tradizionale israeliana e alle forze moderate, e viene considerato tale. Per molti motivi, anche di origine storica, se non altro perché sono state quelle forze politiche che hanno fondato e guidato il paese a lungo, da prima dell’Indipendenza e, anche negli anni difficili delle guerre del Novecento. Ma anche per altri motivi, sia di ordine culturale, perché si riconosce una maggiore aderenza ai partiti moderati di centro sinistra ai valori fondanti del sionismo laico e alla tradizione dei fondatori dello Stato e anche perché si ritiene che sia fondamentale, per la sicurezza stessa del paese, chiudere il processo di pace e risolvere il tema della “questione palestinese”, anche arrivando alla soluzione dei due stati. Molti tra coloro che operano nel mondo della sicurezza ritengono che per salvare le basi sioniste dello Stato e garantire la sicurezza del popolo israeliano, è necessario risolvere queste questioni rimaste in sospeso. Inoltre non va sottovalutato, il tema esplosivo del rapporto demografico tra israeliani e palestinesi che spinge molti a sostenere la necessità della creazione di due stati, per mantenere il controllo dello Stato di Israele con le sue basi democratiche e sioniste, temendo il rischio, nel lungo periodo, che in mancanza di un accordo simile il contesto sociale e demografico emergente potrebbe creare molti problemi alla sicurezza dello Stato stesso. Sono stati probabilmente anche questi motivi, oltre a una diversa visione del sionismo, a spingere alcuni professionisti della sicurezza a scendere in campo direttamente in politica, come avvenuto di recente con il Generale Gantz, che guida infatti un partito dove non è l’unico militare presente, ma dove sono anche presenti esponenti provenienti dagli altri partiti, dai laburisti a Kadima, o anche dal Likud stesso. Si tratta di un’operazione che cerca di interrompere il lungo ciclo politico di Netanyahu, anche perché alcuni ritengono che lo spostamento a destra della sua coalizione di governo possa rappresentare un rischio per le basi tradizionalmente sioniste dello Stato.

Ma oltre al confronto tra Gantz e Netanyahu, che sta catalizzando le attenzioni anche sui media, quale è il panorama della politica israeliana al momento? Storicamente gli schieramenti politici sembrano ricalcare la complessità e le differenze interne alla società israeliana. Sono sempre attuali queste categorie?

Molte cose sono anche cambiate nel corso degli ultimi anni. Il quadro politico israliano è un mosaico molto complesso, come del resto lo è l’ebraismo stesso. La società israeliana è molto articolata, vi sono numerosi gruppi diversi, è vero, più antichi, come gli Ashkenaziti, storicamente più vicini ai partiti sionisti e di sinistra e con una visione più laica della società e dello Stato, che nel tempo, anche per ragioni demografiche, hanno perso la loro centralità e la loro forza nella società. Oltre a loro, che sono gli eredi di molti uomini e donne giunti con le grandi ondate a cavallo delle due guerre mondiali dall’Europa centrale, l’altro gruppo tradizionalmente più noto è quello dei sefarditi, in genere più religiosi e tradizionalisti, e solitamente orientati più verso i partiti conservatori in politica. Ma oggi nella politica israeliana pesano anche i cambiamenti recenti della società. Infatti vanno presi in considerazione i cittadini isrealiani di origine russa, perchè hanno un grande peso demografico, sono circa un milione di persone, giunti dagli anni novanta in poi, che hanno magari una cultura più laica in campo religioso e sociale, ma spesso si riconoscono di più in una idea della politica diversa da quella tradizionale. Infine vanno anche ricordati i numerosi partiti espressione dei gruppi più religiosi, ortodossi o ultraortodossi, ma anche il partito degli Arabi israeliani, che alle ultime elezioni fu la terza forza più votata. Dei partiti storici il più forte rimane al momento il Likud, mentre i partiti che avevano costituito il Campo Sionista alle scorse elezioni, attorno a cui si erano raccolte le forze della sinistra riformista e socialista, come i laburisti, ma anche un partito di centro come Kadima, e anche ceti intellettuali ed elites culturali, oggi sono molto indeboliti e divisi. Molti di coloro che avevano votato quei partiti oggi guardano a Gantz e alla nuova formazione che si sta raccogliendo intorno a lui.

Israele comunque è un paese molto giovane e moderno, attraversato da un profondo dibattito politico e culturale, segno anche di una grande vitalità e democrazia. Quale è il contesto socio-culturale in cui si tengono queste elezioni?

Israele, essendo in tutto e per tutto un paese occidentale, riflette e risente molto delle dinamiche politiche e culturali dell’Occidente. Questo non va mai dimenticato. Chi ritiene che Israele non sia un paese pienamente occidentale sbaglia. Israele è un paese dell’Occidente e una grande democrazia, attraversata da una discussione molto accesa e molto aperta, con punti di vista diversi tra loro. Del resto nell’ebraismo e nella tradizione giudaica possiamo riscontrare molti elementi fondanti, sia della cultura occidentale ed europea, ma anche delle basi della cultura democratica e del repubblicanesimo. Il sionismo politico nato nell’Ottocento, che fu la base teorica per la costruzione dello Stato di Israele e per i suoi fondatori, come Ben Gurion, si ispirò moltissimo, viceversa, alle culture politiche europee, dal nazionalismo romantico, all’umanesimo, al socialismo, allo stesso movimento risorgimentale italiano. Anche in Occidente, oggi, dopo la storia dell’Ottocento e del Novecento, le persecuzioni, le violenze, e soprattutto dopo la Shoah, non è possibile fare i conti con la democrazia e i suoi principi, senza rifiutare completamente l’antisemitismo e la propaganda antisemita, ancora oggi, purtroppo, presente. Certamente Israele, oggi è molto cambiato, soprattutto nel corso degli ultimi decenni. Dalla sua fondazione fino agli anni ottanta era stato un paese molto egualitario, plasmato intorno alle idee dei fondatori, che avevano spesso una cultura di stampo laburista ed egualitaria. Poi quel modello sociale ed economico, molto dirigista e assistenzialista, di cui vi erano espressioni tipiche come il Kibbuz, è entrato in crisi e nel tempo è stato sostituto da un modello economico – sociale più liberista e individualista. Questo è avvenuto soprattutto a partire dagli anni ottanta, e poi, negli anni del governo del Likud si è molto accentuato, come del resto è avvenuto in tutto il mondo occidentale in corrispondenza dell’onda neoliberista di impronta reaganiana e thacheriana. Israele però è rimasto un paese con un fortissimo pluralismo, dove la diversità è una grande ricchezza, e ha favorito nel tempo anche un forte dinamismo sociale e culturale. Oggi è un paese avanzato tecnologicamente, che ha saputo sfruttare al meglio la rivoluzione tecnologica e digitale diventando una terra di Start-Up, investendo moltissimo in ricerca, innovazione e formazione e diventando uno dei paesi più moderni al mondo. E poi è un paese con una grande tradizione letteraria e dove è presente un confronto culturale molto vivace, alimentato spesso a livello accademico e giornalistico, in cui questo confronto si riflette anche nel dibattito politico. In questo, la sua pluralità e il suo dinamismo culturale e sociale confermano anche quanto, al contrario, siano sbagliate le campagne di boicottaggio organizzate contro Israele in Occidente. Su questo è bene essere molto chiari: il boicottaggio non solo perché è sbagliato, perché per principio non si boicotta un paese democratico, come è Israele. Ma anche perché con il boicottaggio che colpisce per esempio il mondo accademico e il mondo della cultura israeliano, si indeboliscono alcuni dei luoghi più importanti per la diffusione dei valori democratici e per la promozione del dibatto pubblico del paese. Un doppio errore che conferma quanto siano sbagliate queste campagne.

Che rilfessi possono avere queste elezioni sul piano politico internazionale?

Sul piano internazionale sono molto importanti, a parer mio, sia per l’Occidente che sul piano regionale. Per l’Occidente e per la politica occidentale i risultati di queste elezioni possono avere effetti e conseguenze molto rilevanti. Se Netanyahu dovesse essere sconfitto e davvero il suo ciclo politico indirizzarsi verso la conclusione, vi potrebbero essere ricadute politiche importanti per la destra occidentale.

Nel suo libro, a proposito della storia e della carriera politica di Benyamin Netanyahu, descrive il suo ruolo all’interno della destra non solo israeliana. Ci può spiegare meglio perchè, secondo lei, è così rilevante la figura di Netanyahu?

Il ruolo di Netanyahu, nel corso degli utlimi decenni, è stato centrale in Israele, per affermare una sorta di nuova egemonia politica di destra che ha sostituito nel tempo quella laburista, ma anche per l’influenza che ha avuto in tutto l’Occidente, a partire dagli Stati Uniti. Per spiegarmi meglio devo descrivere brevemente la carriera politica e la storia personale di Netanyahu, perchè sono emblematiche. In lui l’impegno in politica ha assunto le forme di una autentica missione di vita, a cui si è dedicato, molti anni fa, per scelta personale, abbandonando una brillante carriera di uomo d’affari. Netanyahu infatti non nasce uomo politico, anzi, era impegnato nel mondo della finanza. Un giorno, però, dopo una telefonta improvvisa i suoi obiettivi cambiarono repentinamente, quando venne a sapere che suo fratello Jonathan, comandante militare delle forze d’elite israeliane, che per lui era una sorta di eroe e di simbolo, era morto durante un’operazione (la famosa operazione Entebbe) sotto i colpi dei terroristi. Quella notizia cambiò letteralemnte la sua vita. Da allora Benjamin si dedicò anima e corpo all’impegno politico, dando vita ad una fondazione culturale che negli anni ottanta fu attivissima nel promuovere una certa idea del mondo, della sicurezza e della lotta contro il terrorismo fondata su una visione moralista. Essendo un grande organizzatore riuscì con questo suo impegno, oltre a conquistarsi piano piano una posizione nel Likud, a costruire soprattutto relazioni e legami fuori da Israele, al tempo di Reagan, con alcuni think tank americani. La sua visione dell’antiterrorismo morale rimase molto circoscritta, oltre oceano, all’interno del gruppo dei pensatori neoconservatori americani, rimasti molto ai margini della destra americana fino al 2001. Dopo gli attentati del 2001 però furono loro a fornire a Bush una strategia con combattere il terrorismo globale, una strategia frutto di una visione delle relazioni internazionali che era stata influenzata anche dagli scritti e dal pensiero di Netanyahu. È stato così che le idee di Netanyahu si sono fatte largo, nel tempo, conquistando i circoli conservatori americani, attraverso i neocons, e da lì anche in tutto l’Occidente, sfruttando soprattutto il tema dello scontro di civiltà. È indubbio che l’influenza del pensiero e della figura di Netanyahu sia oggi molto rilevante per tutta la destra occidentale e, in qualche modo, egli stesso sia stato un nodo non secondario della rete di relazioni che ha favorito la formazione di una coalizione internazionale di destra che va dai neocons a elementi del Teaparty, a Bannon fino a elementi della destra europea. Si tratta di una coalizione il cui pensiero politico-ideologico, la sua visione del mondo, è al momento egemonico nel mondo occidentale. Se Netanyahu, che in qualche modo è stato uno dei principali promotori di questa visione politica e un riferimento capace di tessere legami con personaggi molto diversi all’interno del panorama dei partiti conservatori e di destra, dovesse uscire sconfitto dalle elezioni in Israele sarebbe una novità rilevante non solo per il Likud e la destra israeliana, ma anche per quella occidentale. Per questo motivo penso che queste elezioni in Israele siano molto importanti sul piano internazionale e soprattutto lo sono per i riflessi che possono avere sulla politica occidentale, in America e in Europa.

Un ultima domanda, di carattere più geopolitico. Negli ultimi anni, pur rivendicando una certa autonomia, Israele ha mantenuto un rapporto privilegiato con gli Usa, e rimane uno dei più importanti e forti partner occidentali in Medio Oriente. Che ruolo potrà giocare Israele, in futuro, sul piano regionale e internazionale?

Israele è da sempre un alleato strategico per l’Occidente, e continuerà ad avere un rapporto privilegiato con i paesi occidentali; ma per molti motivi, derivanti anche dalla sua posizone geografica e dalla sua storia, tiene aperti canali di dialogo e di collaborazione anche con molti altri paesi, non solo occidentali, di cui comunque può avere bisogno. Lo ha fatto in passato, e lo sta facendo tutt’ora. Potrà giocare a mio avviso un ruolo importante soprattutto nell’area del Medio Oriente, per questo però non è indifferente l’esito delle elezioni e che sviluppo avrà in futuro la sua politica estera. Dipenderà molto, nel tempo, se si affermerà un’idea di politica estera più aperta al negoziato, anche a livello locale e tesa a costruire ponti con gli altri, oppure se si affermerà una visione più chiusa e isolazionista. Su queste due diverse visioni il confronto attuale interno al paese può dare esiti diversi. Ma del resto si tratta di un bivio che non riguarda solo Israele, ma interessa anche tutto il resto dei paesi occidentali, Europa compresa, e conferma l’importanza di queste elezioni, anche per noi e per tutto l’Occidente.

Enrico Casini è Direttore di Europa Atlantica

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