Da Washington a Bruxelles, la svolta ecologica di Biden

L’analisi di Alessandro Savini per la newsletter di Formiche.net e Europa Atlantica, pubblicata anche su Formiche.net

L’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca ha portato ad una netta inversione di tendenza, rispetto al suo predecessore, relativamente al dossier del climate change, definito una vera e propria “minaccia esistenziale” dai principali documenti strategici rilasciati dall’Amministrazione democratica – l’Interim national security strategic guidance e l’Annual threat assessment su tutti – e dallo stesso presidente, per il quale gli Stati Uniti vogliono tornare a giocare un ruolo cruciale. L’istituzione di una figura come l’inviato speciale per il clima, inserita all’interno del National security council e ricoperta dall’ex segretario di Stato John Kerry, ne è una chiara prova che riflette la reale attenzione da parte dell’amministrazione Biden nel voler affrontare le tematiche relative al clima come una questione prioritaria sia per la sicurezza nazionale americana sia per quella globale.

Sin dalla sua campagna elettorale, infatti, Biden è stato molto chiaro riguardo alla sua volontà di guidare uno sforzo tanto nazionale quanto internazionale. Tale volontà è emersa esplicitamente nel suo piano articolato in quattro punti fondamentali: il raggiungimento delle emissioni nette zero entro il 2050; la costruzione di una nazione più forte e resiliente attraverso investimenti in infrastrutture intelligenti affinché gli edifici, l’acqua, i trasporti e le infrastrutture energetiche possano resistere agli impatti del cambiamento climatico; la cooperazione con partner, alleati e competitor (Cina e Russia su tutti) e le azioni legali contro le società di combustibili fossili e altri inquinatori che danneggiano consapevolmente l’ambiente.

Una volta entrato in carica, Biden ha intrapreso una serie di iniziative con l’obiettivo di smantellare le politiche del suo predecessore tra cui la firma di una serie di exectuive orders volti non solo al rientro nell’Accordo di Parigi sul clima – definito da Donald Trump “un disastro totale” che avrebbe pesato sulla competitività degli Stati Uniti – ma anche all’adozione di un approccio intergovernativo nei confronti della crisi climatica, alla ricostruzione delle infrastrutture per un’economia sostenibile, alla rivitalizzazione delle comunità energetiche e al riconoscimento del climate change come priorità di sicurezza nazionale. Tali azioni segnalano senza dubbio una mutata retorica da parte dell’amministrazione democratica che fa del ripristino della leadership americana e della cooperazione multilaterale elementi fondanti della propria azione internazionale. In tal senso, il dossier del cambiamento climatico rientra appieno in questo tipo di approccio che, come affermato nell’Interim national security strategic guidance – documento che, seppur provvisorio, traccia le linee guida della politica estera e di sicurezza che adotterà Washington – è volto a riguadagnare la propria leadership all’interno delle istituzioni internazionali e, dunque, a guidare la comunità internazionale in uno sforzo comune contro la crisi climatica.

Con il viaggio di Kerry in Asia – dove ha avuto l’occasione di confrontarsi con i rappresentanti di Bangladesh, Cina e India per avviare una più stretta collaborazione in materia di politiche ambientali e lotta al cambiamento climatico – e con l’organizzazione del Leaders summit on climate, che ha visto la partecipazione di quaranta leader politici con il fine di ottenere nuovi impegni sul clima e di facilitare il percorso verso la COP26 di Glasgow, gli Stati Uniti sono scesi ufficialmente in campo per affrontare in maniera decisa ed efficace la questione climatica. Il tour asiatico dell’inviato speciale per il clima ha dato esito positivo per la cooperazione ambientale tanto desiderata dal presidente Biden soprattutto con la Cina. Lo stesso Kerry, infatti, al termine del meeting con il proprio omologo cinese Xie Zhenhua, ha riconosciuto che sarebbe “impossibile risolvere la crisi climatica senza una stretta collaborazione con Pechino”. Tutto ciò è stato riconosciuto anche con una dichiarazione congiunta pubblicata a margine dell’incontro tra i due, nella quale si sottolinea che sia gli Stati Uniti che la Cina si impegneranno in uno sforzo comune per contrastare il cambiamento climatico attraverso ogni possibile fora multilaterale.

Di grande successo è stato anche il Summit sul clima, durante il quale i principali leader politici hanno riaffermato la propria volontà di perseguire uno sforzo comune contro la crisi climatica. Il vertice, in questo senso, ha dato un grande segnale di come Washington voglia rivitalizzare la propria leadership globale. Nel suo intervento Biden, oltre a ribadire l’impegno americano nel raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, ha annunciato di voler tagliare del 52% le emissioni di anidride carbonica entro il 2030 sottolineando, però, come ci sia bisogno di un approccio globale visto che gli Stati Uniti rappresentano meno del 15% delle emissioni mondiali. Questione climatica però significa anche occupazione. Non a caso, il presidente democratico ha evidenziato come la risposta climatica americana possa essere un vero e proprio motore di creazione di posti di lavoro. Il recente investimento nelle infrastrutture e nell’innovazione proposto da Biden sarà un’occasione unica per sfruttare le opportunità economiche che il cambiamento climatico presenta ai lavoratori e alle varie comunità americane.

Il cambiamento climatico però ha dei risvolti importanti anche per le questioni di sicurezza. Non a caso, al Leaders summit on climate erano presenti anche il segretario di Stato Tony Blinken, il segretario della Difesa Lloyd Austin, il direttore dell’Intelligence nazionale Avril Haines e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. L’Alleanza da tempo riconosce il dossier climatico come una questione urgente per la sicurezza internazionale che comporta una necessaria revisione strategica. In questo senso, il ruolo della riflessione Nato2030 è proprio quello di rendere l’Alleanza più efficace nell’affrontare le sfide dell’oggi e del domani, tra cui proprio il climate change.

Dal lato americano, sia Blinken che Austin – e questo non solo durante il vertice – hanno più volte definito la crisi climatica come una “forza profondamente destabilizzante per il nostro mondo”: ad esempio, lo scioglimento dell’Artico rischia di aumentare la competizione per le risorse e l’influenza nella regione così come le temperature in aumento e gli eventi meteorologici estremi più frequenti ed intensi in Africa e in America centrale hanno la capacità di minacciare milioni di persone portando a siccità, fame o anche migrazioni di massa, elemento quest’ultimo che renderebbe le famiglie in cerca di sicurezza e protezione più “vulnerabili allo sfruttamento e alla radicalizzazione”.

A sostegno delle tesi di Blinken, Austin e Stoltenberg è intervenuta anche Haines che ha sostanzialmente riportato quanto rilevato dalla comunità di intelligence nazionale nell’Annual threat assessment da poco pubblicato. Nel documento si afferma espressamente che gli effetti del cambiamento climatico porteranno ad un insieme di minacce dirette ed indirette tra cui rischi per l’economia, una maggiore volatilità politica, lo sfollamento umano e una maggiore competizione geopolitica per i prossimi decenni, già rintracciabile nella regione artica. Il Dni ha poi sottolineato che tale dossier, per essere affrontato al meglio, deve essere parte integrante del dibattito sulla politica estera e di sicurezza americana, così come più volte suggerito da Biden.

Quanto fatto dall’amministrazione Biden in questi primi cento giorni dimostra, come sottolineato anche nei primi discorsi e nei principali documenti strategici, la reale volontà da parte di Washington di promuovere nuovamente e di ripristinare il proprio ruolo guida all’interno dei consessi internazionali. I recenti avvenimenti in campo climatico ed ambientale dimostrano chiaramente che gli Stati Uniti sono sulla strada giusta. Il rilancio della leadership americana passa anche per il clima.

Alessandro Savini, Centro Studi Geopolitica.info

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