IL JIHADISMO NEL MEDITERRANEO: IL CASO DEL SINAI

Instabilità e insicurezza provocata dal terrorismo jihadista nella regione del Sinai. L’analisi di Francesco Conti

L’area del Sinai è oggetto di instabilità politica e lotta armata dall’inizio del 2011, in concomitanza con l’esplodere delle rivolte popolari contro il regime di Hosni Mubarak, facenti parte delle cosiddette “Primavere Arabe”. L’organizzazione jihadista più attiva nella regione è Ansar Bait al-Maqdis, impegnata in una vera e propria insorgenza contro le forze governative. Oltre a prendere di mira hard targets come checkpoint della polizia e caserme dell’esercito egiziano,[1]  il gruppo ha anche attaccato infrastrutture critiche, come torri dell’elettricità e specialmente le porzioni egiziane della Arab Gas Pipeline (che ha origine proprio nel Sinai e fornisce energia ad Israele e alla Giordania), causando l’interruzione dei servizi in diverse occasioni.[2] Nel novembre 2014, quando ISIS era al suo apice, sia dal punto di vista militare che mediatico, l’organizzazione prestò giuramento all’allora leader al-Baghdadi, diventando  ufficialmente la provincia di Daesh nel Sinai. Nonostante il “rebranding”, il gruppo terroristico ha mantenuto la stessa strategia, caratterizzata principalmente da attacchi mordi e fuggi contro le forze di sicurezza. Ha inoltre continuato con gli attacchi alla Arab Gas Pipeline.[3] ISIS-Sinai ha però anche preso di mira soft targets legati alla minoranza religiosa dei cristiani copti, come chiese e bus di pellegrini, nell’ottica di una strategia di guerra settaria inaugurata da Abu Musab al-Zarqawi in Iraq e poi portata tristemente avanti dai suoi successori. L’affiliazione all’ISIS ha però avuto risvolti importanti sul piano delle reclute, con un maggiore flusso di foreign fighters proveniente dai paesi limitrofi. I combattenti stranieri, non essendo legati alla popolazione e alle dinamiche politiche locali, si sono mostrati meno sensibili alle perdite civili, che sono infatti aumentate dopo che il gruppo è diventato Wilayat Sinai.[4]

Il gruppo terroristico è salito però alla ribalta della cronaca internazionale nell’ottobre del 2015, con l’attentato al volo Metrojet 9268, che ha causato la morte di duecentoventiquattro persone. Le foto dell’ordigno rudimentale pubblicate su Dabiq,[5] la rivista pubblicata dall’ISIS fra il 2015 e 2016, ricordano il modus operandi di al-Qaeda nel cosiddetto “Transatlantic plot” del 2006, quando l’organizzazione di Osama bin Laden cercò, invano, di abbattere diversi aerei di linea in partenza dall’aeroporto di Heathrow utilizzando una miscela esplosiva liquida (HMTD) nascosta all’interno di bottigliette di bevande analcoliche. Nonostante il piano terroristico venne sventato dalla polizia britannica,[6] il “Transatlantic plot” portò a notevoli restrizioni, tutt’ora in vigore, sul trasporto di gel e liquidi in aereo.[7] Nel continente africano, gli attacchi terroristici contro vettori aerei possono rappresentare una criticità per l’inferiore livello di sicurezza degli aeroporti rispetto agli standard occidentali.[8] Gruppi terroristici possono avvalersi di personale all’interno dei rispettivi aeroporti per introdurre esplosivo ed eludere i controlli di sicurezza. Data la povertà delle zone in esame, trovare soggetti disposti a compiere tali azioni in cambio di denaro (spesso reclutati attraverso la rete, come per attentatori o foreign fighters)[9] non è affatto difficile.

La risposta dello stato egiziano sembrerebbe essere stata caratterizzata anche da un’impronta fortemente repressiva, dai caratteri prettamente militari, tipica del contrasto alle minacce più tradizionali e simmetriche, [10] che coinvolgono, oltre alle forze dell’antiterrorismo, anche l’utilizzo massiccio di uomini e mezzi pesanti.[11] L’offensiva anti IS, lanciata nel febbraio 2018 con l’ambizioso scopo di eradicare il terrorismo dal Sinai non sembrerebbe avere al tempo raggiunto l’obbiettivo preposto, nonostante le perdite subite dai jihadisti: secondo un documento del Consiglio di Sicurezza ONU pubblicato nello scorso luglio, ISIS-Sinai disporrebbe di circa mille effettivi,[12] un numero invariato rispetto alla stessa analisi dell’anno precedente,[13] facendo ritenere che il gruppo sia anche dotato di una certa resilienza e di capacità di recuperare le perdite subite sul campo[14] Nonostante il recente successo dell’antiterrorismo egiziano, che è riuscito ad eliminare Abu Fares al-Ansari (l’emiro locale della città di Rafah), a fine marzo;[15] il successivo divieto governativo sulla pubblicazione delle notizie riguardanti gli attacchi in Sinai, per evitare che venga intaccata la sicurezza nazionale, non sembra puntare verso una conclusione a breve dell’insorgenza jihadista.

 L’importanza del Sinai per la sicurezza non solo dello stato egiziano, ma anche della regione è evidenziata dal fatto che il primo incontro di Mark Esper in qualità di Segretario della Difesa USA è avvenuto con il ministro della difesa egiziano, il generale Mohamed Zaki. Uno dei punti chiave di tale meeting, svoltosi lo scorso luglio al Pentagono, ha proprio riguardato il rafforzamento della collaborazione tra i due paesi in chiave antiterrorismo.[17] La presenza di un’organizzazione jihadista vicino ai propri confini rappresenta una minaccia alla sicurezza anche per Israele. Lo stesso gruppo terrorista del Sinai è infatti riuscito, in diverse occasioni, ad attaccare la città di Eilat, situata sul Mar Rosso. Anche Hamas, il principale avversario non statuale di Israele,[18] ha utilizzato il Sinai per compiere simili attacchi. L’organizzazione terroristica della Striscia di Gaza ha inoltre spesso sfruttato la porosità dei confini con l’Egitto e la connivenza di gruppi beduini per tali attentati,[19] gli stessi che forniscono supporto e manpower all’insorgenza da parte della provincia locale di Daesh. In passato, militanti jihadisti sono anche riusciti ad oltrepassare fisicamente il confine per compiere personalmente attentati in territorio israeliano.[20] Per tali motivi, le forze di sicurezza israeliane collaborano strettamente con i loro omologhi egiziani per contrastare il terrorismo nell’area. L’intervento israeliano non è però solamente confinato alla dimensione dello scambio di intelligence; infatti, Israele ha negli scorsi anni anche condotto operazioni cinetiche per colpire le forze dello Stato Islamico nel Sinai tramite l’utilizzo di droni, per «mantenere l’illusione che l’Egitto possa gestire da solo la propria sicurezza ».[21] Il coinvolgimento di Israele in operazioni di contrasto al terrorismo nel Sinai potrebbe però “aggiungere benzina sul fuoco” ed essere sfruttato dalla propaganda del gruppo terroristico, anche a fini reclutativi. L’ingerenza israeliana in Egitto, vista all’interno di una più vasta “cospirazione sionista” è stata usata, fin dagli anni della presidenza Nasser, dai jihadisti egiziani per perorare la propria causa nella lotta armata al governo centrale, considerato come illegittimo ed apostata.[22] Infatti, il più recente attentato alla pipeline, risale al due febbraio, a seguito dell’annuncio del governo egiziano riguardo l’inizio dell’importazione del gas da Israele.[23]

In conclusione, nonostante le continue operazioni antiterrorismo nella regione, la sconfitta dell’ISIS e la stabilizzazione dell’area, oltre che da una migliore intelligence per ridurre le perdite tra i civili (ed in questo caso i contributi americani ed israeliani potrebbero rivelarsi fondamentali) potrebbero essere facilitate dall’implementazione di soft measures di natura umanitaria, sociale ed economica, in modo tale da ridurre notevolmente la capacità del gruppo di fare presa presso la popolazione locale e rendere il governo egiziano un passo più vicino a conquistare “i cuori e le menti“ della popolazione locale, vero fulcro di ogni insurgency.

Francesco Conti


[1] le forze di sicurezza egiziane rappresentano la maggior parte delle vittime del jihad locale

[2] Ashour Omar, Sinai’s Insurgency: Implications for Enhanced Guerrilla Warfare, Studies in Conflict & Terrorism vol. 42, no.6, 2019, p. 546

[3] IS-linked militants claim attack on Sinai pipeline to Jordan, Middle East Eye, 29 gennaio 2019,  https://www.middleeasteye.net/news/linked-militants-claim-attack-sinai-pipeline-jordan

[4] Gold Zach, Wilayat Sinai Risks Backlash After Metroject Bombing, CTC Sentinel, Novembre/Dicembre 2015, p. 21

[5] Olimpio Guido, Isis mostra la bomba che ha fatto esplodere l’aereo russo in Sinai, Corriere della Sera, 15 Novembre 2015, disponibile su https://www.corriere.it/esteri/15_novembre_18/isis-mostra-bomba-che-ha-fatto-esplodere-l-aereo-russo-sinai-6f4edc8e-8e07-11e5-ae73-6fe562d02cba.shtml

[6] Importante fu anche il supporto del Pakistan e degli Stati Uniti

[7] Hoffman Bruce & Fernando Reinares (ed.)., The Evolution of the Global Terrorist Threat:  From 9/11 to Osama bin Laden’s Death, Columbia University Press, 2014, p. 250

[8] Cochi Marco, Tutto Cominciò a Nairobi: Come al-Qaeda è diventata la più potente rete jihadista dell’Africa, Castelvecchi, 2018, p. 53

[9] Azani Eitan, Atiyas Lvovsky Lorena & Haberfeld Danielle, Trends in Aviation Terrorism, International Institute for Couter-Terrorism, Agosto 2016, p. 5

[10] Da notare che quando Wilayat Sinai ha condotto operazioni dallo stampo più militare, come quella del 2015, che ha ricordato, seppur su scala ridotta, l’offensiva di Daesh nell’Iraq settentrionale del 2014 (quando vennero prese Mosul), le forze armate egiziane hanno respinto i terroristi con gravi perdite, senza perdere coesione, a differenza di quanto accaduto proprio in Iraq. Vedi pp. 356-360 nota successiva.

[11] Nance Malcolm, Defeating ISIS: Who They Are, How They Fight, What They Believe, Skyhorse Publishing, 2016, p. 93

[12] United Nations Security Council, S/2019/570, p. 10

[13] United Nations Security Council, S/2018/705, p. 11

[14] Horton Michael, Crossing the Canal: Why Egypt Faces a Creeping Insurgency, CTC Sentinel, Giugno/Luglio 2017, p. 23

[15] Megahid Ahmed, “Egypt’s terror fight not over after killing ISIS emir”, The Arab Weekly, 29 marzo 2020, disponibile su https://thearabweekly.com/egypts-terror-fight-not-over-after-killing-isis-emir

[16]Why Egypt banned news about terrorist bombings in Sinai”, Al Monitor, 5 aprile 2020, disponibile su https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2020/04/egypt-army-airstrikes-sinai-terrorist-ban-media-covergae.html

[17] Garamore Jim, U.S.-Egypt Strategic Relationship a Top Priority, Esper Says, U.S. Central Command, 30 luglio 2019, disponibile su https://www.centcom.mil/MEDIA/NEWS-ARTICLES/News-Article-View/Article/1920327/us-egypt-strategic-relationship-a-top-priority-esper-says/

[18] Insieme ad Hezbollah.

[19] Ravid Barak, Issacharoff Avi, PM: Hamas Behind Eilat Rocket Attacks, Haaretz, 5 agosto 2010, disponibile su: https://www.haaretz.com/1.5095299

[20] Gold Zach, Sinai Security: Opportunities for Unlikely Cooperation Among Egypt, Israel, and Hamas, Brookings Institution, Ottobre 2013, p. 1

[21] Byman Daniel, Road Warriors: Foreign Fighters in the Armies of Jihad, Oxford University Press, 2019, 202

[22] Boyle Michael J., Non-Western Responses to Terrorism, Manchester University Press, 2019, pp. 307-313

[23] Supra nota 16


Le posizioni espresse sono strettamente personali e potrebbero non necessariamente rappresentare la posizione di Europa Atlantica

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