Come il confronto tra USA e Cina determinerà gli equilibri globali. L’analisi del Prof. Moro

A prescindere da chi vincerà le elezioni presidenziali il prossimo 3 novembre, il confronto strategico tra Stati Uniti e Cina determinerà il futuro degli equilibri geopolitici globali. Ne parlano in questa conversazione il Direttore di Europa Atlantica Enrico Casini e il Prof. Francesco Moro, docente di relazioni internazionali all’Università di Bologna

Il risultato delle elezioni presidenziali americane, tra pochi giorni, potrebbe incidere sulle scelte strategiche e politiche del paese, soprattutto rispetto agli alleati e agli altri paesi competitors degli Stati Uniti nell’arena globale. Ma potrebbero anche non produrre più differenze, rispetto al passato, di quanto si creda. Certamente il confronto tra gli USA e la Cina, nei prossimi anni, anche per il rapporto con l’Europa, interesserà da vicino anche il futuro della nostra politica estera. Di questi temi, e delle differenze di strategia tra le amministrazioni del passato e quelle, possibili, del futuro, ne hanno parlato Enrico Casini, Direttore di Europa Atlantica e il Francesco Moro, Professore di relazioni internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna.

Professor Moro, nel corso degli ultimi anni è emersa con sempre maggiore evidenza una nuova competizione tra Grandi potenze, soprattutto tra Cina, Russia e Stati Uniti. In questo contesto è arrivata la pandemia di coronavirus. A suo parere, cosa potrebbe cambiare con questa nuova crisi nei rapporti tra la grandi potenze? 

Mi sento di fare due premesse. Per prima cosa penso che per rispondere a questa analisi occorre avere delle informazioni, sull’evoluzione della pandemia nel mondo, che non abbiamo al momento.  Dipende intanto dalla durata della pandemia: quanto sarà lunga e se avremo presto un vaccino efficace, perché come abbiamo visto anche il tema dei tempi di un possibile vaccino potrebbero non essere indifferenti nell’evoluzione di questa emergenza. Se questa situazione dovesse durare ancora qualche mese potrebbe non avere un’influenza rilevante nelle relazioni tra questi stati. Tanto che anche adesso sembra che siano gli effetti indiretti della pandemia al momento a preoccupare di più, in particolare a livello economico. Se la pandemia si protrarrà nel tempo, e tanto più sarà asimmetrica, nelle sue ricadute, quanto potrebbe avere effetti gravi anche a livello politico tra i diversi stati. Basta guardare i dati economici recenti cinesi e quelli dei paesi occidentali: se questa pandemia dovesse nel tempo cambiare le stime e le grandezze delle principali economie è chiaro che potrebbe avere anche ricadute importanti a livello politico. Seconda premessa, per quanto riguarda le grandi potenze globali, assunta la centralità di Stati Uniti e Cina a livello internazionale, io non credo che la Russia si debba tenere allo stesso livello degli altri due stati, ma vada trattata diversamente. È certamente una grande potenza, soprattutto sul piano militare, e ha un ruolo determinante in molto settori strategici. Rimane poi molto attiva a livello politico e diplomatico internazionale e in particolare in alcune aree geografiche, come il Mediterraneo o l’Asia Centrale o il Medio Oriente. Possiede ancora uno dei due maggiori arsenali nucleari e anche questo è un fattore che favorisce la sua collocazione internazionale, ma ha anche alcuni elementi di fragilità, a livello economico o demografico, per cui mi sento di dire che la Russia non definirà gli equilibri futuri come Cina e USA. A livello regionale conta sicuramente molto, ma a livello globale meno. Se ne deve tenere conto, ma il peso di Cina e Usa è indubbiamente maggiore.

Già prima dell’inizio della Pandemia si parlava di “nuova guerra fredda” tra Cina e Usa. Ma al di là delle semplificazioni giornalistiche, è evidente che a livello strategico gli Stati Uniti già dai tempi di Obama avessero iniziato a guardare sempre di più, con preoccupazione, verso il Pacifico. Quali sono state secondo lei le differenze più rilevanti e gli elementi di continuità tra la strategia di Obama verso il Pacifico e la Cina e quella dell’amministrazione Trump?

Sono d’accordo che ci sia stato un elemento di continuità sul piano geostrategico tra Obama e Trump e credo che si manterrà anche nelle prossime amministrazioni americane a prescindere da chi sarà presidente. Nell’amministrazione Trump l’attenzione verso la Cina e l’Asia è stata molto forte, ma del resto questa attenzione è stata forte anche in passato a partire fin dai tempi della Presidenza Clinton. Sono cambiate le modalità di azione con cui questa attenzione si è sviluppata nel tempo, perché dal coinvolgimento a livello economico e commerciale degli anni novanta che culminò con l’ingresso della Cina nel WTO, si è passati più recentemente a una forma di competizione tipica anche del confronto tra due potenze, con  Donald Trump vi è stato un cambio di rotta importante rispetto al passato soprattutto sul piano delle modalità di azione, e soprattutto nel campo economico. Anche perché oggi come vediamo molta di questa competizione si gioca a livello economico-commerciale e tecnologico. Obama aveva scelto una strategia di engagement, il famoso Pivot to Asia, fondata su una coalizione di paesi legati tra se da interessi di natura economica: questa era stata la ragione della nascita del TPP (Trans- Pacific Partnership) che aveva dato in Asia buoni risultati. Di fatto si era creata una cintura di paesi legati agli USA, legati a livello economico e anche nel campo della sicurezza, che cercava in qualche modo di isolare la Cina, di contenerla. L’idea di legare sia a livello economico che sul piano della sicurezza era un tema rilevante perchè in Asia ci sono molti paesi alleati degli USA a livello politico e militare che però hanno anche relazioni economiche molto forti con la Cina.

Come il Giappone ad esempio: un alleato fondamentale degli USA nella regione, ma anche un importante partner economico della Cina.

Esatto, il Giappone è un esempio. Tra l’altro anche recentemente durate la premiership di Abe il Giappone ha avuto ottimo rapporti con gli Stati Uniti e con Trump. Però è indubbio che il Giappone abbia rilevanti intreressi economici e commerciali con la Cina, che ha mantenuto nonostante il legame politico e militare con gli USA.

Con Donald Trump è cambiato qualcosa nel rapporto tra Stati Uniti e Cina?

Trump ha indubbiamente profondamente modificato la prospettiva precedente, rinunciando a una strategia multilaterale, e ha investito di più su una forma di “nazionalismo” economico e di protezionismo in campo commerciale, promuovendo quindi una visione opposta rispetto al TPP, affidando molto a relazioni bilaterali dirette i rapporti economici e politici con gli altri paesi dell’area. E lo abbiamo visto in diverse occasioni. Quindi, a mio parere è sul piano economico la maggiore discontinuità. Dal punto di vista militare ritengo invece che ci sia maggiore continuità, anche più di quanto a volte viene considerato, e questo penso sia anche connaturato alle stesse strategie militari e alle scelte fatte sul piano militare, anche sul versante della difesa, in alcuni casi fin dai tempi della presidenza di George W. Bush, che infatti aveva inizialmente mostrato un forte interesse verso il Pacifico. In questo caso si tratta spesso di scelte di lungo periodo precedenti appunto a Trump o Obama, e che probabilmente continueranno anche nei prossimi anni con altre amministrazioni. Certo, è chiaro che le due amministrazioni, quella attuale e quella precedente, esistono non solo a dire il vero nel caso delle relazioni con la Cina ma più in generale, anche forti differenze di lessico. È cambiato molto il lessico anche rispetto ad amministrazioni repubblicane precedenti, ma sarebbe interessante vedere quanto questa evoluzione sia frutto non solo di scelte politiche ma anche di scelte di tipo comunicativo e di un cambiamento più generale del modo di comunicare in politica. A parte il lessico, il tema del nazionalismo è un elemento rilevante tra le differenze che mi pare di dover segnalare come probabilmente il più importante.  

Gli Usa in queste ultime settimane hanno vissuto una campagna elettorale presidenziale molto combattuta tra Trump e Biden. Che effetti potrebbero avere le elezioni presidenziali sulla politica estera americana dei prossimi anni, anche rispetto ad alcune partite per noi europei molto rilevanti come la stabilità del Mediterraneo o nei rapporti stessi con l’UE?

Io ritengo che gli USA si stiano allontanando dal Mediterraneo da molto tempo, già da prima di Obama, e questo per effetto di un cambio di rotta derivante dal fatto che è il baricentro del mondo stesso che si sta spostando dall’Atlantico al Pacifico. Come abbiamo appena detto già dai tempi di Bush figlio gli Usa stavano orientando un forte interesse verso il Pacifico, interesse che proveniva da prima, fin dai tempi di Clinton. Probabilmente se non ci fosse stato l’ 11 settembre 2001 e le guerre in Iraq e Afghanistan, questo spostamento dell’asse della politica estera americana sarebbe già avvenuto prima di oggi. Libia e la lotta contro ISIS sono state probabilmente delle parentesi in questo processo in atto, per cui temo che non ci saranno cambiamenti  anche in futuro tra le amministrazioni americane. Non ci sarà dunque una discontinuità enorme nel Mediterraneo, perché in fondo in questa area gli USA – era chiaro già con Obama pensano sia compito dell’Europa occuparsene. Mentre invece, secondo me, in caso di un eventuale cambio di amministrazione alla Casa Bianca, potrebbero esserci delle differenze, nel rapporto con gli Alleati europei, sul piano economico, con un ritorno a possibili forme di collaborazione multilaterale sul modello del TTIP, anche se a dire il vero quell’accordo non era stato accolto in modo favorevole in tutta Europa e aveva avuto difficoltà anche in molti paesi europei. Però, al di là di questo, con un eventuale cambio è possibile un maggiore investimento nelle relazioni tra alleati sul piano multilaterale ed economico, e penso che potrebbero esservi probabilmente toni meno antagonisti, rispetto a quelli usati negli ultimi anni. Anche se su questo è da capire quanto faccia parte di un certo “stile”, Trump ha più volte dimostrato e non nascosto molto le proprie critiche verso l‘Unione Europea, e penso che sul piano lessicale il cambiamento rispetto al suo predecessore si sia visto.  Ma anche su questo va detto che anche in passato non sempre i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico sono stati sereni basti pensare alla vicenda della Guerra in Iraq nel 2003, quando fu rotto il fronte internazionale che sosteneva gli USA nella Guerra al terrorismo.

La polemica tra “Nuova Europa” e “Vecchia Europa” infatti risale a quel periodo. Anche ai tempi il confronto diplomatico fu molto duro tra alcuni paesi europei e l’amministrazione Bush.

Esatto, magari il confronto ebbe toni più “corretti” sul piano istituzionale ma non fu affatto banale. Non è che quella vicenda non abbia avuto delle ripercussioni sia nei rapporti transatlantici che negli anni successivi, anche nelle stesse divisioni interne all’Unione Europea. Inoltre, anche rispetto al tema del nazionalismo, non è che in passato, per esempio ai tempi di Reagan, non vi fosse un uso di un certo patriottismo della retorica pubblica. Indubbiamente c’erano stili diversi rispetto ad oggi e mezzi di comunicazione differenti, che talvolta tendiamo a non considerare nel loro impatto nel dibattito pubblico. Si immagini cosa sarebbe potuto essere il post 11 settembre con i social network di oggi. La politica è molto cambiata ma è anche cambiata la comunicazione politica e penso che le due cose siano legate, e possano influire anche rispetto a questi temi.  Per restare alla nostra domanda precedente e concludere, io penso che sul piano politico alcuni elementi strutturali resteranno, sia nelle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico, che nel processo di disimpegno americano dal Mediterraneo. Invece, per quanto riguarda i rapporti con l’Europa un tema di possibile attrito, anche in futuro, potrebbe essere quello con i giganti tecnologici americani, come abbiamo visto in questi anni. Anche su quel fronte non so se un’eventuale presidenza Biden potrebbe produrre delle differenze rispetto ad oggi.

E sulla Russia potrebbe cambiare qualcosa?

Dipende molto da quanto durerà ancora Putin, perché la strategia della Russia oggi è molto legata al suo leader. Non mi sento di sbilanciarmi, e quanto durerà la sua presidenza sarà determinante sul ruolo internazionale che il paese continuerà o meno a giocare e ai rapporti che terrà con gli altri paesi. Fintanto che resterà in carica, per motivi diversi, non vedo grandi cambiamenti all’orizzonte.

Invece pensa che un eventuale cambio di guardia alla Casa Bianca possa avere effetti sul confronto strategico con la Cina?

No. Forse sulle forme del lessico, nella comunicazione, ma sulla competizione strutturale no. Forse potrebbero cambiare le forme del contenimento verso la regione asiatica, magari con un ritorno anche qui a forme di multilateralismo economico, ma alcune linee tracciate non è detto che possano essere modificate facilmente. Ma sul piano della competizione penso che non ci saranno differenze sostanziali.

E una eventuale riconferma di Trump invece potrebbe ulteriormente portare ad un inasprimento dei rapporti con la Cina?

Trump potrebbe adottare una politica di continuità con quanto già fatto. Di fatto fino ad oggi a parte la breve parentesi della crisi con la Nord Corea qualche anno fa, e considerando anche le tensioni derivanti sia dalla pandemia che alla più recente vicenda di Hong Kong, non abbiamo assistito a crisi di natura militare particolarmente gravi nella regione. La cosa interessante è capire quello che la leadership cinese vorrà fare sulla vicenda Taiwan, nei prossimi anni e come in caso potrebbe reagire l’amministrazione americana.  

Una eventuale crescita della tensione tra Usa e Cina nei prossimi anni, ritiene che potrà incidere sui rapporti tra Europa e Stati Uniti, magari anche nel senso di un rilancio delle relazioni transatlantiche?

Mi pare un argomento molto difficile da dipanare. Credo che questo dipenda molto anche da come si svilupperà l’Europa nei prossimi anni, non solo dagli Stati Uniti. E come si svilupperà l’Unione Europea nei prossimi anni dipenderà sia da variabili interne a livello comunitario, che a variabili domestiche legate ai singoli paesi europei. Non sono variabili banali, perché possono incidere sulle scelte fatte a livello comunitario.

Alla fine, il confronto tra Cina e Usa determinerà anche l’obbligo di una scelta di campo, a livello geopolitico, come fu nella “Guerra Fredda”?

Beh, intanto direi che noi il campo ce lo abbiamo già e non mi pare mutevole al momento.  Però è anche vero che viviamo in un mondo molto diverso rispetto a quello degli anni cinquanta, sia sul piano politico che economico. L’economia ormai ha un livello di interdipendenza tale che immaginare un ritorno a schemi del passato e alla divisione rigida in blocchi definiti a livello economico e politico come durante la Guerra Fredda mi pare difficile.  Del resto la stessa  definizione di campo è cambiata e  non possiamo pensare oggi alla formazione di blocchi uniformi sul piano ideologico, politico ed economico come è stato tra gli anni quaranta e ottanta. Sul piano economico i processi di interdipendenza economica, che si sono affermati nel tempo, rendono oggi impossibile la definizione di campi come in passato. Basti vedere per esempio i legami sul piano economico e manifatturiero tra paesi come la Germania e la Cina e la stessa Germania con gli USA, solo per fare un esempio. Anche a prescindere dalle politiche che vorrebbe promuovere Trump, per invertire questi processi di interdipendenza, servirebbero molti anni e non potrebbe essere immediato. Ciò non significa che non vi possano essere settori specifici, come per esempio sul piano tecnologico nella vicenda 5G, che sono settori particolari, soggetti negli ultimi anni anche a forme più dirette di controllo per motivi di sicurezza o di rinazionalizzazione, in cui si possano prefigurare la formazione di campi di collaborazione più ristretti, e anche più omogenei a livello politico. Come appunto mi pare possa avvenire con la vicenda 5G. Però sul piano più generale mi pare che l’attuale sistema economico così interdipendente renda oggi difficile il ritorno a una divisione di blocchi contrapposti come in passato. Questa è probabilmente anche uma delle differenze più significative con la Guerra Fredda.

La necessità comunque di rafforzare il proprio campo, anche in settori specifici appunto, potrebbe però favorire un rafforzamento dei rapporti tra gli USA e i paesi Alleati. Del resto vi sono anche tra i Repubblicani numerosi sostenitori dell’esigenza di mantenere forti legami tra Stati uniti ed Europa anche per il confronto strategico con la Cina e gli altri competitors globali.

Come abbiamo detto prima ci sono dei problemi che vanno a impattare sulla relazione transatlantica, poichè il baricentro globale si sta spostando dall’Atlantico al Pacifico e di conseguenza anche gli interessi americani stanno seguendo questo spostamento. Si tratta di un processo in atto da tempo che prescinde il colore delle amministrazioni. Sta cambiando la geografia, e questo ha degli effetti per alcune questioni che a noi interessano direttamente. Ma questo spostamento non muta del tutto rapporto politico transatlantico, che ha le sue ragioni ancora oggi di esistere e anzi, mi sentirei di dire che proprio a causa della competizione globale potrebbe essere rafforzato. A partire da alcuni settori specifici, come dicevamo prima. Per esempio, sempre per citare una vicenda attuale come il 5G, mi pare un certo ritorno a livello transatlantico vi sia stato e che gli USA stessi lo stiano cercando, promuovendo su questo un confronto con i propri Alleati anche in Europa e cercando anche una collaborazione stretta. Inoltre si, è possibile che anche in futuro, si cerchi anche tra i repubblicani di promuovere una linea più “moderata” verso gli alleati europei, anche in ragione di quanto dicevi.

Forse non a caso anche la NATO recentemente ha discusso del tema dell’ascesa cinese, un tema che ha indubbia rilevanza per tutti gli Alleati. Secondo lei la NATO può giocare un ruolo in futuro, più da protagonista, anche a livello globale?

La NATO ha già un ruolo globale. Mi sento di dire che anche su questo tema molto dipenda anche dai paesi europei e da quanto vorranno farsi carico anche in ambito NATO delle proprie responsabilità, non solo sul fronte del bilancio e delle spese per la difesa.  

Infine, a prescindere da come andranno le elezioni presidenziali del 3 novembre, che spazi vede per l’Italia nel confronto con gli USA, anche all’interno dell’Unione Europea?

La nostra è una posizione difficile al momento. Perché contemporaneamente cerchiamo di tenere aperta una porta di dialogo oltre Atlantico e di restare al centro del confronto europeo in un momento in cui le tensioni nei rapporti e anche le direttrici di alcuni paesi europei sembrano spingere di più verso un possibile allontanamento tra le due sponde dell’Atlantico. Noi rischiamo di rimanere schiacciati in questa dinamica, con il rischio di essere meno influenti a livello europeo o di non riuscire a tenere aperti come vorremmo i canali di dialogo con gli USA. Però devo dire che è l’unica strada possibile da percorrere, per noi, quella di cercare di tenere aperto il dialogo con gli Americani e di farlo anche a livello europeo. Un tempo, magari avremmo potuto contare sulla sponda britannica, che ora però è venuta meno. Anche per questo la nostra posizione si è un po’ complicata, ma ripeto, mi pare che al momento sia anche l’unica possibile per noi.

Intervista a cura di Enrico Casini, per la redazione di Europa Atlantica

Immagine tratta da Pixabay


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