La liberazione di Mosul: perché è importante e cosa ci aspetta nella lotta a Daesh

La liberazione di Mosul (Operazione Easgle Strike), annunciata dal Primo Ministro iracheno Abadi ad inizio luglio, è un grande risultato nella lotta condotta sul campo contro Daesh. Un passo importante, che purtroppo non rappresenta ancora la vittoria finale contro il sedicente stato islamico.
Delle tre capitali dell’ISIS in Iraq, Siria e Libia, Mosul in Iraq è stata senza dubbio la città più importante per il “Califfato”, per le sue dimensioni (1 milione e mezzo di abitanti), per il peso economico (vicinanza a bacini petroliferi) e la collocazione geografica (la zona più fertile dell’Iraq).

Nella moschea più importante della città, Abu Bakr al-Baghdadi, il 29 giugno 2014, proclamò lo Stato Islamico, e con ogni mezzo negli ultimi 3 anni e 8 mesi ha tentato di difendere la roccaforte dell’ISIS nella valle del Tigri. Qui, nella Prigione di Badoush, Daesh ha condotto il maggior numero di esecuzioni di massa della sua storia. Ora la liberazione di Mosul segna un nuovo inizio sotto diversi punti di vista.

IRAQ

Ripercorrere la crisi irachena richiederebbe un impegno storico che è difficilmente riassumibile in poche righe. Per quanto riguarda gli anni a noi più recenti la nascita ed espansione dello Stato Islamico dall’Iraq nord-occidentale ha rappresentato la più pericolosa minaccia all’esistenza e alla stabilità dell’Iraq, provocando decine di migliaia di feriti e vittime, milioni di profughi, la distruzione di infrastrutture pubbliche e private, siti archeologici, e quanto di drammatico la guerra comporta. Un susseguirsi di dinamiche che hanno risvegliato e aggravato ferite profonde, intestine, nella società irachena, di derive settarie, divisioni etnico-religiose che hanno finito per legarsi anche alle vicende drammatiche della crisi in Siria.

INTRECCIO COL CONFLITTO SIRIANO.

Dal controllo del Tigri e dell’Eurfrate, i due più grandi fiumi della Mesopotamia, dipende, inoltre, il sostentamento e le condizioni igenico-sanitarie non solo dell’Iraq ma anche della Siria. Tagliare il fabbisogno alimentare verso il Sud sciita e, dunque, i collegamenti con la Siria, diveniva per il Califfato motivo per contendersi l’unica falda acquifera produttiva e dunque espandere il dominio nel Paese limitrofo. Ma l’intreccio con i destini della Siria passano anche dal fatto che è stato proprio approfittando della guerra civile siriana che Daesh ha potuto rafforzarsi e rilanciare se stesso, fino a riuscire a costruire una realtà statuale convenzionale, il sedicente Stato islamico, di diventare un simbolo e una meta per i radicali islamisti di tutto il mondo fino a contendere ad al Qaeda la leadership globale del campo jihadista. Proprio nello scontro interno siriano tra maggioranza sunnita e minoranza alauita, i gruppi jihadisti e salafitihanno acquisito sempre maggior influenza, divenendo, sì, importanti settori dell’opposizione anti-Assad, ma complicando anche un conflitto che in questi ultimi 6 anni è divenuto sempre più complesso per la molteplicità degli interessi in gioco e per l’estrema frammentarietà in cui versa il Paese. Pertanto, anche dal futuro della guerra in Siria, dalle vicende regionali e da ciò che resta di Daesh anche in Siria passerà la possibilità della sua sconfitta.

Il POST MOSUL Dal punto di vista di vista locale, in Iraq, la liberazione di Mosul comporta un nuovo impegno militare ma anche organizzativo. Non va, infatti, dimenticata la necessità di liberare le zone di Tal Afar e Hawija e una striscia di confine siro-irachena nell’Anbar, nonché evitare di sottovalutare l’eventualità di cellule terroristiche residue dello Stato Islamico e, dunque, il bisogno di non diluire il controllo – soprattutto capillare – della regione. Non è, infatti, da escludere che Daesh, non avendo più le risorse finanziarie e militari per portare avanti il progetto del Califfato, torni al modus operandi iniziale, ripristinando pratiche e dinamiche più clandestine.

Dal punto di vista militare – organizzativo, il CTS (Counter-Terrorist Service) iracheno, ovvero le unità addestrate dagli americani, hanno subito delle perdite sul campo, quindi saranno necessari nuovi finanziamenti – dai paesi partner- per l’addestramento delle forze locali negli anni a venire e garantire il successo delle varie operazioni di supporto alla stabilizzazione dell’area di crisi. Emerge, infatti, una maggiore propensione dello stato islamico agli attacchi a distanza rispetto alle operazioni suicide, pertanto è necessario il rafforzamento delle competenze del CTS e della Polizia Federale per far fronte a queste capacità ed evitare il riemergere delle strategia di guerriglia delle bandiere nere.

Al gap numerico militare si associa il riposizionamento e un non facile coordinamento tra più attori sul terreno: i peshmerga curdi – che hanno contribuito alla vittoria di Mosul- il PMF (Popular Mobilization Forces) – che con una partecipazione di membri sciiti, integrati a sunniti e yazidi, si colloca principalmente al confine tra Iraq e Siria non è stato coinvolto nella battaglia di Mosul per evitare ambizioni indipendentiste curde- le Forze Armate irachene, il CTS, la polizia federale. Questa convivenza, alla quale si aggiunge quella tra le diverse comunità del Paese, e che fino ad ora è stata possibile anche grazie al fatto che Daesh costituisse un collante come una minaccia comune (come nel caso siriano), fa emergere l’ulteriore problematica della presenza di più attori sul campo in un contesto di contrapposizioni anche regionali incerte e variabili: se da parte russa e statunitense si ipotizzano trattative per sospendere le ostilità nella regione di Homs e Damasco, dall’Iran potrebbero giungere investimenti per la ricostruzione ­­dell’ex roccaforte dell’ISIS, Mosul, mentre non si esclude un’offensiva antiterrorismo al confine con la Siria da parte degli Hezbollah libanesi.

COME ORGANIZZARE, QUINDI, IL DOPO MOSUL?

Costruire un percorso inclusivo è senza dubbio il fine ultimo di ogni processo statale, ma anche internazionale e diplomatico, nel momento in cui nell’area si incrociano più interessi. Inoltre, dal punto di vista internazionale, come sopra accennato, la questione irachena non va disgiunta da quella siriana, richiede un’ulteriore analisi del fronte della sicurezza e solleva una serie di interrogativi sul futuro di entrambi i Paesi e dell’intera regione.

Basti pensare che si progetta di collocare ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, il centro operativo dello Syria Reconstruction Trust Fund – ai cui lavori l’Italia  partecipa in qualità di osservatore – deputato all’opera di ricostruzione di infrastrutture e strutture medico-ospedaliere, all’articolazione di un piano di stabilizzazione nella aree prossime alla liberazione di Daesh. Presso la Banca Mondiale, alla presenza dei principali attori coinvolti nel processo di stabilizzazione dell’Iraq, il Governo di Baghdad ha presentato un piano strategico decennale elaborato per l’urbanizzazione, la ricostruzione strutturale, sociale e comunitaria irachena, ma anche per la deradicalizzazione, la lotta alla corruzione, lo sviluppo economico – diversificandolo da quello prettamente petrolifero e rendendolo appetibile anche per il settore privato – e il rilancio commerciale del Paese e una riforma di giustizia, prevedendo l’introduzione di sanzioni per i crimini di guerra contro l’umanità.
Senza dubbio, va ripetuto, che una onnicomprensiva – e costante – ripresa dell’Iraq passa dalla messa in sicurezza del Paese.

COALIZIONE ANTI-ISIL E CONTRIBUTO DEL CONTINGENTE ITALIANO (OPERAZIONE PRIMA PARTHICA)

Anche l’Italia, con il suo valido contingente, è il secondo Paese più importante della Coalizione Internazionale contro l’ISIS; ha contribuito dal 2014 e contribuisce ad una serie di attività. Esse vanno dal supporto umanitario, all’addestramento delle Forze di sicurezza locali, anche forze speciali, curde (Bulding Partner Capacitycoordinato dal Kurdistan Training Coordination Center – KTCC – il cui comando è affidato semestralmente all’Italia  ad Erbil) ed irachene, (Counter Terrorism Service – CTS appartenenti al Ministero della difesa e Iraqi Federal Police a Baghdad, dove è attiva una Task Force Carabinieri, e Kirkuk), nonché all’assistenza dei comandi della Coalizione e all’assistenza dei comandi della Coalizione e formazione delle istituzioni centrali e ministeriali irachene, alla fornitura di materiale di armamento e rifornimento aereo, raccolta informativa (ISR), ricognizione, counter-IED, anti-cecchinaggio sorveglianza, valorizzazione delle attività delle cellule Intelligence (Task Group Black Cats). Su un totale di circa 107mila addestrati da altri 64 paesi e 3 organizzazioni internazionali nella cornice della Coalizione multinazionale anti Daesh, l’Italia ha complessivamente addestrato circa 26mila uomini.

LA DIGA DI MOSUL In una regione nella quale il controllo delle risorse idriche soprattutto in estate è pari all’importanza di quello petrolifero, di particolare rilevanza è l’aggiudicazione dal 2 marzo 2016 dei lavori di risanamento e messa in sicurezza della diga di Mosul sul fiume Tigri ad opera della ditta italiana “Trevi” . Si tratta di una attività infrastrutturale strategica per l’approvvigionamento idrico della zona, per la quale il nostro Governo, in accordo con le autorità irachene, ha messo a disposizione una Task Force Praesidium di circa 500 uomini per condurre dapprima sopralluoghi tecnico-logistici e poi procedere con la protezione dell’impianto e del personale italiano che vi opera.

RADICALIZZAZIONE L’aspetto ideologico, infine, non va sottovalutato.

L’espansione di Daesh oltre i suoi confini territoriali, in particolare in virtù della forte presenza mediatica, conferma l’impellenza di non abbassare la guardia anche nelle nostre città e nei nostri territori, come in tutti i paesi dell’area Medio Orientale, dove il problema della radicalizzazione jihadista è certamente molto presente. La lotta contro la minaccia jihadista, anche dopo un’eventuale confitta sul campo di Daesh, purtroppo dovrà continuare ancora, perché la sua minaccia, soprattutto grazie alla sua presenza sul web e al numero di simpatizzanti diffusi anche in Occidente, potrebbe non esaurirsi subito e, anzi, necessitare di strumenti legislativi di prevenzione, e non soltanto di tipo militare e repressivo. Anche per questo motivo è importante lavorare per rafforzare la collaborazione e il coordinamento tra i paesi coinvolti in questa lotta, anche per rendere le legislazioni di contrasto sempre più omogenee tra di loro. Ed è particolarmente importante dare seguito alle iniziative, anche sul versante della prevenzione del fenomeno, che il nostro paese sta prendendo riuscendo ad approvare presto al Senato la proposta di legge, presentata insieme all’On. Dambruoso e approvata alla Camera, che introduce specifiche misure di prevenzione alla radicalizzazione in Italia. Si tratterebbe di un passo importante che renderebbe l’Italia un paese all’avanguardia sia nel campo della repressione che della prevenzione del terrorismo jihadista. Si tratta di misure condivise anche sui territori di crisi dove si stanno ipotizzando strutture di rieducazione psicologica e ideologica per i radicalizzati e le rispettive famiglie.

Tornando alle realtà locali in cui la battaglia è combattuta, con non poco dispendio, ancora oggi anche sul campo e dove, nonostante la vittoria di Mosul e l’assedio di Raqqa, Daesh rappresenta ancora oggi un serio pericolo anche dal punto di vista territoriale e convenzionale. L’obiettivo, debellato il pericolo terroristico sul campo, e sconfitto quello che resta del “Califfato”, potrebbe diventare quello di collaborare affinché la “Coalizione Globale anti-ISIS” si converta presto in una “Coalizione Globale di ricostruzione, unificazione e democrazia irachena”, e davvero globale, capace di tenere conto di tutti i vettori di cui Daesh si è servito per espandersi, per pacificare una società divisa e ferita da lunghi anni di guerra e rilanciare lo sviluppo umano, economico, sociale di quell’area del pianeta.

L’Italia può continuare a dare un grande contributo, come dimostra il lavoro fatto fino ad oggi e come il nostro impegno internazionale e le missioni in cui siamo coinvolti attestano quotidianamente.

Per approfondire:

The Global Coalition website 
IRAQ una TASK FORCE civile e militare per la sicurezza della diga di MOSUL – Ministero della difesa 
The Iraqi Counter Terrorism Service – Brookings 
Country Reports on Terrorism 2016- Us Department of State 
Iraqi Army Retakes Government Complex in Central Ramadi
Iraq: sconfitto l’Isis, i rischi restano- Affari Internazionali 
La crisi siriana: Il fronte orientale e le incertezze politiche della stabilizzazione- Ce.s.i. 
Lo Stato Islamico oggi -ISPI

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