Un quadro sintetico della diffusione del Jihadismo in Asia

Il Quadrante asiatico è senza dubbio una delle realtà in cui osservare la capacità della retorica jihadista di adattarsi ai differenti contesti sociali e istituzionali, e vedere come nella concorrenza tra Daesh e al-Qaeda si sia accresciuta l’importanza di ogni paese islamico , anche lontano  dalle aree mediorientali.  Recentemente, era originario del Bangadlesh il 27enne dell’attentato alla stazione bus di Manhattan di dicembre 2017, mentre era uzbeko il 29enne che ha condotto l’attentato del 31 ottobre 2017 a New York. Ancora, sempre nella Grande Mela, negli ultimi 7 attentati che hanno seguito quello dell’11 Settembre, 4 (2010, 2016, e 2 nel 2017) sono stati condotti da persone provenienti da paesi dell’Asia Centrale. Il dato che diversi attentati siano stati condotti nella stessa città occidentale da attentatori di origini centro-asiatiche evidenzia che il fenomeno del radicalismo islamico trova manifestazioni anche in paesi non tradizionalmente ritenuti problematici, oltre che spesso secolari. Il dato trova, poi, altre conferme in attentati perpetrati in altre città, come San Pietroburgo e Stoccolma (aprile 2017), da cittadini di etnia uzbeka facenti capo a Daesh.

Vediamo insieme come si evolve la penetrazione jihadista nel quadrante asiatico, ricordando che dagli anni ’90, al-Qaeda ha tessuto una serie di collaborazioni quasi osmotiche con i gruppi di insurrezione o con i movimenti indipendentisti locali di vari stati del Sud-est Asia, in termini soprattutto di armi, sostegno militare e denaro.

Partecipazione di combattenti stranieri alle guerre civili. Un altro dato da considerare è quello dei disordini interni ad uno stato e la non rara la partecipazione di combattenti stranieri alle guerre civili. Tra gli esempi, quello dei Talebani nella guerra civile tagika e la connessione tra i primi e i gruppi radicali del Tagikistan, ma anche il coinvolgimento di centro-asiatici a sostegno della causa talebana nella guerra in Afghanistan del 2001, ed ancora il trasferimento in Pakistan dell’IMU, Movimento Islamico dell’Uzbekistan, fondato a cavallo tra la guerra tagika e la guerra afghana ed inizialmente costituito da esuli uzbeki che avevano combattuto al fianco degli insorti tagiki durante la guerra civile, e che avevano poi rinsaldato le loro connessioni con i Talebani. Si ricorda che nel 2014 l’IMU si è affiliato a Daesh e dal novembre 2014 molti dei suoi membri combattono al fianco anche dei Taliban in Siria.

Islam nel Sud-Est asiatico. È utile, inoltre, ricordare che nel sud-est asiatico la presenza dell’Islam è nota dal XIII secolo, costituisce un elemento identitario importante, con una concentrazione maggiore in Malesia e Indonesia, e minoranze in Tailandia e Filippine. Tradizionalmente i conflitti indipendentisti hanno avuto una matrice nazionalista, tuttavia non è mancato l’attivismo di formazioni terroristiche autoctone di matrice islamista che hanno giustificato la lotta armata e che dagli anni ’90 in Indonesia, Filippine e Tailandia hanno stretto legami col jihadismo internazionale.

Il progetto Turkestan. Un grande califfato transnazionale che si espandesse dalla regione del Mar Caspio alla provincia occidentale cinese dello Xinjiang e che partisse dall’Uzbekistan e dal Tajikistan: questo il progetto dell’IMU, la più grande organizzazione terroristica dell’Asia Centrale collegata molto pragmaticamente dal 1996 ad al-Qaeda e che, raccogliendo i gruppi jihadisti della regione, già negli anni ’90 garantì ai Talebani un safe network attraverso cui praticare i traffici illeciti di droga dall’Afghanistan al resto dell’Asia. L’Uzbeghistan, il Kirghizistan, il Tagikistan, così come i più noti casi dell’Afghanistan e del Pakistan e del Sud-Est Asia, registrano dati analoghi: corruzione dilagante a vari livelli, criminalità organizzata, movimenti indipendentisti, legami con economia illecita, a cui si associa l’incapacità dei governi di portare avanti politiche sociali e non settarie, nonché risolvere problemi socio-economici (povertà, disoccupazione, sottosviluppo, discriminazione etnica). A ciò va aggiunto il fattore migratorio, in quanto le problematiche appena elencate spingono gli abitanti di questi paesi a migrare verso aree più fortunate, come Kazakhstan e Russia nel caso dei paesi dell’Asia centrale), divenendo bersaglio della propaganda islamista e finendo per accrescere i battaglioni di foreign fighters. È il caso, ad esempio, del Kazakhstan che conta circa 300 combattenti con Daesh in Medio Oriente e questo dato sembra giustificare il divieto nel Paese, dove è predominante la scuola hanafita dell’Islam sunnita, di indossare abiti vicini alle usanze salafite.

India. La presenza jihadista nel Paese si attesta dagli anni ’70 attraverso la messa al bando del SIMI, Movimento Islamico Indiano degli Studenti, che si opponeva alla secolarizzazione della società indiana, e da cui è derivato, probabilmente, l’IM, il Gruppo di Mujaheddin indiano, responsabile degli attentati nel Rajasthan e nel Gujurat nel 2008.

L’arrivo di Daesh in India. Nel 2012 IM ha subito un distaccamento dell’AuT, ansar-ul-Tawhid che nel 2014 ha giurato fedeltà a Daesh e ha iniziato a reclutare militanti per combattere sia in Siria, sia contro le autorità di Nuova Delhi. Si è unita a Daesh anche un’altra realtà, quella del Junood-ul-Khilafa-Fil Hind, che è divenuto il referente di Daesh in Siria per l’India. È da notare che la maggior parte dei simpatizzanti indiani di Daesh proviene dalle prime 10 province indiane col maggior PIL nominale, appartiene a fasce di età molto giovane che non avevano mai avuto diretti contatti con al-Qaeda.

La risposta di al-Qaeda: AQIS. La manifestazione più eloquente della competizione tra al-Qaeda e Daesh trova nella fondazione  di Al-Qaeda nel Subcontinente indiano (AQIS)  la risposta qaedista alla progressiva infiltrazione e attestazione di Daesh dal quadrante Af-Pak a quello sudest-asiatico. AQIS viene fondato nel settembre 2014, 4 mesi dopo la proclamazione dello Stato Islamico in Iraq, con un’agenda basata sull’imposizione della sharia nel sub-continente indiano, e sull’istituzione di un governo islamista ispirato dall’Emirato islamico dei Talebani (RILEGGI NEWSLETTER) che raccogliesse i combattenti jihadisti di India, Myanmar e Bangladesh. L’emiro designato è, infatti, Asim Umar, un pensatore jihadista indiano membro del Pakistani Taliban Movement, capo delle attività di propaganda del TTP e incaricato ufficiale della Sharia in Pakistan di al-Qaeda. La nomina di un intellettuale, invece che di un militante “operativo”, riflette la necessità di al-Qaeda di reagire alle innovazioni anche mediatiche che Daesh stava introducendo. Proprio nella fase immediatamente precedente alla caduta di Mosul, a Giugno 2017, AQIS ha pubblicato un “Codice di condotta” che i jihadisti devono seguire nei rispettivi teatri della jihad, dall’India al Pakistan, al Myanmar. AQIS ha proposto uno spazio ristretto di lavoro per i jihadisti all’interno di ciò che definisce “Islamico” e “ammissibile nella Shari’ah” e ha rivelato, così, un rebranding della sua immagine per migliorare i rapporti tra jihadisti e “masse musulmane” nel mondo nel periodo post-Daesh al fine di evitare scontri intra-musulmani che distraggano dal combattere il vero nemico, gli Stati Uniti, e i loro alleati infedeli.

Bangladesh. Per la posizione geografica, la regione del Bangladesh è importante per il califfato e il jihad globale in quanto si trova nella parte orientale dell’India, mentre il Wilāyat Khurāsān [la regione Af-Pak] si trova sul lato occidentale. Avere, quindi, una forte base di jihad in Bangladesh è funzionale ad n controllo dell’India.

Stante il 90% di fedeli musulmani (255 milioni di persone, prevalentemente Sufi) nella popolazione bengalese, nel 2014 al-Qaeda ha diffuso un video, “Bangladesh: massacro dietro un muro di silenzio”, in cui incitava i musulmani contro India e Occidente e a scontrarsi contro “forze anti-islamiche” accusate di massacrare i fedeli. Un anno dopo, Daesh avrebbe risposto pubblicando su Dabiq un’intervista con il capo delle sue operazioni in Bangladesh, intitolata “Il Rivival del Jihad in Bengal” in cui lodava Jama’at ul Mujahideen Bangladesh (JMB, Assemblea dei Mujaheddin, organizzazione terroristica operante in Bangladesh dal 1988) per il suo operato e per essere “la sola organizzazione propriamente jihadista in Bangladesh basata sul Corano e la Sunna”, mentre nel 2014 era già in circolazione un video in lingua locale di propaganda.

Per quanto il Bangladesh, infatti, apparisse non di particolare interesse per il jihadismo internazionale, nel 2009 il governo di Dacca aveva segnalato 12 gruppi islamisti pericolosi, anche se senza legami con il jihadismo internazionale, ma con un carattere più “nazionale” e attualmente risultano attivi una ventina di gruppi (compresi i dodici della lista).

Tra i più noti si riscontrano quelli di stampo qaedista, che ancora una volta sono frutto dell’azione di al-Qaeda nel quadrante Af-Pak: Harkat-ul-Jihad-al-Islami, ad esempio, è un gruppo formato nel 1992 da veterani della guerra afghana antisovietica attivi in Pakistan, Bangladesh e India, o Ansar al Islam Bangladesh (Aaib), è associata a AQIS e ha rivendicato gli omicidi a blogger, individui e docenti universitari accusati di blasfemia. Oltre al periodo della guerra afghana, al-Qaeda ha anche approfittato dei disordini seguenti la messa al bando nel 2013 dell’Associazione Islamica Bengalese,  che si era opposta alla divisione del Pakistan dall’India e poi del Bangladesh dal Pakistan, collaborando con l’Esercito del Pakistan durante la guerra di indipendenza del 1971. Proprio in Pakistan sono esiliati i leader del movimento e qui vennero avviati i contatti con le organizzazioni jihadiste con base in Pakistan e Afghanistan, tra cui al-Qaeda negli anni ‘90.

In seguito al tragico attentato del luglio 2016 al ristorante Holey Artisan Bakery situato nel quartiere diplomatico di Gulshan di Dacca, nel quale sono morte 24 persone, tra cui 9 italiani (i terroristi hanno sparato agli ostaggi in base a chi sapeva recitare brani del Corano), grande attenzione è stata posta dall’Occidente al Bangladesh e al fatto che l’attività dei gruppi jihadisti nel paese fosse particolarmente rivolta verso intellettuali non allineati alla causa jihadista, compreso l’italiano Cesare Tavella.  In quest’ultimo caso, e inizialmente anche nell’attentato del luglio 2016, la matrice dell’attentato sarebbe stata rivendicata da Daesh e verrebbe intesa come tentativo dello stato islamico di affermarsi nel Paese, per quanto la presenza di al-Qaeda sia più consolidata.

Tra il 2014 e il 2016 Dacca è stata la città che ha registrato più attentati (in particolare ai danni di stranieri, blogger, editori, professori universitari) e questo evidenzia che i processi di radicalizzazione sono maggiori nelle aree urbane dove si concentrano i giovani e gli utenti del web. Vi è, poi, la preoccupazione che gli stranieri originari del Bangladesh possano tornare nel Paese ma desta anche preoccupazione la diffusione di persone originarie del Bangladesh e cittadini all’estero.

Myanmar. Non si escludono infiltrazioni di Daesh tra la minoranza etnica dei Rohingya, tenuto in conto che, solo tra il settembre e il novembre 2017, più di 700 rifugiati rohingya musulmani siano transitati dal Bangladesh. Non si esclude che sia al Qaeda che Daesh possano sfruttare la crisi migratoria e umanitaria che interessa il paese.

Thailandia. Nonostante la presenza su internet di simboli associati a Daesh e la probabile creazione della cellula di Daesh denominata Black Swan, non sembrerebbero esserci relazioni consolidate con la guerriglia separatista del Sud, di religione musulmana e di etnia malese, che lotta per l’indipendenza da Bangkok. Dal 2004, dopo 20 anni di apparente calma, le istanze separatiste sono tornate più forti e con maggiore connotazione religiosa, anche di tipo estremista, le cui violenze sono difficilmente contenute dai movimenti separatisti tradizionali (Pulo e Brn). Per quanto gli insorti tailandesi siano nazionalisti, si stima un potenziale crescente per l’attività di Daesh nelle province meridionali che vive in uno stato di un conflitto perenne (quasi 7.000 vittime dal 2004) con frequenti repressioni e violenze da parte delle autorità tailandesi. Qui risiede la minoranza sunnita che è tradizionalmente riformista e tende a raggiungere una credibilità con le autorità, questo da una parte allontana gli estremismi, e le relative pratiche antisistema, sposati da Daesh e al-Qaeda, ma non si esclude possa anche scatenare la reazione di qualche estremista locale e non.

Indonesia. Con l’87.2% di musulmani, l’Indonesia è stata a lungo una base di ideologie e movimenti estremisti islamici. Da Darul Islam (DI) nel 1942 alla più recente formazione di Jema’ah Anshorut Daulah (JAD) nel 2015, i legami più noti con il jihadismo sono quelli che risalgono alla mobilitazione jihadista che seguì l’invasione sovietica dell’Afghanistan, quando Jemaah Islamiyah (JI), gruppo jihadista del Sud-est asiatico, si legò particolarmente ad al-Qaeda, e acquistò un suo profilo globale con l’attentato ad una discoteca di Bali nel 2002 e nel 2005, uccidendo rispettivamente 202 e 20 persone (per lo più turisti stranieri). Già nel 1993, JI aveva avuto legami per altri attentati, come quello al World Trade Center e al fallito complotto del 1995 “Bonjinka” per il bombardamento di 12 compagnie aree statunitensi. Nei campi di addestramento di JI di Aceh e Poso intorno al 2009 nasce al-Qaeda Indonesia, mentre nel luglio 2014 il co-fondatore di JI ha giurato fedeltà a ISIS e il gruppo intrattiene rapporti con il Fronte Al-Nustra, al-Qaeda e il gruppo filippino Abu Sayyaf (ASG).

Dal 2014 la propaganda di Daesh si espande attraverso video in indonesiano e malese e tra il 2014 e il 2015 circa 500 foreign fighters indonesiani sarebbero stati attivi in Siria. Il più affidabile traduttore e divulgatore del lavoro e dell’ideologia dell’ISIS in Indonesia, nonché persona di riferimento nella regione, è il leader della Tauhid Wal Jihad, comunità pro-ISIS non strutturata. Sono opera di Daesh gli attentati a Jakarta del 14 gennaio 2016, in cui l’organizzatore e finanziatore sarebbe stato un indonesiano basato in Siria, presso il cui conflitto sono stati inviati diversi combattenti. Le autorità australiane hanno, difatti, espresso preoccupazione per i foreing fighters che rientrano nella regione. Questo pericolo è esacerbato dalle leggi sull’immigrazione dell’Indonesia, che consentono ai cittadini indonesiani di viaggiare dentro e fuori dalle zone di conflitto. Di conseguenza, i jihadisti indonesiani che hanno combattuto in Iraq e in Siria non affrontano la minaccia di accuse criminali al loro ritorno a casa. Il ritorno di combattenti stranieri indonesiani potrebbe anche aggravare le tensioni tra la maggioranza sunnita dell’Indonesia e la minoranza sciita.

Filippine. Per quanto i leader dei principali movimenti indipendentisti attivi nella regione a Sud del Paese, a maggioranza musulmana, il MNLF (Moro National Liberation Front) e il MILF (Moro Islamic Liberation Front), siano anche musulmani, non si riconoscono nell’ideologia jihadista. Tuttavia, La componente jihadista filippina si inserisce nel contesto separatista dagli anni ’90 con l’apparizione dell’ASG (Abu Sayyaf Group), vicino ad al-Qaeda e dedito ad attività lucrative come estorsioni e rapimenti. ASG ha giurato fedeltà a Daesh, che ha nel 2016 proclamato la sua wilayah nell’isola di Basilan. ASG avrebbe una posizione trincerata sulle isole meridionali di Sulu e Basilan, e Bahrumsyah, il suo leader sarebbe attivo nel contrabbando di armi tra l’isola di Mindanao e l’isola indonesiana di Sulawesi.

Malesia. La presenza di Daesh è confermata dall’attacco del 28 giugno 2017 presso il night-club Movida a Kuala Lumpur.

La risposta centroasiatica al terrorismo avviene principalmente su base nazionale, ma non manca la promozione della cooperazione regionale. Tra le risposte nazionali è senza dubbio da prendere in analisi quella del Bangladesh, dove dal 2009 sono state intraprese diverse iniziative di “tolleranza zero” istituzionali, legali e politiche per prevenire la radicalizzazione e combattere l’estremismo violento nel paese. In particolare sono state introdotte attività di difesa e istituiti organi tra cui quelli che fanno capo al Ministero dell’Interno, un Coordinamento dell’intelligence, una unità antiterrorismo e criminalità transnazionale (CTTC), un’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) del Dipartimento Antiriciclaggio (AMLD). Il governo ha, inoltre, introdotto una forte politica nazionale di istruzione, evidenziando la necessità di monitoraggio delle madrase non regolamentate, del loro finanziamento e degli insegnanti.

Dal punto di vista regionale, la più importante istituzione contro il terrorismo che unisce le intelligence di Cina, Russia, Kirghizistan, Kazakhstan, Uzbekistan e Tagikistan, è la Regional Antiterrorism Structure (RATS) della Shanghai Cooperation Organization, la cui dottrina si basa sulla lotta a terrorismo, separatismo e fondamentalismo religioso, per quanto non manchino le critiche occidentali in merito alla  legittimità delle sue azioni, talvolta percepite come mezzo per la repressione delle opposizioni interne.

Ancora una volta abbiamo cercato di inquadrare la minaccia del terrorismo islamista senza fermarci ai confini a noi vicini: è importante, infatti, adottare uno sguardo complessivo delle aree in cui questa minaccia si espande, capirne le motivazioni di adesione e le pratiche adottate. Un tale quadro di insieme è necessario per evitare di lasciare spazi vuoti, geografici e non, che diano a questa minaccia una possibilità futura di rinascita.

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