Competizione geopolitica e interessi energetici nel Mediterraneo orientale

Nel Mediterraneo si gioca da tempo una sfida geopolitica tra potenze di cui la corsa alle risorse energetiche nella regione è un elemento centrale. La partita turca nel Mediterraneo Orientale tra ambizioni politiche e interessi energetici.  L’analisi di A. Roberta La Fortezza

Negli ultimi giorni è nuovamente cresciuta la tensione tra Grecia e Turchia nella zona del Mediterraneo orientale: il 14 agosto la nave da guerra turca “Kemal Reis”, in scorta alla nave da esplorazione “Oruc Reis” nelle acque al largo di Rodi, e quella greca, “Limnos”, inviata sul posto proprio in risposta alla presenza turca, si sarebbero speronate[1]. Le versioni di Atene e di Ankara in merito ai danni e alle responsabilità ovviamente sono contrapposte e intrise della tradizionale retorica ostile in un contesto in cui i rapporti tra Grecia e Turchia[2], storicamente complessi, sono soggetti a periodiche fasi di riacutizzazione delle tensioni. Gli attriti tra le parti che, ormai ciclicamente, si registrano nelle acque del Mediterraneo orientale presentano le maggiori incognite poiché essi si verificano in un quadrante di estrema rilevanza strategica. Si tratta infatti di un’area caratterizzata dalla presenza di consistenti giacimenti di idrocarburi[3] sui quali tutti i soggetti statali regionali hanno forti interessi e in cui la difficile partita energetica si lega alle più complesse dinamiche geopolitiche, sollevando importanti dilemmi per la sicurezza e l’interesse nazionale di molti degli stati rivieraschi.

Non si tratta, infatti, del primo episodio di tensione che vede coinvolte Ankara e Atene (direttamente o per il tramite delle due entità cipriote[4]) nell’area marittima del Mediterraneo orientale; generalmente le tensioni tra i due paesi si acuiscono in concomitanza con la ripresa delle campagne di esplorazione di idrocarburi nella zona, con l’inizio o lo svolgimento di esercitazioni navali da parte degli attori coinvolti (esercitazioni utilizzate in maniera simbolica da ambo le parti per sottolineare il proprio posizionamento di forza nell’area, lanciando in questo modo un segnale inequivocabile al diretto avversario) o nel momento in cui la Turchia si muove nell’area facendo valere le proprie posizioni in materia di delimitazioni delle Zone Economiche Esclusive (ZEE)[5], e conseguentemente quelle relative allo sfruttamento dei giacimenti, opponendosi agli accordi di esplorazione siglati da Grecia e Cipro con soggetti terzi. È proprio in queste stesse tensioni, ad esempio, che rimase coinvolta nel febbraio del 2018 la nave italiana da esplorazione dell’ENI, Saipem 12000[6].

Negli ultimi anni queste cicliche escalation sono aumentate considerevolmente nella loro frequenza sia in ragione delle importanti scoperte di idrocarburi nel Mediterraneo orientale, sia a causa del crescente interesse e attivismo mostrato della Turchia in tutto il Mare Nostrum nell’intento di ritagliarsi un ruolo primario nella definizione degli equilibri geopolitici regionali. Indubbiamente la politica estera turca in Siria, in Libia e nell’Egeo può essere spiegata facendo riferimento a quello che ormai è comunemente definito il neo-ottomanesimo di Recep Tayyp Erdoğan; altrettanto evidentemente, e del resto in maniera del tutto complementare con la propensione dal sapore imperiale, la strategia di Ankara nel Mediterraneo trova evidenti e crescenti motivazioni anche in fattori energetici. L’attivismo turco nel Mediterraneo orientale si inserisce, infatti, in quello che appare essere l’obiettivo finale e di più ampio respiro[7]: la volontà di Ankara di diventare il principale hub gassifero tra il Mar Caspio, il Mediterraneo orientale e l’Europa[8]. Divenendo un hub energetico, la Turchia non solo potrebbe garantirsi l’accesso alle fonti di energia nel lungo periodo a prezzi stabili (il paese dipende per oltre il 70% dalle importazioni di idrocarburi); ma potrebbe soprattutto convogliare presso di sé gli introiti, le possibilità di guadagno, nonché la disponibilità di valuta estera (tutti elementi fondamentali soprattutto in un contesto di importanti difficoltà economiche) derivanti dalla crescente domanda di gas naturale. La propensione di Ankara a un rafforzamento della propria posizione nel mercato del gas naturale appare evidente se si considera il forte sostegno dato negli ultimi anni al settore gassifero, strutturatosi, tra gli altri, nello sviluppo dei terminali di importazione di Marmara Ereglisi e Aliaga, nell’inaugurazione della più grande unità di liquefazione e rigassificazione al mondo, il Challenger, e nella costruzione da parte della compagnia di stato Botas di una nuova nave la Floating Storage Regasification Unit (FRSU) capace di operare sia dal molo di Dortyol che da un nuovo terminale in fase di sviluppo nel Golfo di Saros. Soprattutto in seguito a tutti questi investimenti, la capacità delle infrastrutture del paese è progressivamente diventata superiore alla domanda interna attuale e prevista. Proprio per questa ragione la Turchia ha come obiettivo quello di aumentare la propria capacità di acquisizione del gas soprattutto per poterlo esportare verso altri mercati. Infine, la posizione di hub energetico centrale nei flussi mediterranei aumenterebbe anche il peso politico-negoziale di Ankara e dunque le sue capacità di condizionare tutte le decisioni relative all’area strategica del Mediterraneo e del Medio Oriente, perseguendo conseguentemente anche il primo obiettivo, quello relativo alla vocazione neo-imperiale.

È nell’ambito di questa strategia turca multivello che devono leggersi non solo l’azione di Ankara con riferimento alla questione delle perforazioni nella ZEE della Repubblica di Cipro e in parte anche le cicliche escalation delle tensioni con la Grecia, ma anche l’accordo del 27 novembre 2019 tra Erdoğan e il Governo di Accordo Nazionale (GAN) di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj. Nel dettaglio, l’accordo ha fissato il confine delle ZEE di Turchia e Libia, comprendendo anche zone marittime che la Grecia, sulla base delle previsioni della United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), aveva in precedenza definito come parte della propria ZEE; inoltre, l’accordo stabilisce un confine tra la ZEE turca e quella libica di alcuni chilometri. Proprio sulla base di tale ripartizione marittima turco-libica, Ankara, da un lato, potrebbe condurre attività di esplorazione anche in zone che non sono riconosciute a livello internazionale come parte della sua ZEE. Dall’altro potrebbe avere con ogni probabilità la possibilità di avanzare degli impedimenti legali in materia di sfruttamento ed esportazione del gas contro gli altri attori dell’area. Tale accordo potrebbe poi essere utilizzato da Ankara per opporsi alla costruzione prevista entro il 2025 del gasdotto EastMed[9]; secondo i progetti tale infrastruttura dovrebbe, infatti, passare per il territorio che tramite l’accordo turco-libico è diventato compreso nella ZEE turca. La firma, a gennaio 2020, dell’accordo tra Israele, Cipro e Grecia per la costruzione dell’EastMed[10] e la scelta di collegare l’infrastruttura dalle coste greche a quelle italiane, ha infatti escluso la Turchia dalla partita del Mediterraneo orientale sia in termini di sicurezza energetica che di potere politico. Sebbene di fatto Ankara difficilmente potrà utilizzare l’accordo con la Libia per bloccare il progetto dell’EastMed, potrebbe però utilizzare il trattato bilaterale per fare pressione sugli altri Stati coinvolti e raggiungere posizioni più vantaggiose in merito allo sfruttamento delle risorse gassifere del Mediterraneo orientale. Ad esempio, soprattutto qualora Ankara in seguito alle sue attività di ricerca dovesse trovare del gas nella zona considerata, potrebbe pretendere di essere interpellata nelle decisioni riguardanti lo sfruttamento energetico del Mediterraneo e soprattutto di essere integrata nel Forum sul Mediterraneo orientale (Emgf)[11].

In ragione della considerevole importanza degli accordi relativi alle ZEE nel contesto del Mediterraneo e dei progetti infrastrutturali nell’area, non appare dunque un caso[12] che l’escalation tra Turchia e Grecia di inizio agosto segua di pochi giorni la firma dell’accordo di demarcazione marittima delle rispettive ZEE tra il governo greco e l’Egitto[13]. Un’intesa, quest’ultima, in contrasto proprio con quella siglata a novembre tra Erdoğan e il GAN libico. 

Tramite una delicata strategia politico-diplomatica e di contestuale “escalation controllata” della forza, dunque, la Turchia potrebbe verosimilmente riuscire a incrementare le opzioni a sua disposizione nell’intento di spingere gli altri paesi ad accettare un suo ruolo politico ed economico in un’area, quella del Mediterraneo orientale, dove gli interessi economici (sia per la possibilità di scoprire nuovi giacimenti sia con riferimento al progetto da 6 miliardi di dollari del gasdotto EastMed) nel breve-medio-lungo periodo sono ad altissima valenza.

Alla strategia turca nel Mediterraneo orientale, non sono estranei neanche obiettivi di mera politica interna: una strategia risoluta e di maggiore forza in materia energetica, con le evidente ricadute economiche che ne deriverebbero, potrebbe infatti essere di supporto alla stessa immagine nazionale di Erdoğan. Sebbene le rivendicazioni marittime della Turchia siano precedenti alla sua ascesa al potere, l’attuale necessità del Presidente Erdoğan di rafforzare la propria posizione interna (ultimamente messa in discussione dalla difficile situazione economica aggravata dall’emergenza Covid-19) potrebbe spingere la Turchia verso un crescente innalzamento della sua propensione al rischio, anche militare, nel contesto della strategia di “escalation controllata” adoperata. In questo senso, dunque, fare presa sul sentimento nazionalista turco appare per Erdoğan la carta più utile per arginare un’eventuale perdita dei consensi interni e una crescita del malcontento nel paese.

A due anni dall’incidente della Saipem 12000, il recente speronamento tra la nave da guerra greca e quella turca, oltre a confermare quanto lo scenario dell’area continui a presentarsi come estremamente delicato, evidenzia anche quanto lo scontro per lo sfruttamento delle risorse marine nella regione potrebbe condizionare i futuri progetti di sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi (con possibili conseguenze sulla sicurezza energetica, soprattutto italiana e più in generale europea, nonché con evidente impatto sulle concessioni già assegnate e sull’attività delle società petrolifere) e in generale l’intera geopolitica dell’area con ricadute anche su quella globale.

A. Roberta La Fortezza


[1] https://www.reuters.com/article/us-greece-turkey-warships/greek-and-turkish-warships-in-mini-collision-defence-source-idUSKCN25A161

[2] Storicamente le relazioni tra Grecia e Turchia sono state caratterizzate da periodi alternati di reciproca ostilità e riconciliazione. Per una brevissima ricostruzione delle loro relazioni bilaterali fin dalla fine dell’Ottocento si v. https://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/collisione-tra-ununit%C3%A0-militare-greca-ed-una-turca-nel-mediterraneo-orientale

[3] A partire dal 2009 quando è stato scoperto il giacimento di gas di Leviathan, a circa 130 chilometri al largo della città israeliana di Haifa, sono state condotte numerose nuove esplorazioni che hanno dimostrato la presenza di immense quantità di gas in tutta l’area. In particolare, al largo delle coste israeliane sono stati scoperti i giacimenti di Tamar, e alcuni minori, tra i quali Dalit e Karish e Tanin. Poi nel 2011 sono sati scoperti nelle acque cipriote il giacimento di Afrodite e Calipso e, infine, la scoperta da parte di ENI nel 2015 dei giacimenti di Zohr e Noor nel 2018, che si trovano all’interno della ZEE egiziana. Altre esplorazioni sono tuttora in corso e potrebbero portare a ulteriori scoperte nei prossimi anni.

[4] L’isola di Cipro è divisa in due entità distinte dal 1974, anno nel quale venne invasa dalla Turchia dopo un colpo di stato filogreco e a partire dal quale la zona nord dell’isola, diventata la Repubblica turca di Cipro Nord (Kuzey Kıbrıs Türk Cumhuriyeti – KKTC) rimane occupata militarmente dalla Turchia. La KKTC non gode dei criteri, effettività e indipendenza, che sulla base del diritto consuetudinario definiscono uno Stato a livello internazionale, né del riconoscimento della comunità internazionale. Soltanto Ankara, infatti, riconosce la parte settentrionale dell’isola come stato indipendente, mentre due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la 541 del 1983[4] https://undocs.org/fr/S/RES/541(1983) e la 550 del 1984[4] https://undocs.org/fr/S/RES/550(1984), hanno sancito l’inesistenza di tale Stato. Proprio in ragione della situazione di tensione esistente tra le due entità, il governo della KKTC, con il supporto di Ankara, contesta la libertà da parte della Repubblica di Cipro di gestire in totale autonomia i giacimenti e le risorse presenti nelle acque limitrofe: qualsiasi nuovo giacimento scoperto nelle acque di Cipro, secondo la linea politica seguita dalla Turchia, andrebbe infatti condiviso con il governo filo-turco al potere nel settore settentrionale dell’isola di Cipro.

[5] La Zona Economica Esclusiva è un’area di mare, adiacente le acque territoriali, in cui uno Stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturaligiurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali o fisse, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino (la disciplina internazionale di riferimento è quella dettata dalla Parte V della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare – United Nations Convention on the Law of the Sea – UNCLOS, anche nota con il nome di Convenzione di Montego Bay). Le ZEE vengono definite sulla base di accordi bilaterali o multilaterali tra gli Stati. Nel bacino del Mediterraneo, dove la distanza tra le coste opposte è sempre inferiore a 400 miglia, numerose sono le contese tra Stati in materia di ZEE. Oltre alla situazione cipriota alla quale si oppone la Turchia (situazione sulla quale ovviamente incide soprattutto la particolare situazione della KKTC), esistono contenziosi, ad esempio, anche tra l’Italia e l’Algeria per la definizione delle rispettive ZEE.

[6] Il 10 febbraio 2018, la piattaforma dell’ENI Saipem 12000 è stata fermata da alcune navi militari turche che le hanno intimato di non proseguire sulla rotta poiché erano in corso attività militari nell’area di destinazione. La Saipem 12000 è stata intercettata mentre si stava spostando nella ZEE di Cipro, dall’area del giacimento di Calypso, nel blocco 6, a quella del blocco 3 dove ENI detiene diritti esplorativi concessi dal governo di Nicosia (ai quali Ankara si oppone). La Saipem è rimasta ferma in alto mare fino alla fine del mese, quando ha poi deciso di abbandonare il settore e dirigersi verso il Marocco.

[7] http://turkishpolicy.com/article/934/the-importance-of-natural-gas-to-turkeys-energy-and-economic-future

[8] Si v. in merito anche lo studio del Peace Research Institute Oslo https://www.prio.org/Publications/Publication/?x=11329.

[9] Il progetto EastMed siglato tra Israele, Cipro e Grecia prevede la creazione di un’infrastruttura di circa 2.000 km per il trasporto del gas scoperto nel Mediterraneo orientale.

[10] https://it.reuters.com/article/topNews/idITKBN1Z10TE

[11] Istituito il 16 gennaio 2019 a Il Cairo, il Forum sul Mediterraneo orientale costituisce una sorta di OPEC del gas nel Mediterraneo.  Ne fanno parte Egitto, Grecia, Cipro, Italia, Israele, Giordania e Amministrazione palestinese. Attualmente Ankara è esclusa dall’Emgf in ragione dell’ostruzionismo di quasi tutti gli altri membri (Egitto, Cipro, Grecia e Israele) che vedono Ankara come un paese rivale.

[12] https://it.euronews.com/2020/08/07/accordo-egitto-grecia-sulle-frontiere-marittime-erdogan-non-ci-sta-e-riprende-le-trivellaz

[13] https://it.euronews.com/2020/08/06/egitto-grecia-c-e-l-accordo-sulle-frontiere-marittime


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