Niger e Sahel. La base geografica per un nuovo Califfato?

Il Niger e il Sahel stanno affrontando un escalation senza sosta di attacchi terroristici sempre più forti. Sebbene lo stato nigerino appaia stabile politicamente e proceda ordinatamente verso le elezioni presidenziali, la situazione al confine con Mali e Burkina appare sempre più preoccupante.

Mai il Niger era stato attaccato con tale forza brutale e organizzata. Si tratta dell’attacco più violento e con più vittime mai registrato in Niger a causa del terrorismo. Nel giro di due giorni ci sono stati ben due attacchi.

Il primo lunedì 9 dicembre. Tre militari e quattordici terroristi sono stati uccisi durante un attacco ad un campo dell’esercito nella regione di Tahoua, vicino a Tillaberi e alla frontiera con il Mali. Secondo fonti ufficiali della Difesa, questo attacco è stato portato da dei gruppi terroristici in possesso di armi pesanti e a bordo di dodici veicoli 4×4 contro il posto militare d’Agando.

Ma quello con gli effetti più catastrofici è avvenuto il giorno seguente. Secondo un bilancio del ministero nigerino della difesa almeno 71 militari sono stati uccisi durante l’attacco e “un numero importante di assalitori sono stati neutralizzati”. L’avamposto militare di Inates è stato attaccato durante la serata di martedì 10 Dicembre da diverse colonne di veicoli, fra cui dei blindati e delle moto. Inates si trova a 250 km da Niamey e gli assalitori risultano essere di origine jihadista provenienti dal Nord del Mali.

Il contingente è stato attaccato su tre lati e i combattimenti sono stati di rara violenza. Ne è testimone la morte, armi in mano, del capo della guarnigione e del suo vice, in mezzo ai propri uomini. L’arrivo dei rinforzi militari ha permesso di respingere gli assalitori. I terroristi hanno preparato il piano in maniera minuziosa. I primi colpi sono stati destinati all’arsenale e al centro di trasmissione delle comunicazioni, privando i soldati all’accesso alle loro munizioni e a tutte le comunicazioni con l’esterno. Solo sei ore dopo i primi colpi, un mezzo è riuscito a raggiungere il posto militare d’Ayorou, distante 80 chilometri, per far scattare l’allerta.

E’ già la seconda volta che questo posto è attaccato nello spazio di 6 mesi. Nello scorso luglio 18 soldati nigerini avevano trovato la morte in seguito ad un attacco portato dagli uomini d’Abu Walid al Saharaoui. L’attacco di questo dieci dicembre è stato rivendicato dallo Stato Islamico nel Gran Sahara, ma si pensa ci possa essere il concorso di più gruppi terroristici. La guarnigione militare è situata a meno di 5 chilometri dalla frontiera con il Mali e non lontano dalla riserva faunistica d’Ansongo che dà rifugio a numerosi terroristi del nord del Mali. Questa località è situata non lontano da due borghi rurali del Mali, i villaggi d’Akbar e Tabankort,  che servono da punto d’incontro, oltre che per i terroristi, anche per i narcotrafficanti. E la presenza militare nigerina disturba i trafficanti nel loro avvicinamento verso la frontiera algerina.

Lo stesso martedì, il Consiglio dei Ministri ha prorogato, per un periodo di tre mesi, lo stato d’urgenza decretato a partire dal 2017 in molti dipartimenti di Tillaberi e di Tahoua per tentare di soffocare i raid dei terroristi. Questa misura concede dei poteri supplementari alle forze di sicurezza che si trovano sul teatro delle operazioni, fra cui quello di ordinare perquisizioni di notte come di giorno all’interno di un qualsiasi domicilio. Inoltre, essa limita il movimento delle persone, delle moto e delle vetture all’interno degli spazi interessati.

Il nord della regione di Tahoua e tutta le regione vicina di Tillaberi sono divenute altamente instabili a causa dei frequenti attacchi degli jihadisti e degli uomini armati provenienti dal vicino Mali. A partire dal mese di Ottobre è formalmente vietato alle organizzazioni umanitarie di recarsi in alcune zone senza scorta militare.

Il presidente Macron ha reagito prontamente all’attacco, annunciando lo spostamento a gennaio del summit dedicato all’operazione Barkhane e alla forza congiunta del G5 Sahel, previsto per il 16 Dicembre. Si trattava giustamente di chiarire con i dirigenti dei paesi del G5 Sahel (Mali, Burkina Faso, Niger, Chad e Mauritania) le posizioni di ciascuno sulla presenza militare francese nel Sahel, sempre più contestata dall’opinione pubblica. Il presidente francese voleva un incontro simbolico a Pau (sud-ovest della Francia) dove erano di stanza la maggior parte dei 13 soldati francesi morti a fine novembre durante un’operazione in Mali. La cosa aveva attirato numerose critiche in relazione alla forma dell’invito, e il summit è stato spostato per permettere al presidente del Niger Issofou e alle autorità nigerine di commemorare i morti, ha spiegato il ministro degli esteri francese Le Drian.

L’attacco di Inates mette chiaramente in luce la difficoltà delle forze armate di lottare contro i gruppi jihadisti e tale difficoltà si può tranquillamente estendere a tutto il Sahel – in particolare Mali, Burkina e Niger – che rappresenta l’obbiettivo complessivo degli attacchi sempre più audaci dei gruppi estremisti islamici armati, in spregio della presenza di 4500 militari francesi della forza antiterrorismo Barkhane e delle forze americane. Il Mali è stato colpito recentemente da una serie di assalti sanguinosi nel corso dei quali più di 140 soldati sono stati ammazzati. Il Burkina aveva perduto 24 militari in agosto, nel corso di un assalto alla base di Koutougou, ugualmente vicino alla frontiera maliana.

Dopo gli attacchi del tipo “hit and run”, i gruppi terroristici non esitano più ormai a attaccare in maniera frontale i posti militari. Da questo punto di vista, l’attacco di martedì è significativo: questo è stato opera di qualche centinaio di combattenti armati in maniera pesante.

Lo Stato Islamico, che aveva già rivendicato in luglio un’altro attacco allo stesso campo e che aveva fatto 18 morti, è cresciuto in potenza nonostante l’aumento dell’impegno in termini di forze degli stati francese e americano e il rafforzamento degli eserciti locali sostenuti dagli occidentali. I francesi da parte loro hanno promesso d’armare i loro droni e di aumentarne il numero.

 Il Sahel è oggetto di attacchi terroristici sempre più frequenti da quando le prime violenze sono cominciate nel nord del Mali nel 2012. La forte presenza militare nigerina, francese e americana non è servita a mettere fine a questi attacchi sempre più violenti in queste zone dalle frontiere porose. E la costituita forza congiunta chiamata “G5 Sahel”, composta da tutti i paesi che fanno parte della regione è semplicemente ridotta a una esistenza virtuale, priva com’è di budget, di logistica e di coordinamento. Occorre a questo punto una presa di coscienza globale che il Sahel sta diventando un obiettivo strategico da parte dell’ISIS che sta occupando, supportato dalle altre organizzazioni terroristiche della zona, con forze sempre più massicce la regione. Occorre che il problema venga portato all’attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e che nel frattempo la NATO venga interessata nella sua interezza prima che aree territoriali sempre più vaste vengano occupate dal risorgente Stato Islamico e si possa creare nel Sahel un nuovo “Califfato” portando il noto oscurantismo nei tre fragili stati sotto attacco, e cioè Mali, Niger e Burkina, cercando di portarli al fallimento e di prenderne il controllo.

Davide Silvestri, dottore di ricerca in Geopolitica e Geopolitica Economica, è funzionario UE in Border Management nelle missioni EEAS

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni di Europa Atlantica

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