Trasparenza e comunicazione sul Coronavirus. Il punto di vista del Prof. Mayer

Una breve analisi, pubblicata su Formiche.net, del Prof. Marco Mayer, sulla comunicazione istituzionale relativa al Coronavirus. Su gentile proposta dell’autore pubblichiamo di seguito anche una versione in lingua inglese del testo.

Stamani ho letto una inquietante ricostruzione sul coronavirus sulla rivista on line Il Sussidiario. All’insaputa del mondo la Cina ha (o avrebbe) “traccheggiato” circa due mesi (più o meno dal 20 novembre 2019 al 20 gennaio 2019) prima di adottare le drastiche misure di quarantena, blocco dei trasporti, chiusura delle scuole, divieto di accesso ai plessi residenziali adottate e rese pubbliche dal regime il 23 gennaio 2020.

Per la verità – ora lo sappiamo – l’epidemia era stata riservatamente comunicata all’Organizzazione Mondiale della Sanità già il 31 dicembre 2019. In una emergenza sanitaria da malattie infettive a rapido contagio, 60 giorni di inazione e silenzio sono inaccettabili, e il ritardo è particolarmente grave nelle società digitali in cui oggi stiamo vivendo.

La realtà contemporanea presenta almeno tre proprietà caratteristiche (ipervelocità, iperconnettività e ipermemoria) che avrebbero consentito di agire in modi più rapidi e trasparenti in un grande Paese che ha avuto straordinari successi economici dal 1979 ad oggi. La Cina ha per altro deciso di fondare la propria visione strategica di medio e lungo termine sulla sfida tecnologica con gli Stati Uniti e con altri Paesi (si pensi solo per fare un esempio alla comunicazione quantistica).

Come si spiega allora un ritardo di due mesi sopratutto dopo la brutta esperienza della SARS nel 2002/2003? In quel caso furono fornite cifre falsate sui contagiati e solo per la deontologia di alcuni medici civili e militari eticamente responsabili fu possibile far conoscere l’epidemia e la sua gravità. 17 anni fa il primo ritardo fu di quasi tre mesi (fine novembre 2002-febbraio 2003), ma solo agli inizi di aprile ci fu un’informazione completa. Nel frattempo il virus si era diffuso in 26 paesi del mondo.

Non è il momento di far polemiche, la solidarietà concreta alla Cina e al popolo cinese deve essere un must per l’Europa, così come devono proseguire il dialogo culturale e politico. Ma da qui a indicare la Cina come modello ottimale (rispetto a quanto si sta facendo in Italia) per far fronte al coronavirus ce ne corre.

Non è vero: più trasparenza e sopratutto più velocità di risposta avrebbero ridotto l’impatto mondiale del coronavirus. La verità è che la libertà di stampa, il pluralismo, le voci critiche e lo Stato di Diritto sono risorse preziose anche nelle emergenze più gravi. Ma il contagio della paura è il più difficile da mitigare ed è su questo piano (la Comunicazione Istituzionale) che l’Italia ha sbagliato.

In un momento di crisi che richiede nervi saldi, pazienza e coesione nazionale non sarebbe male se si tornasse alla normalità degli uffici stampa.

Marco Mayer

Articolo originale pubblicato su Formiche.net

English version

Transparency and communication on the coronavirus

This morning I read a disturbing reconstruction of the coronavirus in the online magazine Il Sussidiario. Unbeknownst to the world China has (or would have) “stumbled” for about two months (more or less from 20 November 2019 to 20 January 2020) before adopting drastic quarantine measures, blocking transport, closing schools, prohibiting access to residential complexes adopted and made public by the regime on 23 January 2020.

In truth – we now know – the epidemic had been communicated to the World Health Organization confidently as early as December 31, 2019. In a health emergency from infectious diseases with rapid infection, 60 days of inaction and silence are unacceptable, and the delay it is particularly serious in the digital societies in which we are living today.

Current reality has at least three characteristic properties (hyper-speed, hyper-connectivity and hyper-memory) that should have allowed us to act more quickly and transparently in a large country that has had extraordinary economic successes from 1979 to today. Moreover, China has decided to base its medium and long-term strategic vision on the technological challenge with the United States and other countries (just think of the example of quantum communication).

How do you explain a delay of two months especially after the bad experience of SARS in 2002/2003? In that case, false figures were provided on the infected and due only to the ethics of some ethically responsible civil and military doctors was it possible to make the epidemic and its seriousness known. 17 years ago the first delay was almost three months (late November 2002-February 2003), but only in early April was there complete information. In the meantime, the virus had spread to 26 countries around the world.

This is not the time for controversy, concrete solidarity with China and the Chinese people has to be a must for Europe, just as cultural and political dialogue must continue. But from here to consider China as an optimal model (compared to what is being done in Italy) to cope with coronavirus simply does not wash.

It’s not true: more transparency and above all more speed of response would have reduced the worldwide impact of the coronavirus. The truth is that press freedom, pluralism, critical voices and the rule of law are valuable resources even in the most serious emergencies. But the contagion of fear is the most difficult to mitigate and it is on this level (Institutional Communication) that Italy has made a mistake.

In a moment of crisis that requires firm nerves, patience and national cohesion it would not be bad if we returne to the normalcy of the press offices.

Marco Mayer

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni di Europa Atlantica

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