Missioni internazionali e sicurezza regionale: le ragioni dell’impegno italiano in Niger

Solo prestando attenzione alle dinamiche geopolitiche sulla base delle quali si articola la politica estera e di difesa di un Paese e allo scenario internazionale si può meglio comprendere come perseguire la strada degli interessi nazionali, sempre garantendo il rispetto del diritto internazionale.

Su questa base, gran parte delle analisi che abbiamo cercato di tracciare in questi anni ha riguardato il tema che più ha caratterizzato le recenti vicende globali, ovvero la nascita ed evoluzione del fenomeno terroristico di Daesh. Ebbene, proprio ora che nel corso del 2017 è stato registrato un grande successo della coalizione globale anti-Daesh, nella quale l’Italia si è distinta in qualità di secondo contingente, è necessario non sottovalutare il lavoro compiuto né tantomeno pensare di averlo concluso. La presa di Mosul e le battaglie vinte sul terreno contro Daesh, come più volte abbiamo detto, non segnano, infatti, la sua sconfitta definitiva né del terrorismo. È per questo motivo che il nostro Paese continua senza sosta nelle attività di contrasto di questo fenomeno e dei fenomeni che ad esso si intrecciano, agendo sia sul piano nazionale, grazie ad un incessante lavoro del Ministero dell’Interno, guidato da Marco Minniti, di concerto con il Ministero della Difesa, guidato da Roberta Pinotti, sia continuando sul piano dell’impegno nelle missioni internazionali. Ed è per questo motivo che a fine dicembre il nostro Presidente del Consiglio ha annunciato una prossima missione nella Repubblica del Niger.

L’interesse italiano per l’Africa deriva da ragioni prima di tutto di prossimità geografica e si è col tempo accresciuto nella consapevolezza che le principali sfide attuali e future tendano a cristallizzarsi lungo la parte settentrionale e centrale del continente.

Un anno fa più nello specifico veniva approvato all’unanimità a Roma il rapporto da me diretto sulla espansione di Daesh in Libia e nell’Africa settentrionale (rileggi il rapporto).

In un quadro regionale estremamente complesso, gli accordi bilaterali e i consessi internazionali nei quali il Governo Gentiloni ha recentemente consolidato le relazioni con i paesi del Nord Africa e del Sahel evidenziano la consapevolezza italiana del nesso tra sviluppo e sicurezza, che funge da matrice nelle attività di contrasto dei traffici illeciti e dei flussi migratori irregolari che transitano dal Sahel, e dal Nigerin particolare, per raggiungere la Libia e quindi le coste italiane. È in questo scenario di fragilità, depressione dell’economia legale e di precarie condizioni di sicurezza che l’Italia non cessa di apportare il proprio contributo di pace e sicurezza.

NIGER: TERRA DI TRANSITO. Il fenomeno migratorio da e attraverso il Niger presenta caratteri secolari che necessita di essere inquadrato in un’ottica intrecciata di posizione geograficacondizioni climatiche, avvenimenti storici(pre e post coloniali) e tradizioni culturali (reti etniche, tribali e di parentela). Il Niger è paese di transito per i migranti che da Ghana, Togo, Benin attraversano il confine con il Benin, da quelli arrivati in e dalla Nigeria, ma anche dal Camerun, Senegal, Gambia, Mali, Guinea, Sierra Leone, Liberia, Costa d’avorio attraverso il Burkina Faso. Le cause comuni sono spesso quelle economiche, accesso ai servizi, guerre e insicurezza, e gli stessi nigerini si uniscono a questi flussi migratori per le medesime ragioni che in passato trovavano nell’alternanza delle stagioni il principale motivo. Teoricamente i protocolli regionali regolano il libero movimento dei cittadini, come nel caso dei paesi che appartengono alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), ma la difficoltà di procurarsi documenti validi e, nella maggior parte dei casi, le difficoltà economiche possono rendere i bisognosi di transito vittime di chi sfrutta illegalmente le falle nei sistemi di controllo. Storicamente, quindi, il territorio nigerino ha costituito anche il cuore strategico del corridoio transharariano dei migranti irregolari, che dopo la caduta del regime di Gheddafi nel 2011, ha accresciuto la sua importanza economica e politica, con profitti che superano quelli del narcotraffico e del contrabbando di armi, e con picchi che raggiungono le 330,000 persone all’anno.

LA RETE AFRICANA. L’aggravarsi della composita realtà libica e la mancanza di efficaci controlli territoriali da parte delle istituzioni statali ha agevolato negli ultimi anni la diffusione e l’insediamento nella regione del Sahel, nello specifico nel Nord del Mali e nelle regioni di Tillabery e Tahoua in Niger, dei gruppi terroristi e delle reti dei contrabbandieri transfrontalieri di stupefacenti, petrolio, risorse naturali, armi ed esseri umani. Tramite il Sud-ovest della Libia, il Fezzan, incrocio regionale che collega la Libia meridionale con il Sahel, il confine più poroso si è confermato quello nigerino lungo due passi: la zona di Fort Madama, attraverso cui transitano le rotte dei migranti subsahariani in direzione Toummo, Wigh, Qatrun e Sebha (in Libia) e verso la costa libica settentrionale; il Passe de Salvador che attraversa nel Nord del Niger il deserto del Ténéré du Tafass parallelo al confine algerino e lungo cui transitano armi e droghe, ed è anche usato da esponenti jihadisti – ricordiamo l’algerino Mokhtar Belmokhtar – per il passaggio di truppe tra Mali e Libia.

La presenza di un avamposto militare costruito dai francesi negli anni ’30 a cavallo delle principali rotte del contrabbando nell’area di Fort Madama aiuta a contrastare un giro di vite e affari illeciti che incontra una rete di conflitti locali e tensioni etniche e tribali, arabe (come Awlad Suleiman e Qadhadhfa) e non arabe (come Tuareg e Tubu), nelle quali si inseriscono contrabbandieripotenze regionalimercenari e gruppi jihadisti transnazionali.
Appare chiaro, quindi, che stabilizzare la regione cronicamente instabile che si colloca al centro dell’Africa è estremamente impellente per evitare di disperdere ancora nel mercato nero e nell’insicurezza le grandi potenzialità del continente, ed evitare di alimentare indirettamente minacce e insicurezze anche all’Europa e all’Italia.

LA QUESTIONE ECONOMICA. Quella presa in esame è una regione ricca di risorse naturali – petrolio, gas, metalli, falde acquifere sotterranee – nella quale, tuttavia, i vuoti di potere, per via di autorità centrali inesistenti o corrotte, rendono difficoltoso incentivare le forme di economia legale.

Per quanto siano stati registrati risultati positivi nel contrasto alla corruzione, essi risultano praticamente inefficaci (il trend nigerino si attesta ad appena l’1%) e la corruzione resta la minaccia centrale.

Non va dimenticato, poi, l’alto costo sociale e gli elevati rischi politici, legati al crollo delle attività economiche connesse al transito dei migranti e al crescente malcontento della popolazione locale, il sostegno della quale risulta fondamentale nella lotta, ad esempio, contro l’estremismo violento. La gravità del fenomeno terroristico si presenta, infatti, in prossimità dei confini e nelle aree frontaliere con la Libia, il Mali e la Nigeria, più vulnerabili a influenze esterne dovute sempre alla minore presenza statale e dove il legame tra sviluppo e sicurezza appare meno forte. Una cronica minaccia sono, poi, la povertà e la scarsezza alimentare che affliggono un segmento corposo della popolazione.

STRATEGIA SULLE MIGRAZIONI E IMPEGNO DELL’ITALIA. L’adozione di una strategia di sicurezza interna e di una strategia sulle migrazioni è l’obiettivo di numerose collaborazioni tra lo stato del Niger e la comunità europea, che di fatto ha mobilitato significative risorse per assistere il Paese nell’azione di controllo del territorio e contrasto all’immigrazione clandestina. Un dialogo supportato da aiuti allo sviluppo e al bilancio con c.d. progetti ad impatto rapido, tra cui va annoverato il Programma Regionale di Sviluppo e Protezione per il Nord Africa (RDPP) con l’Italia e lo stanziamento da parte del nostro paese di risorse a favore della partnership Ue-Oim (Organizzazione Internazionale per le migrazioni) per il Sahel, funzionale ad effettuare rimpatri assistiti, sostenere centri di transito e promuovere informazioni veritiere tra i migranti. Nei vari consessi internazionali e nelle riunioni bilaterali cui l’Italia prende parte ripetutamente, il riferimento è costante ad azioni volte ad incentivare lo sviluppo economico combinandole alla necessità di fornire alternative economiche sostenibili ai potenziali giovani migranti e alle comunità locali coinvolte, per tristi necessità, nelle economie del contrabbando e nelle ondate migratorie transahariane. L’opera italiana in Africa e nella zona, quindi, muove dalla consapevolezza che qualsiasi azione atta ad affrontarne i problemi si basi su un approccio a 360 gradi, che non sottovaluti le sfaccettature del settore economico-sociale, della sicurezza e di governance, sia inclusivo della realtà locale e coordinato con il governo di riferimento. Nel caso del Niger, lo ricordiamo, si tratta di una richiesta di assistenza ufficiale pervenuta all’Italia da parte del Governo di Niamey.

SICUREZZA E COLLABORAZIONE IN MATERIA DI DIFESA E LA MISSIONE ITALIANA. Questo sistema di aiuti ha inoltre rinvigorito la volontà, da parte nigerina, di contrastare le minacce securitarie e la migrazione clandestina. Pur in un contesto di ristrettezze di bilancio, infatti, dal 2011 il Niger investe oltre il 10% del suo bilancio per la difesa dei suoi cittadini, disponendo ora del terzo esercito nell’area ECOWAS, dopo quello della Nigeria e del Ghana.

La missione italiana e la decisione di condurre funzioni di sicurezza nel Paese arrivano dopo anni di confronto con questa realtà, seguono l’apertura a Niameydella prima ambasciata italiana nel Sahel e la messa in pratica di numerosi tentativi di intervenire strutturalmente a favore della sua stabilità.

La missione, attualmente in fase di ricognizione e che, una volta approvata dal Parlamento, condurrà a supporto della Repubblica del Niger e nell’area geografica che interessa anche Mauritania, Nigeria e Benin, fino a 470 militari entro la fine dell’anno, si configurerà come intervento di natura umanitaria in direzione della stabilizzazione del Niger e, attraverso azioni di addestramento, incremento della capacità operativa delle Forze Armate e di Polizia nigerine nel contrasto al terrorismo e al traffico di migranti, nonché di controllo del territorio, si concretizzerà nella tutela diretta di un interesse italiano di sicurezza.

Non va esclusa, infatti, la possibilità che la crescente influenza dei miliziani islamisti nel Sud fornisca terreno fertile per fare del Niger anche il paese di raccordo principalmente dei superstiti affiliati a Daesh nel continente, potenzialmente alimentando i disordini nel Paese e nella zona, lo sfruttamento illegale del fenomeno migratorio e delle sue risorse, utili a finanziare i piani di destabilizzazione.

Nell’affrontare le difficoltà logistiche che un clima impervio come quello desertico presenta, ma anche le sfide del terrorismo e della criminalità organizzata, l’Italia non sarà sola bensì, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense, affiancherà Stati Unti, Francia, Germania e i paesi del G5 Sahel (Mali, Mauritania, Chad, Burkina Faso e Niger) in una missione internazionale, segno del fatto che gli sviluppi della attuale condizione in cui versa il paese risultano particolarmente sentiti a livello internazionale. Del resto le sfide alla sicurezza acquistano un carattere sempre più transnazionale e per affrontarle è necessario puntare su unità di intenti e strategie condivise. L’Italia per la stabilità propria e regionale è chiamata a fare la sua parte.

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