Perché può essere utile una legge sulla prevenzione della radicalizzazione in Italia

Perché è importante rilanciare il dibattito nel nostro paese su una legge dedicata alla prevenzione della radicalizzazione jihadista. Ecco alcune proposte già presentate in passato da cui si può ripartire

Il terrorismo di matrice jihadista rappresenta da anni uno dei più seri pericoli alla stabilità e alla sicurezza, come dimostrano i recenti e sanguinosi attacchi in Francia e Austria. In Italia negli ultimi venti anni, sono state adottate numerose nuove norme, tese soprattutto a contrastare e reprimere la minaccia terroristica di matrice jihadista.  Dopo i fatti del gennaio 2015 a Parigi e gli attentati alla sede di Charlie Hebdo, in Italia sono stati introdotti nel nostro ordinamento importanti aggiornamenti normativi volti sia a rafforzare che ad attualizzare gli strumenti di prevenzione e repressione penale del fenomeno. Ma il rischio è che, alla luce delle recenti evoluzioni della minaccia, le sole misure puramente repressive possano non essere più sufficienti a contrastarla.

Al momento nel mondo esistono numerose aree e regioni, molte limitrofe al bacino del Mediteraneo, o in zone come Africa Occidentale, Sahel, Corno d’Africa, Asica Centrale e Sub Continente Indiano, dove la presenza di gruppi e organizzazioni jihadiste è particolarmente rilevante. Il crollo territoriale del fenomeno ISIS non ha cancellato la minaccia terroristica o la sua presenza internazionale. ISIS non è ancora scomparso, ma anzi ha mantenuto una sua struttura e una sua presenza anche in alcuni territori. Nel mondo si annoverano anche altre sigle e organizzazioni jihadiste, tra le quali rimane soprattutto il network di Al Qaeda. Quindi la minaccia è ancora presente, strutturata e organizzata, come dimostrato dagli attacchi in numerosi paesi africani o asiatici recenti, ma anche dalla rivendicazione dell’attacco di Vienna. Però è da rilevare che oltre alla minaccia delle organizzazioni terroristiche, nel corso del tempo è emersa sempre di più quella derivante gli attacchi di singoli autoradicalizzati, o emulatori di altri attacchi violenti oppure la diffusione del fenomeno dei simpatizzanti e dei sostenitori, spesso svincolati da circuiti canonici di arruolamento e da reti jihadiste strutturate. La crisi pandemica attuale, tra i suoi effetti, potrebbe aumentare anche i rischi legati alla diffusione di forme di instabilità, radicalizzazione ed estremismo violento, anche in Europa.

Infatti, in questi mesi il web ha continuato a pullulare di iniziative propagandistiche e messaggi di incitamento all’odio oltre che di attività di proselitismo e propaganda all’insegna del “Jihad digitale”. Nonostante la crisi il fenomeno, in maniera carsica, è continuato ad andare avanti e diffondersi, soprattutto lontano dai riflettori. Ma nonostante l’emergenza sanitaria i rischi alla sicurezza derivanti dalla radicalizzazione estremistica e violenta, anche di matrice confessionale e jihadista sono ancora tutti esistenti e presenti, come i recenti attentati e attacchi in Francia  e Austria dimostrano.

Del resto proprio il web ha rivestito sia nella diffusione dell’ideologia jihadista, che come strumento di propaganda e arruolamento, un mezzo molto potente in mano alle organizzazioni jihadiste. Alcuni comunicatori radicali jihadisti lo hanno sfruttato, negli anni scorsi, per diffondere i propri messaggi e aumentare il proprio seguito. Negli utlimi tempi è diventato il mezzo principale di proselitismo per i jihadisti. Tanto che dopo la caduta del Califfato di ISIS, si è parlato della possibilità di una sua sopravvivenza in forma digitale come una sorta di “Califfato Virtuale”.

Il livello di professionalità sviluppato, la persistenza e la presenza della propaganda jihadista in rete, l’abilità di predicatori jihadisti nel diffondere i propri messaggi, e l’esistenza di messaggi mirati, targhettizzati e sviluppati per differenziare la propaganda a seconda delle diverse tipologie di soggetti cui è indirizzata (differenziata per fasce di età, sesso, paesi di origine, lingua parlata) dimostra come proprio sulla dimensione virtuale si misuri oggi un pezzo importantissimo della battaglia sia di contro-propaganda che di contrasto al proselitismo e al fanatismo jihadista. Infatti è stato anche pensando al contrasto del fenomeno sul web che sono state introdotte alcune nuove fattispecie di reati anche nel nostro ordinamento. Ma pensando al web e alla sua rilevanza in questa sfida alla sicurezza, è importante immaginare anche forme di intervento di tipo preventivo e contro-narrativo che interessino tutti media.

Infatti l’importanza di politiche di tipo preventivo, oltre che repressivo, era già stata segnalata dal  Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dall’Unione Europea. Un aspetto importante rilevato in più occasioni per politiche di contrasto all’estremismo violento (misure di deradicalizzazione e riabilitazione) è quello della necessità di trovare una risposta più equilibrata al terrorismo che combini misure repressive ed un approccio preventivo, in collaborazione con attori della società civile e le comunità di riferimento.

Nel corso degli ultimi anni anche le strutture preposte alla sicurezza nazionale, la magistratura e le forze di polizia competenti, in più occasioni, hanno ribadito la necessità di poter disporre di strumenti di tipo preventivo per intervenire in presenza di eventuali soggetti radicalizzati, prima di una loro eventuale azione violenta. Ed è per tali motivi che si ritiene fondamentale introdurre nel nostro ordinamento strumenti idonei a contrastare sul nascere la radicalizzazione e l’estremismo jihadista nonché a predisporre misure di recupero e reinserimento sociale di soggetti già coinvolti in fenomeni di radicalizzazione. Strumenti coerenti, in grado di essere inseriti in un sistema nazionale di prevenzione della radicalizzazione violenta, non solo jihadista.

A questo fine sarebbe importante, in questa fase, anche alla luce delle tensioni sociali derivanti dalla crisi e dall’emergenza nata con la pandemia da COVID 19, rilanciare una discussione su questi temi, orientata su più livelli, indirizzata al massimo coinvolgimento possibile dei soggetti interessati e di tutte le parti politiche.

Un primo punto di partenza sul tema potrebbe essere il recupero della proposta di legge Dambruoso-Manciulli, già approvata alla Camera nel 2017, che introduceva alcune importanti novità nel nostro ordinamento proprio su questa materia. Quella Proposta di legge intendeva introdurre in Italia una strategia per la prevenzione dei fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell’estremismo jihadista, nonché programmi di formazione ed informazione rivolti alla la società civile e alle istituzioni, comprese le istituzioni scolastiche e carcerarie.

Tra le novità più rilevanti che erano state presentate figuravano: l’istituzione del Centro Nazionale sulla Radicalizzazione (CRAD) presso il Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione del Ministero dell’Interno, incaricato di elaborare annualmente il Piano Strategico Nazionale di prevenzione dei processi di radicalizzazione e adesione all’estremismo di matrice jihadista e di recupero dei soggetti coinvolti nei fenomeni di radicalizzazione e l’elaborazione del Piano Strategico Nazionale, per definire i progetti, le azioni e le iniziative da realizzare, anche prevedendo l’adozione di strumenti legati all’evoluzione tecnologica e la promozione di progetti pilota o di poli di sperimentazione per l’individuazione delle migliori pratiche di prevenzione.

Inoltre l’Istituzione dei Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione (CCR) presso le e anche l’Istituzione del Comitato parlamentare per il monitoraggio dei fenomeni della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista in diversi ambiti (scuole, ospedali, carceri, luoghi di accoglienza e detenzione amministrativa dei migranti), e l’analisi del rapporto semestrale redatto dalla Polizia Postale e delle comunicazioni relativo alle attività di propaganda e diffusione sul web di idee estreme tendenti al terrorismo violento di matrice jihadista.

Ma parte non meno importante, un ampio programma di Formazione specialistica (anche per la conoscenza delle lingue straniere), diretta a fornire elementi di conoscenza anche in materia di dialogo interculturale e interreligioso del personale di forze di polizia, personale scolastico e socio-sanitario oltre all’Elaborazione delle Linee guida sul dialogo interculturale e interreligioso da parte dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura, finalizzate a diffondere la cultura del pluralismo e a prevenire episodi di radicalizzazione in ambito scolastico, e adottate con decreto del Ministro dell’istruzione.

Ovviamente un programma simile avrebbe avuto bisogno del tempo di risorse ecnomiche, dedicate allo Stanziamento di fondi in favore delle istituzioni scolastiche per assicurare l’accesso dei docenti e degli studenti a iniziative di dialogo interculturale e interreligioso con docenti e studenti di altri paesi, il potenziamento delle infrastrutture di rete e l’istituzione di specifici programmi di contrasto dell’odio on line, ma anche il Finanziamento di progetti di formazione universitaria e postuniversitaria previsti e organizzati da accordi di cooperazione tra università italiane e quelle di Stati aderenti all’Organizzazione della cooperazione islamica.

Infine interessante anche la Promozione della realizzazione di un portale informativo sui temi della radicalizzazione e dell’estremismo e dello sviluppo di campagne informative, attraverso piattaforme multimediali che utilizzino anche lingue straniere e in partnership con soggetti pubblici o privati.

Queste proposte potrebbero essere intanto una prima base per ripartire nel confronto su questo tema, anche nel nostro paese, alla luce delle recenti evoluzioni di queste genere di minacce.


Immagine tratta dal sito Camera.it

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