Sahel e Maghreb. La situazione migratoria fra esternalizzazione delle frontiere, rispetto dei diritti umani e sicurezza

I processi migratori che interessano i paesi africani rappresentano un fenomeno complesso e dalle molteplici cause. Le politiche di esternalizzazione delle frontiere europee da un lato hanno contribuito a ridurre gli arrivi di migranti, dall’altro hanno prodotto effetti di varia natura nei paesi del Maghreb e Sahel. Il punto di vista di Davide Silvestri

Il Maghreb è da sempre stato caratterizzato da forme di mobilità. Da molto tempo considerata esportatrice di mano d’opera, questa regione è divenuta, nel corso degli anni, una zona di transito e accoglienza dei migranti. I movimenti migratori fra i paesi del Sahel e quelli del Maghreb (e viceversa, come vedremo in seguito) sono da sempre esistiti, in ragione di relazioni storiche e commerciali di grande rilievo fra le due regioni.

I migranti che raggiungono il Maghreb arrivano da tutte le parti dell’Africa. Fuggono i cambiamenti climatici, le guerre o l’insicurezza – anche dovuta alle minacce terroristiche – o sono semplicemente alla ricerca di lavoro. Migliaia, fra loro, utilizzano i paesi magrebini come tappa transitoria prima di poter passare dall’altra parte del Mediterraneo. Possono trovare l’opportunità di un lavoro, attendendo un segnale per prendere la via dell’Europa, o quella di restare, in caso di fallimento o d’abbandono del progetto migratorio. O più semplicemente – idea, questa si, che incontra difficoltà ad attraversare il Mediterraneo – consolidano la tradizione della migrazione interna, circolare e stagionale che rappresenta, a seconda dell’andamento alterno del fenomeno, dal 70 all’80 per cento del totale complessivo delle migrazioni all’interno del continente.

La città di Tamanrasset, nel sud dell’Algeria, ad esempio, è una destinazione privilegiata dei cittadini sub-sahariani, in maggioranza maliani o nigerini, che cercano lavoro in territorio algerino e non hanno alcuna intenzione di avventurarsi in traversate spericolate. Le Wilayas del Marocco e della Tunisia ospitano, ugualmente, migranti dell’Africa occidentale.

Il numero di abitanti sub-sahariani è ancora più elevato in Libia. Ritornando verso una prospettiva del tema migratorio maggiormente proiettato sulla dimensione europea, la Libia, paese situato sulla rotta del Mediterraneo centrale, è da tempo considerevole destinazione principe di migranti e lavoratori (o le due cose insieme) e ospita tuttora un numero imprecisato di essi. È, ad oggi, assai difficile stabilire l’esatto numero di lavoratori (e non) stranieri che vi abitano. Secondo le stime degli esperti, sarebbero fra 1,5 e 2,5 milioni. E anche in questo caso occorre sottolineare che non tutti hanno intenzione di dirigersi verso Lampedusa o le coste della Sicilia. Se il paese è stato, per una parte di queste persone, una porta d’ingresso dello spazio Schengen, questa porta si è praticamente richiusa sotto le azioni di contenimento dei flussi operate dalla guardia-costiera libica, dietro grande compensazione di fondi europei.

Da quando le frontiere europee sono state formalmente chiuse, il fenomeno della cosiddetta migrazione irregolare si è sempre più intensificato e questo ha portato progressivamente a far sì che i paesi del Maghreb si trasformassero in paesi di transito e destinazione. Movimenti migratori che hanno favorito anche gli altri traffici (droga e armi) e che tutti assieme hanno alimentato economicamente anche i vari gruppi terroristici e di potere. Ma questa è un’altra storia.

La grande pressione esercitata dall’UE sui paesi del Maghreb e del Sahel ha avuto come effetto principale quello di sfociare in azioni energiche di contenimento dei flussi migratori e di promozione della migrazione di ritorno. Il paese che forse più di tutti ha subito questa pressione è stato il Niger.

Principale paese di transito, e crocevia delle rotte migratorie verso la Libia e l’Algeria, nel 2019  ha raggiunto il primato quale paese con il più basso indice di sviluppo a livello mondiale. Qualche anno prima, nel 2015, l’emanazione della legge nr.36 ha dato inizio a una forte azione repressiva della migrazione irregolare. Nei successivi anni 2016 e 2017 le pene elevate, previste per i passeur, e la confisca dei veicoli da essi utilizzati per il trasporto inferiscono un duro colpo alla migrazione clandestina. Nel 2018, anche a causa della quasi totale interruzione della rotta libica per le intemperanze bellicose di Haftar, le statistiche rilevano una diminuzione dei flussi clandestini dell’80% rispetto al 2015 e nel 2019 si è registrato un ulteriore ribasso. Effetto collaterale: l’economia della città di Agadez, città simbolo quale centro delle rotte tradizionali e che viveva dell’indotto derivante dalla migrazione irregolare, subisce un vero e proprio tracollo. E, tuttavia, le misure di compensazione a questo danno in termini di politiche dello sviluppo previste per questa regione dalla UE sono state pressoché assenti o inefficaci.

Sempre ad Agadez le organizzazioni internazionali quali IOM e UNHCR (finanziate dalla UE o da singoli stati ad essa appartenenti, fra cui l’Italia) nel frattempo aprivano i loro centri umanitari. I primi accoglievano i migranti in fuga di ritorno dalla Libia e coloro che desistevano dal viaggio verso l’Europa, i secondi ricevevano soprattutto i richiedenti asilo del Sudan, in parte anch’essi in fuga dalla Libia. In media 2700 ospiti stranieri permanenti supplementari. Le difficoltà che IOM incontra per effettuare i rimpatri assistiti e i problemi e le lungaggini burocratico-amministrative che UNHCR trova per le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato da parte dello stato nigerino estende a tempo indefinito la permanenza dei rispettivi gruppi di migranti causando insofferenza e proteste da parte soprattutto della numerosa comunità sudanese che si ripercuotono, in termini di insicurezza percepita, sulla popolazione di Agadez. Il risultato è che quella che un tempo era una città accogliente e che si sosteneva con l’economia generata dalla migrazione ha cominciato recentemente a vedere i migranti come una sorta di pericolo.

L’esternalizzazione delle frontiere promossa dall’UE – scritte nero su bianco nell’Art. 4 del Regolamento EU 2016/1624 alla voce gestione integrata delle frontiere – ha trasformato i paesi del Maghreb e del Sahel nei “guardiani” dell’UE. Accordi fra gli Stati africani e l’UE hanno consentito l’apertura e insediamento di missioni europee di rafforzamento delle capacità delle forze di sicurezza nei due paesi del Sahel Niger e Mali (Missioni Eucap). Una parte importante, all’interno dei rispettivi mandati delle due missioni, è rappresentata dal sostegno al contrasto della migrazione illegale. Quando a livello europeo si è discusso di modificare il mandato delle due missioni, spostando il focus dal contrasto alla migrazione clandestina ad una gestione delle frontiere che rafforzasse il controllo dei due Stati sul proprio territorio, in modo da aumentare il contrasto a tutti i tipi di traffici e conferendo un senso strategico di maggiore appropriazione nazionale del settore della sicurezza, alcuni stati europei, hanno bocciato la bozza di revisione, rafforzando la percezione che ad essa interessi solamente combattere l’immigrazione illegale e non rafforzare i due stati saheliani e il loro sistema di sicurezza.

Bloccati, i migranti di diverse nazionalità sono spesso esposti a diversi tipi di abusi: espulsioni di massa, rapimenti, sequestri, estorsioni, torture, trattamenti inumani e degradanti, violenze sessuali, imprigionamenti nei centri di detenzione fra cui alcuni sono gestiti da gruppi e reti di criminali. Sono sotto gli occhi di tutti le immagini registrate dalla CNN nel 2017 nei centri libici. Ma non è che altrove la situazione sia migliore, forse solo meno pubblicizzata.

E allora capita che dalla parte del vicino algerino le espulsioni dei migranti africani, in particolare nigerini, hanno assunto una dimensione senza precedenti. A partire dal 2014, anno in cui è stato firmato un accordo fra Algeri e Niamey per il rimpatrio dei clandestini, circa 40.000 migranti nigerini, sono stati accompagnati alla frontiera attraverso convogli ufficiali e concordati. 

Non c’è giorno, o settimana, che non porti il suo carico di notizie tristi. Una delle ultime atrocità in termini di tempo è stato il bombardamento di un centro di detenzione per migranti alle porte di Tripoli dove hanno perso la vita 53 migranti e più di 130 sono stati feriti, fra cui donne e bambini. Profondamente scioccato, il Consiglio di pace e di sicurezza dell’Unione Africana ha richiesto che sia urgentemente avviata una inchiesta indipendente che veda la partecipazione della Commissione Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli.

Le misure intraprese dall’UE – o dai singoli stati membri – per ridurre i flussi migratori hanno prodotto risultati significativi in Europa. Un notevole contributo è giunto attraverso le azioni di esternalizzazione delle frontiere nelle regioni del Maghreb e del Sahel. Tuttavia questi provvedimenti non contenevano misure adeguate di compensazione poiché non si sono previsti tutti gli effetti collaterali provocati dalla loro messa in atto. L’esternalizzazione in cambio di aiuti nasconde diversi dettagli non immediatamente individuabili.

Prima considerazione: sono numerosi gli studi che dimostrano che gli aiuti allo sviluppo non diminuiscono affatto le partenze. Se si aumentano le capacità economiche, al di sotto di una certa soglia, queste favoriscono, anziché limitare, la migrazione.

Seconda considerazione: spesso negli aiuti allo sviluppo vengono compresi i rafforzamenti delle capacità delle forze di sicurezza di cui abbiamo parlato e i fondi restanti, se ci sono, sono insufficienti o inadeguati per compensare le limitazioni provocate dai provvedimenti restrittivi in materia.

Terza considerazione: la cosiddetta esternalizzazione sovente non tiene conto delle ripercussioni in termini di violazioni dei diritti umani. È proprio questa ultima valutazione che richiede imperativamente una riflessione che ci allontani dalla visione (limitata) sul brevissimo periodo che tende a nutrire e soddisfare la pancia e gli istinti più rozzi e impulsivi. Occorre necessariamente guardare nel medio e lungo periodo e prendere in considerazione che il perdurare di questa chiusura ermetica senza interventi strategici per lo sviluppo rischia di incrinare la relativa stabilità sia economica che politica degli Stati maghrebini e far fallire – con le relative conseguenze drammatiche di nuove popolazioni costrette a fuggire – i già fragili e poveri stati del Sahel.

Come ho cercato di sottolineare, è un falso mito quello che tutta l’Africa è pronta a riversarsi sull’Europa. In linea di massima – in circa l’80% dei casi – i migranti del continente africano preferiscono brevi spostamenti verso gli stati vicini; migrazioni interne e spesso stagionali. È per questo motivo che è essenziale investire in alcuni stati chiave africani che sono già pronti per fare il grande salto per entrare nella categoria di stati pienamente sviluppati e che possono attrarre migranti dai paesi vicini più poveri. Paesi come Marocco, Tunisia ed Algeria rientrano in questo novero. La vera sfida che la politica deve accettare è quella di proseguire con gli aiuti – mirati e strategici – e non tornare indietro.

La migrazione è una materia complessa. Spesso slogan semplicistici del tipo “aiutiamoli a casa loro” lasciano fuori dalla porta, anche consapevolmente, dettagli importantissimi.

Davide Silvestri, dottore di ricerca in Geopolitica e Geopolitica Economica, è funzionario UE in Border Management nelle missioni EEAS

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni di Europa Atlantica

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