Il diritto come arma tra Paesi. Il lawfare spiegato dal Prof. Alì

Conversazione con il Prof. Antonino Alì, docente di Diritto internazionale presso l’Università di Trento, pubblicata su Formiche.net e realizzata per la newsletter di Europa Atlantica e Formiche

Negli Stati Uniti, il “lawfare” è argomento di ampia discussione nel mondo accademico e tra gli esperti di politica internazionale e di sicurezza nazionale, tanto da essere diventato il nome di un noto blog. Ancora più interessante è il fatto che, a ben vedere, i temi siano quelli classicamente ricondotti alla sicurezza nazionale. D’altra parte, il terreno di scontro tra Paesi investe sempre di più il campo giuridico ed economico. In Italia, il lawfare non è ancora molto dibattuto, sebbene sia tema di grande rilievo e attualità, con un impatto sulla vita quotidiana e sull’economia di molti Paesi.Per capire meglio di cosa si tratti e come agisca a livello internazionale, ne abbiamo parlato con Antonino Alì, professore di Diritto internazionale all’Università di Trento, che si occupa in particolare di diritto della sicurezza nazionale e dell’Unione europea e che sul tema del lawfare tiene seminari presso il corso in Affari strategici della Luiss di Roma.

Professor Alì, da alcuni anni, soprattutto nel mondo anglosassone, si discute del lawfare inteso come l’utilizzo di strumenti di tipo giuridico nelle relazioni internazionali. Di cosa si tratta, ce lo può spiegare?

Il lawfare nacque inizialmente negli Usa con un’accezione negativa. Di fatto corrispondeva all’idea che alcuni Stati rivali nel panorama internazionale utilizzassero strumenti normativi per frenare e contrastare gli Stati Uniti nella loro crescita e nella loro influenza globale. Era inteso quindi in senso passivo, come una forma di minaccia e di azione compiuta da altri. Con il tempo ha assunto un significato diverso e molto più ampio, e soprattutto una connotazione attiva: l’utilizzo di strumenti di tipo giuridico per conseguire obiettivi strategici.

Perché avviene questo?

Tra i grandi Stati, non vi sono più conflitti attivi, combattuti per mezzo di armi convenzionali, ma ovviamente non mancano le competizioni e le rivalità, e quindi si sono sviluppati strumenti diversi dalle armi, come il lawfare. Oggi si usano strumenti eterogenei per aumentare il livello di pressione sugli avversari nel panorama internazionale. Alla fine si può pensare che il lawfare indichi una modalità delle relazioni tra Stati. La competizione e i conflitti internazionali si svolgono sempre di più attraverso strumenti di tipo economico regolamentati dal diritto. È dunque una questione rilevante per la tutela degli interessi e la sicurezza nazionale di uno stato.

E come si sviluppa oggi il lawfare nell’attuale competizione tra le potenze dei nostri giorni?

In genere si fa largo uso di apparati sanzionatori (e di strumenti di difesa commerciale) di vario genere. Per esempio, si possono colpire gli stati avversari con sanzioni di tipo economico, ma anche attraverso l’uso di dazi doganali e/o restrizioni al commercio. Questi sono indubbiamente gli strumenti più noti, ma non gli unici. La presidenza Trump, in questo senso, si è contraddistinta per l’utilizzo attivo e sistematico di atti  normativi, che consentono al presidente per ragioni di sicurezza nazionale di imporre dazi e sanzioni e incidere sulle relazioni commerciali con Stati bersaglio. Alcune di queste legislazioni erano piuttosto datate e sono rimaste inutilizzate per un lungo periodo. L’elemento che contraddistingue tutti questi sistemi normativi è la presenza di clausole di sicurezza nazionale.

Gli strumenti utilizzati nel lawfare possono essere considerati tra le opzioni possibili anche nel moderno hybrid warfare?

Alcune forme di lawfare possono rientrare tra le forme dell’hybrid warfare, senza dubbio. Non è un caso l’esempio che viene ricondotto all’azione cinese  sul piano internazionale, negli ultimi venti anni. Nella dottrina strategica cinese si parla infatti di lawfare, con il nome di “Falu Zhanzheng”. Nel 2003 il comitato centrale del Pcc e la Commissione militare centrale hanno adottato la dottrina delle “three warfares”. Partendo dal presupposto che le armi nucleari difficilmente possono essere utilizzate (a causa dei loro devastanti effetti), si parla di possibili strumenti utilizzabili a supporto di una guerra cinetica: propaganda, disinformazione, confusione (psycological warfare), la diffusione di informazioni per influenzare l’opinione pubblica (media warfare), e infine la legal warfare, ovvero l’uso del diritto internazionale e nazionale per ottenere supporto e gestire le conseguenze politiche di un’azione militare. Oggi la Cina sembra impiegare questa dottrina strategica anche in assenza di conflitto armato.

Cosa si cerca di ottenere con il lawfare?

Sostanzialmente si cerca di conseguire obiettivi strategici senza utilizzo di armi, quindi senza impiegare forze armate o partecipare a conflitti. In poche parole attraverso la coercizione giuridica ed economica.

Ma come si agisce, praticamente, sul piano del diritto a livello internazionale per impiegare strumenti, strategie tipiche del lawfare?

In alcuni casi si agisce anche in violazione del stesso diritto internazionale o utilizzando alcune clausole che consentono di derogare ad obblighi internazionali di natura pattizia quando è in gioco la protezione degli interessi essenziali alla sicurezza dello Stato. In genere ci si attiva in sede internazionale sollevando eccezioni alle regole internazionali basate su motivi di sicurezza nazionale, clausole di salvaguardia o clausole di deroga oppure attraverso strumenti sanzionatori internazionali. Questo può avvenire sia all’interno di consessi internazionali, di grandi organizzazioni internazionali o regionali, ma anche per via autonoma, per iniziativa dei singoli Stati contro altri, anche in coordinamento tra gruppi di Paesi, come nel caso delle sanzioni alla Russia.

La competizione commerciale tra Cina e Usa o le sanzioni all’Iran possono rientrare in questa classificazione?

Certamente, è così. Il confronto tra Cina e Usa è stato molto influenzato e condizionato dal tema del lawfare. Le segnalo un elemento che serve a capire il contesto e il livello di profondità di questa competizione: il capo della delegazione Usa nella negoziazione con i cinesi, è un certo Robert Lighthizer, noto avvocato, profondo conoscitore del diritto del commercio internazionale, uno dei massimi esperti americani in materia. Per quanto riguarda l’Iran, non solo ci sono le sanzioni classiche che conosciamo, individuali o economiche, rivolte sia contro i singoli individui che contro le istituzioni iraniane. Ma esiste anche tutta l’attività di azioni giudiziarie intraprese non soltanto dal settore pubblico ma anche da privati per colpire istituzioni e soggetti privati iraniani. Si tratta di azioni legali fatte anche da privati, oltre alle attività di tipo istituzionale, rivolte contro le attività, anche private, provenienti dal paese rivale.

Su questo versante, l’Unione europea potrebbe essere una protagonista a livello globale?  

Si, lo è già, ma in Europa vi è un problema non indifferente. La sicurezza nazionale è competenza esclusiva degli Stati; la sicurezza Ue entra molto spesso in frizione con quella degli Stati o con le stesse libertà previste dai trattati. Un chiaro esempio di questa difficoltà è l’adozione del recente regolamento sullo screening degli investimenti esteri diretti. Riuscire a giungere a una regolamentazione in quest’ambito è stato particolarmente difficile. L’Ue ha competenza esclusiva in materia di politica commerciale comune e gli Stati hanno competenza in materia di sicurezza nazionale. Tuttavia, è vero anche che quando le questioni di sicurezza dello Stato non rilevano, l’Ue combatte ad armi pari in contesti quali il Wto con gli altri blocchi economici. Non è un caso che il sistema Wto al momento sia bloccato per una serie di veti in relazione alla nomina dei giudici per l’organo di appello del sistema di risoluzione delle controversie.

E per quanto riguarda l’Italia?

L’Italia è inserita nel contesto dell’Unione europea che, visto lo scenario e gli attori globali, è in grado di proteggere l’interessi degli Stati membri. Però è indubbio che a livello europeo viviamo nella difficile mediazione tra l’interesse nazionale e la tutela della sicurezza nazionale e possono sorgere frizioni fra i singoli Stati dell’Unione. Si tratta di una contraddizione che va risolta, anche per il bene dell’Unione stessa.

Ritiene che il quadro che ci ha descritto possa venire compromesso dalla recente crisi generata dal coronavirus?

Solo in minima parte. Gli strumenti di lawfare continueranno ad essere oggetto di ampio uso e resisteranno alla crisi generata dal coronavirus. Non è un caso che si parli recentemente di alleggerimento delle sanzioni nei confronti dell’Iran o delle misure protezionistiche nei confronti della Cina, ma per ragioni esclusivamente umanitarie. L’apparato sanzionatorio e le misure di difesa commerciale per il momento sono ancora a pieno regime.

Articolo originale pubblicato su Formiche.net

Immagine tratta dal sito Difesa.it


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