La sfida del 5G tra innovazione tecnologica, sicurezza e geopolitica

Quali cambiamenti potrebbero determinarsi con l’avvento del 5G? Perché queste tecnologie potrebbero essere in un futuro non troppo lontano così importanti? L’analisi di Marco Tesei

Per capire l’interesse dei governi – e quindi di riflesso dei media – per quell’insieme di tecnologie che, espresse nel campo delle telecomunicazioni ed in particolare nella telefonia mobile, vanno a formare quello che viene comunemente definito “5G”, bisogna focalizzarsi sulle potenzialità che tale evoluzione tecnologica consentirà.

Andando a confrontarlo anche solo con la generazione precedente (“4G”, G sta appunto per “generation”), limitarsi al “è più veloce” risulta fortemente semplicistico. Senza snocciolare numeri o entrare in eccessivi tecnicismi – dopotutto i valori nominali sono spesso ben lontani dai valori effettivi, in quanto risultato di un complesso insieme di elementi diversi – è possibile affermare che sì, il 5G proporrà delle velocità di trasmissione e ricezione dati “molto superiori” alla controparte 4G.

Però la velocità è appunto solo la punta del celebre iceberg. La velocità è solo il parametro che meglio di altri si presta a discorsi di marketing: i “numeroni” declamati dagli operatori telefonici per esaltare la bontà della propria rete sono efficaci per coinvolgere solo quella (importante) quota-parte di utenti che, sfruttando uno smartphone di ultima generazione con connettività 5G, non vedono l’ora di scaricare un film da Netflix in meno di dieci secondi (rispetto al minuto scarso necessario nella generazione precedente).

E’ invece ragionevole affermare che l’interesse dei governi per la nuova tecnologia sia per lo più rivolta a tutta la parte sommersa dell’iceberg, certamente meno evidente ma probabilmente più impattante da un punto di vista delle potenziali applicazioni del futuro. Perché sì: se il 4G consentiva, rispetto alla generazione precedente, di fare più o meno le stesse cose ma “meglio” (più velocemente, con una definizione migliore), il 5G consente non solo di fare le stesse cose “ancora meglio”, ma anche di fare cose completamente “nuove”. Applicazioni probabilmente non rilevanti in termini di grande pubblico e comunque non legate alla fruizione di contenuti, ma determinanti nel campo dell’intelligence, della domotica, della robotica, dell’ingegneria biomedica e via discorrendo. Da dove derivano tutte queste potenzialità?

Prima di tutto la rete 5G, in termini di consumo energetico, è più efficiente del 90% rispetto alla generazione precedente. Al netto del risparmio anche economico sui grandi numeri, ciò vuol dire per esempio che tutti i dispositivi IoT (Internet-of-Things), spesso alimentati a batteria e prima relegati a bande di trasmissione dedicate anche/proprio per limitare il consumo energetico, potranno non solo integrarsi perfettamente in un ecosistema più esteso basato su 5G – sfruttandone, tra l’altro, le prestazioni infinitamente superiori – ma anche garantire un’autonomia (a spanne) dieci volte superiore a parità di batteria. L’IoT sta diventando un fattore sempre più determinante non solo nella domotica, ma anche nel campo delle tele-misurazioni e, più in generale, nel contesto delle “smart-cities” del futuro. Se ad oggi ogni singolo componente IoT alimentato a batteria deve prevedere una manutenzione (per esempio) annuale (proprio per sostituire le batterie), nel futuro si potrà pianificare la stessa attività ogni dieci anni.

Secondo. La rete 5G consente valori di latenza fino all’80% inferiori rispetto al 4G. La “latenza” è sostanzialmente il tempo che impiega un’informazione a viaggiare da una sorgente a un attuatore tra loro distanti ma connessi. Una volta immesso un comando, ad esempio schiacciando un bottone per accendere una luce a distanza, il tempo che intercorre tra la pressione del bottone e l’accensione effettiva della lampadina è, in larga parte, dipendente dal valore di latenza. Per capire l’impatto della cosa – dopotutto chi se ne frega se una luce si accende dopo dieci o cinquanta millisecondi – bisogna pensare a tutta quella vasta gamma di applicazioni che, da sempre, richiedono che “bottone e lampadina siano particolarmente vicini” proprio per azzerare eventuali problemi di latenza. Di chi parliamo nello specifico? Praticamente di tutte le applicazioni basate su tele-robotica o tele-controllo in tempo reale, discipline fondamentali nei campi della tele-chirurgia, nel pilotaggio remoto di mezzi automatizzati (anche e soprattutto droni), delle misurazioni di precisione per telemetria ad alta reattività etc. Potrei continuare ma, in sostanza, la disponibilità dell’informazione in tempo reale consentirà di svolgere in remoto, in 5G, con tempi di latenza inferiori ai 10ms (millisecondi), attività fino a ieri magari pensabili ma tecnologicamente non aggredibili proprio a causa della scarsa reattività delle telecomunicazioni wireless.

Terzo. La rete 5G sarà la prima rete “programmabile” della storia. Sarà infatti possibile definire standard diversi a seconda delle prestazioni/funzionalità previste, consentendo ad esempio di assegnare priorità differenti alle informazioni “in viaggio” e quindi aumentando in maniera esponenziale l’affidabilità dei servizi essenziali rispetto a quelli che potranno considerarsi secondari. Il “programmabile” virgolettato sopra si può meglio definire con “Software-defined-networking” (SDN) che comprende la possibilità di creare e personalizzare istanze diverse a seconda della priorità/finalità prevista dal fruitore del servizio. In sostanza un partizionamento “intelligente” della banda disponibile, definito in gergo “slicing”, e destinato a rendere le telecomunicazioni più efficienti e modulari.

Bene. SDN e Slicing sono probabilmente le vere novità della tecnologia 5G e si tradurranno in valori di affidabilità e personalizzazione esponenzialmente superiori rispetto alla generazione precedente. Affidabilità e personalizzazione, assolutamente secondari per i servizi commerciali, diventano determinanti e fondamentali per le applicazioni critiche, alcune delle quali menzionate sopra.

La rete 5G entrerà insomma di diritto nel ristrettissimo club del “five nines”, e cioè di quei servizi che garantiscono continuità operativa nel 99.999% dei casi (in termini temporali, prevedono 5.26 minuti di disservizio in un anno, al massimo) e che sono alla base delle telecomunicazioni militari, della cyber-security per le infrastrutture critiche, del tele-controllo per sistemi balistici, delle telecomunicazioni machine-to-machine (ad esempio tra droni, ad operazione in corso), etc.

L’interesse dei governi è insomma più che giustificato perché il 5G, pur messo a disposizione della collettività per attività e servizi in larga parte “innocui”, è particolarmente prestante anche per una serie di applicazioni militari e di intelligence che invece storicamente necessitano di apparati e know-how proprietari per questioni di sicurezza nazionale. Il risalto mediatico è appunto legato al fatto che, forse per la prima volta nella storia recente, l’Occidente potrebbe trovarsi, per certi versi, tecnologicamente arretrato. Il leader mondiale – ad oggi almeno – per quanto concerne la tecnologia 5G, sembrerebbe avere sede nello Shenzen e si chiama Huawei. Altri della partita sono sicuramente Nokia ed Ericsson – ci sarebbe anche ZTE, ma è cinese anche lei – tuttavia Huawei presenta una serie di peculiarità: oltre ad essere “molto cinese” – i legami con il governo sono argomento molto dibattuto – è un colosso commerciale ed economicamente soverchiante rispetto ai concorrenti – il che gli consente, ad esempio, prezzi più bassi – e per di più è già saldamente presente in più di 200 nazioni del mondo, fornendo già da anni sistemi e soluzioni proprietarie che vanno dalle telecamere, ai cellulari, ai router 3G/4G, etc. Passati i tempi in cui gli Stati Uniti fornivano al mondo il GPS (global-positioning-system) e il mondo, pur rendendosi conto del “rischio” di dover condividere di dati con gli Stati Uniti per accedere al nuovo servizio, doveva accettarlo a favore di progresso, oggi la situazione sembrerebbe potersi ribaltare. Se con il GPS fu il mondo a doversi affannare per raggiungere l’indipendenza tecnologica per quanto concerne il global-positioning (Galileo, Glonass e Beidou arriveranno anni dopo), mentre ora il peso della rincorsa è sulle spalle degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale. Non che sia il primo caso: il ban del 5G Huawei segue, ad esempio, l’invito a limitare l’uso di droni di fabbricazione cinese che di fatto, a partire dai droni DJI (azienda cinese, di nuovo), dominano il mercato.

L’amministrazione Trump, posta di fronte al dilemma dell’innovazione tecnologica a rischio della ragion di stato, è stata chiara ed aggressiva fin da subito andando a colpire Huawei (ma non solo) sia come potenziale rischio per i servizi di intelligence che (soprattutto) come potenza commerciale concorrente. Da un lato è stato impedito alle aziende americane (Qualcomm e Google in primis) di fornire hardware e servizi al gigante cinese. Dall’altro le pressioni politiche sugli alleati hanno portato a risultati eterogenei a seconda della sensibilità nazionale sul tema: da un irrigidimento delle normative sul tema all’esclusione delle aziende cinesi dalle gare pubbliche, a misure addirittura più radicali come la rimozione di tutto il “ferro” Huawei già presente. Come si muoverà Biden in questo contesto fortemente parcellizzato e asimmetrico? Per quanto probabile possa essere un cambiamento dei toni e un possibile rilassamento in alcune dinamiche che hanno di fatto portato ad una guerra commerciale (di cui Huawei, mediaticamente, è simbolo indiscusso), è ragionevole pensare che non ci saranno grosse variazioni nel campo della sicurezza nazionale e della competizione tecnologica. Certamente, non solo sul piano tecnologico, la sfida del 5G sembra essere solo agli inizi.

Marco Tesei


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