Diciannove anni fa gli attacchi dell’11 settembre 2001. Quanto la minaccia terroristica è ancora presente

Dopo 19 anni la memoria dell’11 settembre 2001 è sempre vivissima. Perché questo evento è stato importante e quanto la minaccia terroristica è oggi ancora attuale. Una breve analisi

Sono trascorsi 19 anni dagli attentati dell’11 settembre 2001, e nel corso di questi anni molte cose sono cambiate. Eppure, nonostante gli anni di distanza, il ricordo di quegli attacchi resta vivo nella memoria collettiva di tutti noi, ed è nostro dovere ricordarlo ancora e onorare la memoria di coloro che a causa della violenza terroristica hanno perso la vita.
Indubbiamente, nel tempo, è anche aumentata la consapevolezza di quanto quell’evento abbia impresso un’accelerazione alle dinamiche globali di cambiamento delle relazioni internazionali e nella percezione della sicurezza. Molto è cambiato a causa degli attacchi, ma certamente la presenza della minaccia terroristica jihadista è ancora oggi molto insidiosa e diffusa intorno a noi.
Diciannove anni non sono pochi. Chi visse i momenti degli attacchi, in particolare quelli alle Torri gemelle di New York, potrà ricordare bene il panico e lo smarrimento generale, cui fece seguito la tristezza e la rabbia. In realtà, forse proprio perché condizionati anche dalla spettacolarità tragica dell’evento e dalle immagini televisive che riprendevano il centro di Manhattan attaccato, per quanto spesso si tenda a ricordare l’11 settembre 2001 solo relativamente alla distruzione degli edifici del World Trade Center, gli attacchi interessarono anche Washington, con il volo dirottato e schiantato contro il Pentagono, e il volo dirottato e precipitato in Pennsylvania dopo la rivolta dei passeggeri a bordo.
In tutto le vittime degli attacchi, il più grave attentato terroristico nella storia contemporanea, furono quasi 3 mila, e più del doppio i feriti. Senza contare poi quanti, nei mesi e negli anni successivi, sono morti o hanno subito lesioni e danni gravi a causa del crollo delle torri e degli attacchi.
Gli attacchi non ferirono sono l’America, ma tutto il mondo e sicuramente tutto il mondo libero. Al Qaeda aveva condotto un attacco contro il cuore dell’Occidente democratico, il “nemico lontano”, in nome della strategia del Jihad globale. In nome di questa strategia, di cui l’organizzazione di Bin Laden e Zawahiri diventò allora l’interprete principale, l’attacco veniva condotto proprio sul suolo del “nemico” principale, gli Stati Uniti, con l’intento non solo di fare morti e danni ingenti, ma anche di colpire un simbolo politico ed economico globale, che rappresentava la potenza dell’Occidente e del paese più forte al mondo, gli USA. Non era la prima volta in realtà che si tentava un colpo proprio al cuore dell’Occidente: già negli anni novanta un attentato era stato portato avanti, con esiti per fortuna molto minori, proprio contro il World Trade Center, nel 1993. E negli anni precedenti il 2001, Al Qaeda, aveva già pesantemente colpito i simboli del potere e degli interessi americani con gli attacchi contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania e contro lo USS Cole. Ma l’11 settembre 2001 rappresentò un salto di qualità enorme, per un’organizzazione terroristica, e raggiunse una dimensione mai vista prima. Non solo per la gravità dell’evento e per i danni, ingentissimi, ma anche per i suoi effetti globali immediati e successivi, sia simbolici, l’aver ferito in profondità la potenza americana al tempo senza rivali, che politici e militari.
Il suo impatto, sul piano politico, geopolitico, storico, economico, culturale è stato enorme e ha contribuito anche a imprimere una svolta al corso della storia e degli eventi, accelerando il processo già avviato ma ancora non evidente, di ridefinizione degli equilibri politico/economico globali. Insieme alla crisi finanziaria del 2008 e, probabilmente, alla pandemia attuale, è stato uno degli eventi che più ha contribuito a questo processo di cambiamento in corso. Ha anche palesato, in modo eccezionale, quanto grande e pericolosa possa essere la minaccia del terrorismo jihadista, e quanto non possa essere sottovalutata. Da quegli attacchi sono scaturite guerre, tensioni e nuovi assetti politici e geopolitici in Medio Oriente. È cambiato il nostro approccio alla sicurezza, sono cambiate leggi e apparati. Ma la lotta contro le organizzazioni terroristiche non si è ancora conclusa e ancora oggi, dopo molto altri attacchi e dopo che la bandiera del jihad globale è stata impugnata anche da altre organizzazioni oltre ad Al Qaeda, come ISIS, la sfida alla sicurezza internazionale è sempre presente. Nel corso degli anni la minaccia terroristica di matrice jihadista è cambiata molto, si è evoluta, come la parabola di ISIS stesso ci dimostra, si è fatta più puntiforme e diffusa. Dai grandi attentati si è progressivamente passati ad eventi più circoscritti e ridotti, spesso individuali e, in molti casi soprattutto per quanto riguarda l’Occidente, condotti da singoli individui svincolati da strutture gerarchicamente organizzate. Un’evoluzione che nel corso degli anni è stata molto accelerata anche grazie alle diverse forme di autoarruolamento e di indottrinamento attraverso il web. Le vittime del terrorismo, dopo decine di attacchi in questi anni, sono state tantissime, e non solo nei paesi occidentali, ma anche, in maggioranza, nei paesi musulmani.
Nella fase storica attuale il tema della minaccia terroristica jihadista è stato molto marginalizzato dal dibattito pubblico e dall’informazione di massa, a causa ovviamente della gravità della crisi pandemica e delle sue conseguenze. Ma il silenzio recente dei media e la bassa intensità di eventi riconducibili alle attività delle organizzazioni jihadiste nei paesi in occidente non deve portarci a sottovalutare la gravità e la persistenza della minaccia. Perché al contrario di quello che si può ritenere, è invece ancora molto presente e molto concreta in numerosi paesi in conflitto o in crisi, in Africa, in Medio Oriente e in Asia. Infatti, anche di recente, ha continuato a manifestarsi attraverso attacchi e nuove vittime soprattutto in realtà più periferiche o minori. Nel silenzio, mentre il mondo è concentrato su altro, le organizzazioni terroristiche stanno probabilmente cercando di riorganizzarsi e potrebbero tentare di voler sfruttare a proprio vantaggio le nuove condizioni, anche di tipo socio-economico oltre che politico, che proprio la crisi attuale potrebbe produrre, oltre alle costanti tensioni geopolitiche che interessano la regione mediorientale e mediterranea e l’instabilità che in alcuni paesi, colpiti dal Covid e al centro delle rivalità tra attori della regione, potrebbe aumentare.
Negli spazi vuoti, nell’instabilità e nel disagio, l’estremismo violento e il jihadismo possono sempre diffondersi e trovare nuovi adepti. Per questo la situazione di emergenza sanitaria e sociale attuale, soprattutto nei paesi più fragili in tutta la regione mediterranea, in Africa o nell’Asia centrale, è particolarmente rischiosa e va monitorata, senza sottovalutare nessun segnale o forma di minaccia possibile. In particolare, nel bacino del Mediterraneo vi sono alcuni contesti locali in cui l’instabilità potrebbe favorire la riemersione di fenomeni e manifestazioni estremistiche, attirando anche le attenzioni e le mire delle organizzazioni jihadiste, in grado da produrre anche nuovi effetti su scala più ampia.
Si pensi per esempio alla situazione critica del Libano, da sempre terra di frontiera tra religioni diverse e crocevia di rivalità geopolitiche, esposto a una crisi sistemica interna gravissima e agli effetti di tutte le crisi della regione che lo circondano, con il rischio che nell’insicurezza e nell’instabilità possano trovare terreno fertile per rafforzarsi diverse forme di estremismo violento e terroristico. Vale lo stesso per la Libia e la Siria, che essendo attraversate da anni da conflitti interni diventate autentiche guerre per procura, potrebbero fornire anche nuovi spazi di crescita anche ai progetti delle organizzazioni jihadiste, di diversa affiliazione. Ma è necessario anche ricordare quanto negli ultimi anni l’Africa sia diventata una terra di espansione per le organizzazione jihadiste, a partire dal Sahel, oltre alle aree dell’Africa Occidentale e del Corno d’Africa.
Il Sahel è un’autentica terra di cerniera tra il Nord Africa e il resto del continente: non a caso è attraverso il Sahel che passano tutti i principali traffici illeciti e i flussi di migranti, dal centro del continente verso le coste mediterranee, ed è nel Sahel che si concentrano gli interessi e le attività di molte organizzazioni terroristiche, spesso saldate con quelle criminali. In Sahel si riflettono molte delle dinamiche e delle spinte provenienti dal resto del continente, e non a caso, anche per motivi storici, per la cronica povertà delle sue popolazioni e per la drammaticità degli effetti del cambiamento climatico sulle sue terre, è una delle aree più instabili di tutto il continente. Ma proprio per la sua instabilità e per la fragilità delle istituzioni statuali dell’area sahelina, essa può trasformarsi in un “nuovo hub” per il terrorismo jihadista, una zona da cui propagarsi per colpire nelle regioni limitrofe e fino al Mediterraneo. Per questo resta una delle aree strategicamente più rilevanti, proprio ai fini della lotta al terrorismo e il mantenimento della sicurezza sia in Africa che in Europa e nel Mediterraneo.
A diciannove anni dalle stragi e dagli attacchi dell’11 settembre 2001 è ancora molto importante ricordare quegli eventi e le loro vittime, sia per onorare la loro memoria che rafforzare i nostri valori condivisi, allora oggetto insieme al nostro modello sociale e politico di un attacco violento. Ma è anche giusto ricordare per non abbassare la guardia nella lotta contro il terrorismo, imparando dalla lezione della storia, che questo genere di minaccia è sempre presente e potrebbe in ogni momento cercare di manifestarsi e anche colpire.

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