Fake news e disinformazione nel tempo della guerra ibrida

Da tempo il dibattito pubblico, non solo in Italia, è attraversato quasi quotidianamente dal tema delle fake news. Un tema molto presente e discusso, a volte in modo grossolano. Ormai, sempre più spesso, per screditare un avversario o anche soltanto l’opinione di qualcuno, si accusa di diffondere fake news. Ma in realtà questo tema si collega al più grande e complesso problema della disinformazione e di come certi strumenti, come anche le fake news, possono essere utilizzate e diffuse per condizionare l’informazione.

Purtroppo nel corso degli ultimi anni numerose notizie false, sono state diffuse, e non solo per errore. Si può dibattere e non essere d’accordo sul loro reale impatto, alcuni ne negano persino l’esistenza, ma di certo, la loro diffusione soprattutto grazie al web e ai social networks, non aiuta le persone a informarsi correttamente, in un momento in cui, invece, vivendo immersi in un flusso continuo, invasivo, trabordante di informazioni sarebbe necessario avere notizie sicure e vere. Ma il problema delle fake news, ovvero non solo di notizie false, ma anche manipolate, distorte o ingannevoli, è un pò più vasto e complesso di quanto venga rappresentato, e interessa moltissimo coloro che le diffondono e il perchè della loro diffusione e anche il futuro dei mezzi di informazione, in particolare quelli digitali, che vengono sfruttati per la loro diffusione. Infatti tutto il mondo, grazie soprattutto al motore globale dei social media, si è visto un’esplosione di questo fenomeno, più di quanto si pensi e magari in corrispondenza di alcuni momenti particolari.

Comunque si veda questo problema, che lo si consideri più o meno grave, il tema del reperimento di notizie affidabili e veritiere, in rete ma non solo, è decisivo per il futuro della libera informazione. Soprattutto adesso, in un tempo in cui le notizie, i dati, le informazioni circolano con una rapidità mai conosciuta prima nella storia umana e hanno assunto dimensioni impressionanti. Mentre i costi sempre maggiori di gestione dei media tradizionali hanno reso la loro sopravvivenza stessa sempre più difficoltosa. Pensiamo ad esempio ai costi di una redazione o alle spese e ai rischi degli inviati nelle zone di guerra, un tempo gli unici a raccontare i fatti direttamente dal fronte.

La libertà di informazione però, uno dei pilastri su cui è retta la democrazia moderna. È molto costosa, in termini di risorse economiche e umane, richiede a volte tempi lunghi, di verifica delle informazioni, e anche impegno, serietà, responsabilità da parte dei suoi operatori. Ma senza libertà di informazione, media autonomi e indipendenti, non c’è democrazia. Un principio che vale anche oggi, quando social media e web stanno modificando le nostre vite, i nostri gusti, la cultura di massa, le abitudini sociali, e impongono anche agli organi di informazione di cambiare per stare al passo coi tempi. La contraddizione più eclatante è racchiusa nel fatto che nel mondo aumentano lettori e fruitori di notizie, ma diminuiscono le copie vendute dei giornali. E questo, ovviamente, è noto anche a chi approfitta della galassia digitale dell’informazione per veicolare e diffondere notizie false.

Nella storia, anche recente, falsità e menzogne, notizie manipolate o artefatte, sono state spesso diffuse, con finalità diverse, anche per proteggere segreti o raggiungere determinati obiettivi politici.

Il novecento, secolo della nascita dei grandi mezzi di informazione di massa dalla radio alla televisione a internet, ma anche dei grandi totalitarismi e delle guerre ideologiche, ci hanno insegnato bene quanto sia decisiva la battaglia per l’informazione e l’influenza.

Oggi, nel mondo delle reti e della comunicazione, che è globale e senza confini, chi riesce a condizionare la dimensione informativa con notizie false o manipolate, può provare certamente a prendersi qualche vantaggio importante a discapito dei suoi rivali. Può agire per condizionare l’opinione pubblica del paese avverso o del proprio paese. Può costruirsi una propria immagine, in patria o all’estero, che faciliti poi la sua azione politica e diplomatica. Può colpire avversari, singoli individui, società quotate in borsa, diffondendo notizie costruite ad hoc per offuscarne l’immagine o magari produrgli un danno economico attraverso il condizionamento dei mercati finanziari. Insomma, il tema delle fake news, ma più in generale quello della disinformazione, è davvero un tema serio, e non banale. Da maneggiare con molta cura, perchè interessa anche il più generale tema della libertà di accesso all’informazione e, quindi, la salute più intima della democrazia.

Del resto la fase storica e politica che stiamo attraversando in tutto l’Occidente è particolarmente complicata. Dopo la crisi economica e, nel generale sentimento di sfiducia che circonda le istituzioni politiche e la politica organizzata in genere, si è di fatto prodotto un clima perfetto, nell’opinione pubblica, per la diffusione anche strumentale di notizie false orientate a innescare sentimenti di odio o paura, capaci di approfittare delle fratture sociali presenti ormai da diversi anni nelle nostre comunità. Oppure orientate a descrivere un evento o un fenomeno, magari accaduto in un altro paese, in modo diverso dalla realtà, perchè funzionale ad affermare le ragioni di chi, indirettamente, si vuole difendere o ne vuole approfittare. 

Le fake news possono essere considerate non solo semplici bufale, ma anche strumenti di disinformazione. Sbaglia chi le sottovaluta. Se è vero che stiamo assistendo ad una rinascita, nel nostro tempo, del political warfare, ovvero di quella forma di lotta per l’influenza politica mondiale, non possiamo non tenere bene presente quanto possano avere una loro rilevanza nella lotta e nella competizione globale non solo tra stati, ma anche tra stati e soggetti non statuali. Una lotta che se anche non ha le sembianze di una guerra combattuta sul campo di battaglia con cannoni e fucili, è comunque molto reale e pericolosa. Non ha i tratti dello scontro ideologico dei tempi della Guerra fredda, ma di più quelli di una competizione strumentale per la primazia in un determinato campo, o per un vantaggio economico o semplicemente per la difesa dei propri interessi.

Protagonisti di queste nuove forme di guerra, che alcuni definiscono ibrida, possono essere potenze rivali, ma anche organizzazioni criminali o terroristiche, grandi cartelli economici, ma anche stati di piccole dimensioni o attori non statuali, che puntano ad affermare la propria leadership, magari in una determinata regione del globo, indebolendo quella altrui. Usando anche le fake news, inquinando quindi l’informazione e il dibattito pubblico, approfittano di divisioni e fratture sociali già esistenti e possono mettere in campo una strategia aggressiva fondata sulla disinformazione e l’influenza esterna il cui obiettivo finale diventa la conquista del nuovo centro di gravità nelle moderne guerre ibride: il controllo dell’opinione pubblica dell’avversario. 

Le democrazie occidentali, da questo punto di vista, per le loro caratteristiche intrinseche, per la presenza di uno spazio informativo pubblico aperto, possono prestarsi come obiettivi privilegiati di campagne di disinformazione. Con non troppa fatica, in paesi con milioni di utenti social, milioni di cellulari connessi alla rete e una grande facilità di accesso alla galassia web, si possono diffondere notizie fasulle o sabotate, come si può cercare di conquistare cuori e menti, facendo leva su sentimenti di rancore o invidia sociale o anche più direttamente sull’ignoranza e la paura già presenti. Non è una novità il fatto che propaganda e disinformazione siano da sempre mezzi privilegiati per condurre forme di guerra psicologica e mediatica.

Gli strumenti più usati, afferenti alla dimensione cibernetica e informatica, possono avere un impatto non solo a livello civile, ma anche militare. Le due dimensioni in realtà in questo genere di conflitti si mescolano ed è difficile individuare i rispettivi confini. Anche per questi motivi si tende spesso a considerare il carattere ibrido di questo genere di minacce, che costituiscono a tutti gli effetti un possibile problema di sicurezza nazionale.

Ormai le forme di ingerenza e influenza da parte dei soggetti che possono sfruttare anche le fake news o in generale la diffusione di notizie manipolate e distorte per destabilizzare sistemi politici, facilitati dalla semplicità con cui questi strumenti possono approfittare del web e dalla conflittualità e complessità che caratterizzano la società contemporanea, impongono a noi tutti una seria riflessione. Una riflessione che non riguarda solo la diffusione e la natura di queste notizie false, ma anche i mezzi che vengono utilizzati per essere diffuse e l’impatto che il loro uso, e la rivoluzione digitale, stanno avendo sulla nostra vita e sulle democrazie. Ne va del futuro del nostro sistema liberale e democratico, che grazie alla libertà di circolazione delle idee e delle notizie si è potuto sviluppare, e ne va anche della sopravvivenza di un modello sociale e politico, quello occidentale, dove grazie al libero accesso all’informazione si è potuto garantire benessere economico, sviluppo culturale e sociale. Si tratta di un modello di valori che altri, nel mondo, anche attraverso la conquista dello spazio informativo o il suo inquinamento, potrebbero voler condizionare: sta a noi reagire, senza rinunciare alle caratteristiche proprie della democrazia stessa e della libertà di circolazione delle idee.

Di sicuro, il modo migliore per non cadere vittima delle fake news o più in generale della disinformazione è avere gli strumenti conoscitivi, culturali, personali per poter distinguere, scegliere e capire. Cultura e sapere sono gli strumenti di base per potersi difendere, anche come semplici cittadini. Ma nel mondo immenso della comunicazione globale in cui siamo immersi, non è detto che sia possibile sempre essere in grado, di poter riconoscere una notizia falsa o peggio manipolata. Scienza, educazione e cultura sono essenziali per aiutarci nel vincere questa battaglia, anche per riaffermare i valori democratici sotto attacco, ma potrebbero non essere sempre sufficienti. Basta vedere quanto siano diventate diffuse anche subdole tesi antiscientifiche soprattutto sul web o teorie complottistiche, largamente condivise anche da persone che teoricamente avrebbero tutte le caratteristiche per essere ben educati e formati. Probabilmente serve di più, anche a livello legislativo e politico. Sicuramente occorrono nuove leggi, come a livello europeo si è iniziato a fare, che regolino e tutelino la libertà di circolazione delle idee e delle informazioni e dei dati nel web, e in grado di difendere i cittadini e le loro identità digitali. Ma di fronte a forme di aggressione che possiamo, in alcuni casi, ritenere strategicamente pianificate e con obiettivi politico-economici precisi, occorre una strategia di contrasto alla disinformazione e di contro-ingerenza altrettanto forte, capillare, efficace, messa in campo dai paesi occidentali in modo coordinato e che non può non coinvolgere anche i giganti globali del web.

Del resto si tratta di scelte che interessano direttamente tutti quei paesi che hanno tra le loro caratteristiche fondanti proprio quella di essere sistemi democratici, dove la libertà di informazione e di circolazione delle idee sono capisaldi irrinunciabili. E interessa tutti noi, cittadini di questi paesi e del mondo.

*Enrico Casini è Direttore dell’Associazione culturale Europa Atlantica. Aretino, laureato in Scienze internazionali all’Università di Siena si è perfezionato presso il Corso Executive in “Affari strategici” della LUISS “Guido Carli” di Roma. E’ stato Capo della segreteria del Presidente della Delegazione parlamentare italiana alla NATO. Si occupa di studi strategici, terrorismo, politica internazionale e italiana.

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