Capire la storia d’America, tra miti, aspirazioni e realtà

Perchè per comprendere gli Stati Uniti e il loro complesso sistema politico è necessario conoscerne le radici storiche, sociali e antropologiche. Il punto di vista di Anna Maria Cossiga

Quanto accaduto il 6 gennaio a Washington D.C. ha lasciato il mondo occidentale sconvolto. La domanda dei nostri commentatori ed esperti, e anche quella di commentatori ed esperti d’Oltreoceano, è stata fondamentalmente una: com’è potuta accadere una cosa simile in quella che viene considerata la democrazia più potente e più compiuta del mondo?

Gli attori degli avvenimenti sono, da una parte, un Presidente del tutto atipico, poco amante delle regole democratiche e istituzionali così come le conosciamo, che non vuole accettare la propria sconfitta e che fa appello al suo “popolo di patrioti”; dall’altra, i cittadini definiti, tra l’altro, come “vinti” della globalizzazione, che hanno visto sfumare il proprio “sogno americano”, spesso apertamente cospirazionisti e razzisti, nemici del deep state che solo Trump può sconfiggere. Costoro sarebbero, Presidente incluso, una sorta di “americani-poco-americani”, cittadini che calpestano i valori della “città sulla collina” dei fondatori Puritani, del Paese campione dell’eguaglianza, della libertà e della democrazia, esempio per il mondo. È questa la narrazione che gli Stati Uniti hanno sempre offerto di sé stessi e quei valori sono diventati quelli dell’Occidente.

Forse, però, quella narrazione è più mito, che realtà. I miti sono spesso racconti edificanti, i cui protagonisti incarnano proprio quei valori che si ritengono fondamentali e che si vorrebbero caratteristici delle società: ma, nel mondo reale, nessuna società può essere perfetta, per quanto si sforzi.

Gli Stati Uniti non fanno differenza. Volevano essere liberi, eguali e democratici; essere, cioè, diversi dalla corrotta e decadente Europa. “Gli ideali utopici di alcuni dei coloni originari” afferma lo storico e critico culturale Richard Slotkin[1], asserivano che “il Nuovo Mondo dovrà essere liberato dalla mano morta del passato e diventare la scena di una nuova partenza negli affari umani”. L’esperimento, però, non è riuscito del tutto, qualunque cosa se ne dica. I Padri Fondatori degli Usa affermarono nella Dichiarazione d’Indipendenza come verità evidenti “che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”; nel medesimo tempo, però, accettarono la schiavitù e la regolarono nella Costituzione. Anche l’abolizione delle classi, che fa parte del mito di eguaglianza e democrazia, rimase un pio desiderio. I ricchi mercanti e coloni rimasero “superiori” rispetto ai poveri che arrivavano in cerca di fortuna, che spesso erano costretti ad accettare il lavoro vincolato per pagarsi la traversata e che non possedevano terreni. Alla convinzione che gli schiavi di origine africana fossero intrinsecamente inferiori ai bianchi, si aggiunse quella che anche gli immigrati provenienti dai Paesi Europei non fossero esattamente alla pari con chi aveva le sue origini in Inghilterra. Ecco come Benjamin Franklin commenta il “colore” dei nuovi arrivati in quelle che erano ancora colonie britanniche: “Gli spagnoli, gli italiani, i francesi, i russi e gli svedesi hanno in genere quella che chiamiamo una carnagione scura; e anche i tedeschi, esclusi solo i sassoni che, con gli inglesi, formano il gruppo principale di bianchi sulla Terra”.

Ma veniamo al Presidente che aizza e agli “americani-poco-americani” che hanno invaso il Campidoglio, che hanno usato la violenza contro altri americani, che si sono seduti sullo scranno del Presidente del Senato vestiti come lo sciamano dei nativi. Non sono i protagonisti di nessun mito, non sono personaggi storici mitizzati, sono cittadini in carne ed ossa. Come uomini in carne ed ossa erano coloro che hanno fondato gli Stati Uniti. Anche in quegli avvenimenti c’è stata violenza; una “violenza rigeneratrice” la definisce il già citato Slotkin. Era una violenza subita dai coloni, spesso rapiti dagli indiani per tornare spiritualmente e fisicamente “rinati”; ma era anche una violenza agita, in cui i selvaggi indiani venivano uccisi per fare posto al progresso e alla democrazia americana. Quegli uomini si sono ribellati al governo del re, considerato ingiusto, gettando nelle acque del porto di Boston il tè su cui non intendevano pagare tasse; erano vestiti da indiani, nel caso qualcuno lo avesse dimenticato, anche se non da sciamani. Quegli uomini hanno lottato perché il governo federale non fosse troppo centralizzato e non si “impicciasse” più del dovuto negli affari degli Stati. Quegli uomini hanno preteso il diritto di portare armi per potersi difendere, non solo da altri uomini, ma anche da un governo che poteva diventare tiranno e distruggere la democrazia.

Ricordando tutto questo, non vogliamo giustificare il sobillatore Trump, né chi ha usato violenza ad uno dei simboli della democrazia americana. Il nostro scopo è riflettere più in profondità, perché, forse, ciò che è accaduto non è così “poco americano” come potrebbe sembrare ad un’analisi superficiale. Gli Stati Uniti, quelli veri, non sono New York o San Francisco, non sono Harvard e UCLA. O meglio: sono anche quello ma, forse principalmente, sono le classi impoverite e povere del Sud e del Midwest, della Rust Belt e della Bible Belt; classi che, seppure “vinte” dalla globalizzazione, sono sempre state “vinte” da qualcosa o da qualcuno. Sono quelle classi che, eliminata la schiavitù, hanno visto negli afroamericani liberati e nei poveri immigrati dal Messico e dall’Europa orientale i concorrenti nel mondo del lavoro anche più umile.

Non si possono capire davvero gli Stati Uniti senza conoscerne le radici storiche, sociali e antropologiche. Forse la domanda vera che dovremmo porci, dopo gli avvenimenti del 6 gennaio, è: quante democrazie possibili esistono negli Stati Uniti? È una domanda fondamentale, per gli USA e per l’Occidente.

Anna Maria Cossiga


[1] R. Slotkin, Regeneration through Violence. The Mithology of the American Frontier, 1600-1860, University of Oklahoma Press, Norman 2000.

Le opinioni espresse sono personali e potrebbero non rappresentare le posizioni di Europa Atlantica

Immagini tratte da Pixabay

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *