La bomba di Hiroshima e l’inizio dell’era nucleare

Sono passati 75 anni dallo sgancio della prima bomba nucleare tattica della storia. Dalla Guerra Fredda ad oggi, la corsa agli armamenti nucleari non si è mai fermata.

Il 6 agosto del 1945, alle 8.15 del mattino, la percezione che il mondo aveva fino a quel momento della parola “sicurezza” cambiava per sempre. La seconda testata nucleare della storia viene sganciata su Hiroshima. La prima, chiamata “The Gadget”, era esplosa neanche un mese prima nel primo ed unico test di Alamogordo: non solo la tecnologia funzionava, ma il suo potere distruttivo era di molto superiore a quello ipotizzato.

Kyoto, Hiroshima, Niigata, Kokura e Nagasaki. Si parla, in ordine sparso, della lista preliminare di potenziali obiettivi identificati dagli Stati Uniti per il primo bombardamento nucleare tattico della storia. I motivi alla base della scelta di colpire un obiettivo civile urbanizzato, piuttosto che un obiettivo militare di rilievo, richiederebbero un articolo a parte. Comunque, una breve panoramica.

In primo luogo nel Progetto Manhattan (nato qualche anno prima) erano già stati investiti miliardi di dollari (una trentina al cambio attuale) ed impegnate 130.000 persone. Uno sforzo immane in termini di soldi, braccia e cervelli, che in neanche un decennio aveva portato l’ingegneria nucleare dal concepimento, alla nascita (con la pile-1 del nostro Enrico Fermi alla Columbia University, nel 1942) fino alla maturazione con la produzione, lenta e macchinosa, dei primi tre ordigni. Gli Stati Uniti tra l’altro nel giugno del 1945 uscivano vittoriosi, seppur profondamente feriti, dalla lunga e sanguinosa battaglia di Okinawa: praticamente il D-Day del Pacifico, con di fronte però un popolo che alla sconfitta preferiva azioni kamikaze e suicidi rituali (anche i civili). Poi c’è la motivazione più banale e probabilmente maggioritaria: colpire obiettivi civili è – purtroppo – alla base delle guerre moderne. Colpire un obiettivo civile per fiaccare il morale del nemico e logorare le sue capacità logistiche ed infrastrutturali. Il Giappone era già da almeno un anno regolarmente bombardato su tutte le principali città (Tokyo era stata praticamente rasa al suolo qualche mese prima), indipendentemente dalla presenza di obiettivi militari. Proprio in Giappone verrà fatto un uso intensivo di bombe incendiarie che, per quanto non “canoniche” per i bombardamenti dei centri urbani, si rivelavano particolarmente adeguate nel Sol Levante caratterizzato da un’architettura residenziale principalmente basata sul legno.

Tornando alla lista. Contrariamente – e magari ripensando – a quanto successo a Dresda, ridotta in cenere nel febbraio precedente con tutta la sua storia, arte e cultura in uno dei bombardamenti più intensi ed indiscriminati del fronte occidentale, in seconda battuta si decide di depennare Kyoto, antica capitale e polo culturale del Sol Levante. Il 25 Luglio 1945 il governo degli Stati Uniti, nella persona del Generale Thomas T. Handy (e con la decisa approvazione del Presidente Truman), autorizza il Generale Carl Spaatz (a capo delle forze aeree strategiche nel Pacifico) ad usare l’arma atomica citando espressamente “la lista” rimaneggiata, con selezione dell’obiettivo a discrezione dei militari ed in relazione alle condizioni meteorologiche, a partire dal 3 agosto. Il 6 agosto decollano a brevi intervalli l’uno dall’altro tre velivoli: Great Artist (velivolo in avanscoperta), Enola Gay (armato con la bomba: Little Boy) e un terzo (ribattezzato poi Necessary Evil), dedicato alla raccolta di materiale multimediale post-bombardamento. L’obiettivo principale è Kokura, ma il destino decide di salvare la città ed i suoi abitanti coprendola con una fitta coltre di nubi. La seconda scelta è Hiroshima. Il resto è storia. Tre giorni dopo l’azione si ripete e viene sganciata la bomba Fat Boy, stavolta su Nagasaki: Kokura era ancora protetta dalle nuvole.

Sulla necessità o meno di usare la bomba nell’ottica di concludere la guerra ed evitare ulteriori perdite, probabilmente non si troverà mai un’interpretazione condivisa. Ciò su cui praticamente tutti concordano è che il 6 Agosto del 1945, con Little Boy, comincia la Guerra Fredda. La Seconda Guerra Mondiale lascia in eredità, tra le altre cose, l’ingegneria nucleare e la tecnologia radar. Entrambe le tecnologie troveranno vaste applicazioni sia civili che militari, ma solo la prima diventerà simbolo dell’equilibrio tra superpotenze.

Già nel 1949 l’Unione Sovietica effettua il suo primo test nucleare. A seguire Inghilterra, Francia e Cina tutte prima del 1970, e poi India, Pakistan, Corea del Nord e Israele. Nel 1986 si contano nel mondo poco meno di 70000 testate nucleari; nel 2020, per quanto si sia smesso da tempo di scavare bunker anti-atomici guardando preoccupati l’orologio della fine del mondo, ce ne sono ancora circa 23000. Pericolo scampato? Probabilmente no.

Chi sperava che i rischi della guerra nucleare fossero passati con il crollo del Muro di Berlino, si sta accorgendo soprattutto in questi ultimi anni di tensioni geopolitiche crescenti che il problema esiste, è in crescita ed è soprattutto frutto del tempo di incertezze nel quale viviamo. L’equilibrio durante la Guerra Fredda per quanto angosciante e basato sul concetto di sicuro annientamento, era comunque un equilibrio. A trent’anni dalla caduta del Muro è possibile affermare che, differentemente rispetto ad altri settori, nel contesto nucleare, nonostante i numerosi tentativi di disarmo globale, non si è mai arrivati ad un nuovo equilibrio sostanziale. Il mercato nero di materiale fissile si è esteso di pari passo con la disgregazione dell’Unione Sovietica e le nazioni dotate di armi nucleari hanno superato la decina, spesso in aperta contrapposizione geopolitica tra loro. Si stima che allo stato attuale siano circa 40 le nazioni nel mondo provviste di tecnologia e risorse necessarie per produrre ordigni nucleari. Aree geopolitiche come il Medio Oriente (Israele è probabilmente provvisto di testate nucleari, l’Iran sta facendo di tutto per fare lo stesso) o il 38°esimo parallelo (la Corea del Nord dal 2003 con l’uscita dal Trattato di Non Proliferazione ha reso ben chiari i suoi propositi in tal senso)  sono destinate ad essere condizionate dal rischio nucleare in maniera importante nei prossimi anni. Tutto perché, da Hiroshima in poi, nonostante i numerosi tentativi di disarmo, la corsa al nucleare non è mai davvero finita.

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